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Wiel Arets. Della sostanza architettonica irriducibile.
Cameracronica III.

14 Febbraio 2014

 

Wiel Arets. Della sostanza architettonica irriducibile.

Nella crisi sempre più sconfortante della produzione architettonica europea esiste una “crisi nella crisi” che colpisce l’editoria specializzata. Le riviste cartacee di architettura attraversano il loro periodo più buio. Il web offrendo materiali in enorme quantità, anche se non organizzati, sta diventando il loro principale killer. In un contesto culturale ed economico internazionale difficile abbiamo pensato di non rinunciare a riflettere sul pensiero architettonico contemporaneo ideando una rivista digitale Open Access che potesse essere facilmente distribuita gratuitamente e letta anche sui tablet.
Ma veniamo a Wiel Arets. Il progettista olandese nato professionalmente ad Heerlen e con basi successive collocate ad Amsterdam e Maastricht, con uffici aperti negli ultimi anni anche in Svizzera e in Germania, è un caso di notevole interesse per l’architettura e la critica contemporanea. L’opera architettonica di Wiel Arets, mediata dai suoi disegni con notevole sensibilità e bravura, incarna come poche altre l’esperienza filosofica del tempo presente e la sua condizione urbana. Il suo rendersi sorda verso i “rumori di fondo” del mondo dell’architettura prodotti dalle culture dilaganti e in qualche modo egemoniche dell’iperformalismo la rendono un prezioso distillato di sostanze architettoniche irriducibili.
La carriera di Arets è stata silenziosa e nello stesso tempo fortemente penetrante nel corpo dell’architettura europea. La sua formazione abbraccia culture intercontinentali. Da una parte Arets ha assorbito da studente le attività teoriche del razionalismo e del neorazionalismo italiani e olandese (in particolare Cesare Cattaneo, Frits Peutz, Hans van der Laan, ma anche Giorgio Grassi e Aldo Rossi), dall’altra appena maturo ha saputo sostituire ad un’impostazione compositiva classica dei corpi di fabbrica un’atmosfera tattile e materica di matrice orientale. Tale carattere di spiritualità contemporanea che assorbe Arets grazie ad un viaggio di studio compiuto in Giappone è in particolare legato al lavoro di Tadao Ando di cui è stato il primo studioso a diffonderne l’opera in Europa. La decantazione antinostalgica di queste due esperienze avviene nel ’91 quando Arets pubblica il suo testo teorico An Alabaster Skin e nelle sue prime architetture, in particolare nell’Accademia d’arte e architettura di Maastricht. Qui, sia la lezione nordeuropea dell’articolazione planimetrica e spaziale degli edifici, sia il magistrale uso del cemento a vista levigato interposto a intere pareti o pavimenti di vetrocemento gli procurano un successo internazionale. Presto arrivano per Wiel Arets numerose pubblicazioni, premi, tra cui il Mies van der Rohe, e molti riconoscimenti accademici che si traducono in un’attività energica di docente tra Europa (Accademia di architettura di Amsterdam e Architectural Association) e Stati Uniti (Columbia University e Cooper Union). Nel 1995 dirige il Berlage Institute di Rotterdam ed attualmente insegna l’Universität der Künste di Berlino. È stato nominato nel 2012 preside del prestigioso College of Architecture dell’IIT di Chicago.


 

Nei suoi lavori degli anni Novanta il suo interesse verso la costruzione per moduli stardardizzati aggregabili non si è mai spento, passando all’utilizzo di ampie superfici anche vetrate o metalliche. In tale contesto uno dei suoi lavori più interessanti è la torre per appartamenti ad Amsterdam sull’isola oblunga KNSM, costruita con pannelli di cemento bugnati, e la Stazione di polizia di Boxtel rivestita interamente di profili di vetro U-Glass. Nel tempo Arets ha potuto realizzare altre opere attuando leggere variazioni sul tema della superficie, arrivando a utilizzare perfino un trattamento serigrafico naturalista nella Biblioteca universitaria di Utrecht ultimata del 2001. Ma i progetti realizzati che vogliamo mostrarvi in questo numero sono i più recenti, eseguiti tra il 2009 e il 2012, opere che abbracciano tutte le “nature” dello spazio edificato: residenziale, pubblico, direzionale. Il precedente repertorio materico di Arets sembra ora subire una progressione continua verso un uso più intenso del vetro, rivolgendo il suo specchiarsi multisensoriale ai suoi più prossimi contesti naturali e artificiali.

 

Giacinto Cerviere

 


 

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