L’etimo del termine plastica deriva dal verbo greco “plasso” che significa “plasmare”, “formare”, “modellare” e allude alla caratteristica peculiare dei polimeri sintetici capaci di subire deformazioni permanenti e di essere “messi-in-forma” attraverso la modellazione (proprietà che in realtà appartiene solo ad alcuni di essi). La rivoluzione culturale dei materiali moderni e la contemporaneità possono dirsi all’insegna dei materiali polimerici, connessi alla ricerca scientifica (la sintesi chimica che è la polimerizzazione) ed al trasferimento tecnologico, e appartenenti alla cultura delle materie solido-fluide. Con il termine generale di “plastiche si fa riferimento ad un vasto, articolato e in continuo aggiornamento orizzonte di materiali oggi impiegati per produrre un enorme numero di oggetti d’uso e di consumo, di elementi per il design e l’architettura, intermedi e finali.
Per l’adattabilità e versatilità che li contraddistingue, le plastiche hanno rappresentato e in parte ancora incarnano i valori e i miti dell’epoca moderna, pur rappresentando oggi il principale componente dei nostri rifiuti...
Roland Barthes, nel 1957 in Miti d’oggi, ne parla come di una sostanza “alchemica”, che trasforma la materia in “oggetto perfetto”, quasi "umano".
«Più che una sostanza – dice Barthes – è l’idea stessa della sua infinita trasformazione, è, come dice il suo nome volgare, l’ubiquità resa visibile; e proprio in questo essa è una materia miracolosa: il miracolo è sempre una conversione brusca della natura. La plastica resta tutta impregnata in questa scossa: più che un oggetto essa è traccia di un movimento».
Roland Barthes, “La plastica”, in Miti d’oggi, Milano, Einaudi, 4a ed., 1974, pp. 169-170.
(V.D.B.)
Bento.
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