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Tinture: tra natura e artificio
III parte

13 Marzo 2014

A seguito della prima grande crisi energetica e dell’avvio di una presa di coscienza ecologica planetaria sono comparsi fenomeni tesi al recupero di tecniche produttive protoindustriali; tra questi quello delle tinture naturali.

Le descrizioni presenti nei manuali di quell’epoca hanno un carattere fortemente empirico e riscoprivano ricette tintorie in relazione al territorio da cui nasceva la ricerca proprio perché l’interesse era fortemente sperimentale, piuttosto episodico e quindi sviluppabile con un metodo squisitamente artigianale, con impiego di personale dotato di scarse competenze professionali. In questa fase sono stati pubblicati numerosi manuali che si riferivano essenzialmente a quella procedura che, anche in altri testi, ho ritenuto di poter definire arte popolare cioè quel processo nel quale si trovano a coincidere, nella stessa entità, committente, progettista, esecutore e fruitore.

Un’autoproduzione, quindi, in cui, non di rado, l’aspetto più carente era proprio quello del progetto.Processi, dunque che partivano dal basso, mossi da un recupero ideale che si inseriva nella nascente cultura ambientalista, cercando di agire sulla sensibilizzazione e sulle scelte dell’individuo e non sull’organizzazione di sistema.In questo modo, pertanto, la riscoperta e l’applicazione di tinture con essenze direttamente estratte da prodotti vegetali e, in quantità quasi trascurabili, da animali, ha in un primo tempo solo lambito quella che è la produzione seppure di tipo artigianale. 1

Tuttavia, in questa fase, si è cominciato a mettere in evidenza quella relazione tra territorio e prodotto che anche oggi caratterizza molte delle attuali ricerche che coinvolgono il fare artigianale anche di natura evoluta. Né, d’altra parte, si prendono in esame, vantaggi e svantaggi economici, ma soprattutto ecologici, delle tinture naturali proprio per la natura circoscritta degli interventi. Tra i primi testi che sistematizzano questo recupero di conoscenze, va citato sicuramente quello del 1979 di Maria Elda Salice, le cui iniziative si sono poi sviluppate attorno ad un vero e proprio centro culturale in grado di proporre pubblicazioni e corsi in questo ambito.

 



Matasse tinte nel laboratorio dell’Associazione colori e tinture naturali Maria Elda Salice

La riscoperta su base anche empirica delle proprietà coloranti è stata senza dubbio favorita dal fatto che tutto può tingere in natura e che, con caratteristiche e percentuali diverse, tutte le fibre naturali assorbono i coloranti naturali.Queste esperienze hanno messo in evidenza, fin da subito, quali sono gli elementi di forza e di debolezza di quelle che sono le essenze tintorie.Parallelamente all’attenzione per i processi artigianali si sono rieditati trattati e manuali di tintoria che riproponevano vecchie ricette in parte dimenticate. Con questo spirito è nato il Museo dei colori naturali Delio Bischi2 a Lamoli di Borgo Pace in provincia di Pesaro e Urbino; sono nati poi, ad esempio, i quaderni, con il patrocinio dell’Associazione Colore e Tintura naturale che illustrano le proprietà dei vegetali dell’Isola di Ponza, della Valcellina, della Sardegna.

Nel quaderno di tintura botanica intitolato Per erbe e per tinture. Colori e Tradizioni di Valcellina,3 ad esempio, sono riportate diciotto ricette tintorie alcune delle quali contenute in documenti antichi come il Plictho de l’arte de tintori di Gioanventura Rossetti del 1540 o le ricette del manoscritto del monastero tirolese di Stams del XIV secolo, ora conservato nella biblioteca di Innsbruck.C’è da sottolineare che la tavolozza cromatica che vanno a comporre le tinture di queste erbe ha una ricchezza di gialli e di bruni ma è carente su tutte le altre tonalità4. E questo è sicuramente un elemento che va a scontrarsi con quello che è lo studio delle tendenze colore, ad esempio, nel sistema moda. Lo stimolo che ha portato alcune realtà industriali ad avvicinarsi a questo settore è stato, di tipo estetico e comunicativo, al quale si è aggiunto, e in parte sovrapposto, quello sanitario che, per sua natura, va a scontrarsi con le logiche della moda.

Le sempre più frequenti dermatiti da contatto sembravano poter trovare una soluzione nell’uso di fibre e coloranti naturaliNell’ambito della moda, invece, sempre più frequentemente, il cliente ricerca un prodotto attento al rispetto dell’ambiente ma l’elaborazione di prodotti “verdi” non può in alcun modo entrare in competizione con i prodotti tradizionali; e mi spiego: Bottega Veneta, per rispondere all’esigenza dei propri clienti vegani, ha prodotto pochette in washi, tessuto di carta giapponese eliminando, così l’uso della pelle. Alcune aziende richiedono che la lana non provenga dal posteriore della pecora perché la bestia è particolarmente sensibile alla tosatura in quella zona (tra l’altro è la parte nella quale la lana risulta essere meno pregiata).Risulta, però, più problematico introdurre colorazioni naturali comunicandole come più sicure per la salute, perché questo affermerebbe implicitamente una minore qualità degli altri prodotti. Aggiungiamo anche, il fatto che il cliente percepisce molto più facilmente quelli che sono i vantaggi delle tinture sintetiche e, principalmente, maggiore resistenza alla luce e minore costo.

Tra le ricerche svolte, ormai non recentissime, possiamo citare quella, finanziata dalla Regione Toscana denominata Natural.tex del 2006, nella quale è riportata una tabella con le principali differenze tra i due metodi di tintura.



Tabella estratta dalla ricerca Natular.tex dove si comparano le caratteristiche dei coloranti naturali e sintetici

Abbiamo visto che per attuare il processo della tintura è necessario trattare la fibra con un mordente. Queste sostanze sono sempre state un elemento di criticità se si ragiona con una logica di sostenibilità: in passato proprio per ottenere una gamma di colori più ampia, venivano impiegati, accanto al cremortartaro e alla potassa, usati anche in cucina ed in enologia e sul quale non sembrano esserci controindicazioni sul loro uso, anche ossidi metallici altamente tossici, come il solfato di rame o il bicromato di potassio, il vetriolo di ferro.

È facile quindi cominciare a comprendere che i processi di tintura prima dell’introduzione dei coloranti di sintesi non si presentavano comunque così sostenibili se, accanto all’uso delle sostanze tossiche poco sopra citate si aggiunge anche l’impoverimento del terreno dato da coltivazioni di erbe tintorie come il guado. Se la fermentazione delle urine è da considerarsi una prassi da tempo superata e con essa gli insani processi che ne derivavano, va considerato, comunque, che qualunque tipo di tintura naturale prevede un consumo di acqua superiore a quello delle tinture di sintesi per le quali è sufficiente effettuare un solo bagno nel quale le sostanze disciolte vengono completamente assorbite dalle fibre che vengono tinte. Per i coloranti naturali, invece, affinchè si possa ottenere una colorazione uniforme, è necessario eseguire prima un bagno per la mordenzatura e poi uno per il colorante che, a differenza delle sostanze chimiche, non si esaurisce mai completamente, e quindi, l’impatto di questa lavorazione non può considerarsi trascurabile, tanto che le acque dei coloranti naturali e quelle dei coloranti di sintesi devono essere sottoposte allo stesso tipo di trattamento.


Una tintoria oggi

Altro progetto con finanziamento regionale, questa volta interessa l’Emilia Romagna; è il progetto Tes.sa, sempre del 2006. La ricerca, che ha visto il coinvolgimento di cinque aziende del distretto di Carpi, aveva come obiettivo quello di cercare di offrire una risposta completa ed articolata alla crescente domanda di indumenti, che non generino fenomeni di dermatiti allergiche riconducibili alla presenza di residui chimici in grado di essere rilasciati dal capo indossato a contatto con la cute.5 Malgrado le difficoltà descritte fino a questo punto, alcune esperienze che hanno cercato di proporre i coloranti naturali in filiere, seppure di nicchia, di natura industriale ci sono state ma in molti casi sono rimaste a livello di curiosità come, ad esempio la serie di jeans colorati al barbera della Cool Hunting People oppure le esperienze di Superga, Malerba, Armani, che hanno introdotto le colorazioni naturali per poche collezioni e di cui, oggi, non si trova più traccia.6

Alcune aziende, tra queste cito Lyria di Montemurlo (Prato) hanno nei loro campionari articoli tinti al caffè nei quali il maggior significato riscontrabile è quello della testimonianza di ricerca.


Tessuto della manifattura Lyria Riccardo Bruni tinto col caffè

 

In altre sedi ho cercato di illustrare come la tecnica tessile da tempi antichissimi ha sviluppato caratteristiche che accanto all’appartenenza territoriale esprimono, in modo altrettanto deciso, un patrimonio materiale condiviso su vastissime aree geografiche. Di conseguenza, se il colore naturale vuole essere inteso come un elemento di qualificazione locale deve affrontare una strada piuttosto ardua da percorrere. Oggi, infatti, i coloranti naturali, provengono un po’ da tutte le parti del mondo, in particolare dalle aree geografiche, dove, fin dall’antichità queste piante, a fini tintori, erano coltivate, e dove hanno rappresentato una risorsa importante per l’economia locale.

Ciò, comunque, non deve essere visto come elemento pregiudizievole per la bontà del progetto orientato decisamente al rispetto del consumatore e dell’ambiente. Se, inoltre, si considera l’intera filiera dei prodotti tessili, se ne evidenzia subito la lunghezza e la delocalizzazione a partire dalle fibre e non solo dai coloranti. Seppure, infatti, la produzione tessile rimane per molti aspetto fortemente legata a quella agricola anche a carattere alimentare, fino ad oggi è stato molto più difficile applicare alla prima concetti di filiera corta e di certificazioni territoriali perché, a differenza del settore alimentare, in molti casi, questo ne abbasserebbe notevolmente la qualità, alzandone i prezzi.

D’altra parte questo indica l’esistenza di uno spazio in cui poter sperimentare e lavorare nella direzione, in questo caso della produzione artigiana della sostenibilità tessile. L’esperienza di India Flint appare, in questo contesto, particolarmente interessante. Come alcuni hanno scritto, il suo lavoro è in bilico tra tradizione e innovazione tra lo stupore di ottenere un risultato non previsto (quello che si esprime attraverso il termine serendipity) e la metodica ricerca. Ciò che però non è possibile negare è il risultato poetico che l’elemento incontrollato e incontrollabile fornisce ai suoi lavori di tintura e stampa a contatto chiaramente sospeso tra la casualità e il progetto.

Chi si occupa, invece, di tessitura artigianale in genere colora i filati e non il tessuto o il capo finito perché, per lo più, si sceglie e si dichiara che dopo la fase di tessitura non ci siano fasi successive di lavorazione in grado di trasformare anche radicalmente l’aspetto del prodotto.

  • Stampa a contatto con colori naturali di India Flint
  • Una fase del procedimento di stampa
  • Stampa a contatto con colori naturali di India Flint
  • Un abito realizzato nel laboratorio di India Flint

La strada che percorrono alcune tintorie è quella che viene definita tintura biologica con coloranti di sintesi, ovvero che rispetta in modo completo in primo luogo i parametri GOTS e in generale le vigenti certificazioni ambientali per l’abbigliamento. La certificazione GOST, Global Organic Textile Standard riguarda sia la composizione del prodotto tessile che le regole di una produzione socialmente responsabile per le quali vengono adottati i criteri dell’Organizzazione internazionale del lavoro. Questo tipo di certificazione non riguarda la produzione dei pellami. Esistono due tipi di livelli: il primo che definisce il prodotto come biologico e il secondo che lo definisce come “fatto con X% biologico”.

 

Altra certificazione è quella Oeko tex, sistema di controllo e di certificazione indipendente per tutte le lavorazioni riguardanti il mondo tessile. Si riferisce ai parametri a prodotti con parametri generamente più rigidi di quelli delle leggi nazionali vigenti. I prodotti certificati sono divisi in quattro classi secondo il loro uso, dai prodotti per bambini a quelli per l’arredo. Non va dimenticata, infine Ecolabel che, per quanto riguarda le sostanze coloranti si concentra soprattutto sul fatto che non siano presenti metalli pesanti, sul consumo di acqua, sui consumi energetici. Accanto a queste, vengono considerate le prestazioni e la resistenza in particolare allo sfregamento ad umido e a secco, la resistenza alla luce, la resistenza al lavaggio, quella al sudore.


Marchi di tutela del tessile ecosostenibile

Per concludere, pur considerando gli elementi sopra descritti, pensiamo che sia possibile affermare che le esperienze di tinture naturali hanno sicuramente importanza ai fini della ricerca e della sperimentazione e possono avere un ruolo significativo nelle applicazioni a carattere artistico-artigianale, comprese quelle riferibili all’ambito del restauro e nella ricerche tese a trovare un rapporto tra patrimonio culturale locale e conoscenze largamente condivise.

Il loro ruolo in un futuro prossimo e remoto, però, non sembra, in realtà, essere determinante.

Eleonora Trivellin


Matasse colorate della manifattura Le Gobelines di Parigi

Leggi anche Tinture: tra natura e artificio II parte

Note
1 Nella storia dei coloranti naturali va ricordato un altro caso nel quale, dopo anni di abbandono, si riscoprirono alcune tecniche di colorazione: il murice, di cui abbiamo illustrato le caratteristiche, fu completamente sostituito dalla robbia e dalla cocciniglia. Solo nel XIX si riscoprì quasi casualmente questa tecnica di lavorazione.
2 Delio Bischi tra gli anni ’70 e ’80 riscoprì nel territorio dei Montefeltro macine da guado. Da qui sono nate le iniziative che hanno dato vita al museo.
3 a.a. v.v, Per erbe e per tinture. Colori e Tradizioni di Valcellina, 2003.
4 Da notare, inoltre, che per tingere l’azzurro si usa sempre la pianta di guado.
5 Si ringrazia, in particolare Doriana Rustichelli dell’azienda Stellatex per le informazioni fornite.
6 Progetto Natural.tex, Docup Ob. 2 Anni 2000-2006 - Azione 1.7.1, rapporto, p. 82

 

 

Nota bibliografica e sitografica
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Tingere la lana con erbe foglie e fiori, Fabbri editori, Milano, 1979.
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http://eco-style.style.it/ http://designnaturaartigianato.files.wordpress.com/2011/12/progetto-naturaltex.pdf
www.indiaflint.com
http://www.lammatest.rete.toscana.it/lammatest/hbin/colorantinaturali.php
www.progettotessa.it/
http://rossodirobbia.blogspot.it/
www.stellatex.it/
www.tinturanaturale.it


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