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Think Tank. Tre progetti per il design contemporaneo

07 Maggio 2010

“CCCWall” di Kengo Kuma. (ph. Peppe Maisto)

 

Casalgrande Ceramic Cloud Wall ad opera dell’architetto giapponese Kengo Kuma – di cui questo sito ha già editato una prima presentazione – è un’installazione minimale e poetica giocata sulla precisa collocazione di frammenti ceramici e pietre. Un layer di fibra di organza divide in diagonale uno dei quattro cortiletti del Filarete, quello chiamato “Bagni delle donne” che si raggiunge dopo una serie di passaggi intermedi rispetto alla Cortile d’Onore del complesso universitario. Un luogo silenzioso e raccolto al cui interno Kuma ha immaginato due nuovi spazi triangolari, dividendo il rettangolo delimitato dal quadriportico in due figure simmetriche, che si mantengono sempre in relazione con la pianta originale grazie alla leggerezza dell’organza che contemporaneamente vela e svela lo spazio. La cortina funge da parete semitrasparente durante le ore diurne, mentre si trasforma in un vero e proprio screen durante la notte sul quale vengono proiettati dei video. Di notte sulla tela, che scende come una cascata leggera a marcare i due setti materici, sono proiettati dei racconti per immagini che rivelano vuoti e pieni, giochi di luce e ombra alterando le reali dimensioni del layer. Attraverso un’accelerazione dei frame di immagini la proiezione mostra il passare del tempo nell’arco di una giornata. La cortina divide il cortile in due giardini in cui pezzi di ceramica e sassi silicei sottolineano similitudini e contrapposizioni, metafora del concetto orientale di Yin e Yang. Lungo la loggia è allestita una sequenza di installazioni in alcune delle stanze che si affacciano sul cortile e che collegano l’opera milanese site specific a quella emiliana presente presso la sede dell'azienda  - che quest’anno celebra i suoi cinquant’ anni - attraverso una serie di video e di live-cam.

 

“House of Stone” di John Pawson. (ph. Sergio Anelli)

 

Dall’apologia della non-materia alla forza concreta ma minimalista della casa primigenia di John Pawson. In direzione diametralmente opposta rispetto ai cortili del Filerete si trova infatti il cortile Settecento al cui interno l’architetto e designer inglese ha realizzato per l’azienda toscana Salvatori un archetipo di abitazione interamente composto con una innovativa pietra: Lithoverde. “Il minimum – scriveva qualche anno fa Pawson in un suo famoso libro - può essere definito come la perfezione che un oggetto raggiunge quando non è più possibile migliorarlo per sottrazione. E questa idea è certamente alla base del padiglione House of Stone da lui concepito. L’architettura di John Pawson non ha bisogno di presentazioni. Il suo nome, ormai da anni legato ad un’estetica minimalista e sobria, è sempre rimasto estraneo alla cultura del jet-set preferendole una pratica professionale rigorosa e coerente. Ancora più prezioso appare dunque il coinvolgimento dell’architetto inglese all’interno di questa manifestazione che lo vede, per la prima volta, impegnato nella realizzazione di un padiglione temporaneo in Italia. L’idea alla base di questo intervento è di una efficace semplicità ma si basa al contempo su ricerche tecnologiche avanzate. Pawson ha disegnato una casa primigenia composta da lastre di pietra tagliate in modo da far penetrare la luce esterna come all’interno di un luogo sacro, in cui le gradazioni dello spazio siano la risultante del rapporto tra materia e illuminazione. L’effetto notturno, al contrario, mostra una sagoma elegante e scura dal cui interno fuoriescono raggi luminosi che rischiarano la corte circostante. Il materiale con cui il padiglione è stato realizzato è di nuovissima concezione. Lithoverde è composta per il 99,9% da lastre di scarto – che abitualmente richiedono grande dispendio di energia e di costi per essere eliminate – e solo per uno 0,1% da una resina naturale che funge da collante per consentirne una maggiore solidità.

 

“House of Stone” di John Pawson. (ph. Sergio Anelli)

 

Con uno sguardo sofisticato ed esperto John Pawson ha tradotto in questa installazione alcuni temi cari all’arte contemporanea. Il rispettoso e quasi sacrale amore per la materia dello scultore spagnolo Eduardo Chillida così come i détournements applicati da Gordon Matta-Clark alle sue opere. I noti tagli che l’artista americano operò su molti edifici abbandonati vengono qui ripresi e sublimati attraverso la creazione di un edificio simbolico. La semplicità ed il rigore della forma racchiusa nello scrigno storico del Cortile Settecentesco entra in un suggestivo contrasto con le infinite variazioni della luce e con le preziose mutazioni cromatiche di una pietra che viene qui presentata in esclusiva.

 

“The Wooden Beacons” di Matteo Thun. (ph. Sergio Anelli)

 

Presso il portico del Richini – il progettista della chiesa secentesca SS. Annunziata attigua al cortile d’Onore – Matteo Thun designer e architetto altoatesino impegnato ormai da anni nella progettazione sostenibile e Consuelo Castiglioni la raffinata fashion designer di Marni hanno ideato The Wooden Beacons (I fari di legno). L’installazione interroga lo spettatore - che è chiamato a compiere un percorso esperienziale all'interno delle diverse parti che compongono l'opera - riguardo il processo di gestione dell’intero ciclo di vita di un prodotto. Dal suo concepimento attraverso la formulazione formale e la produzione passando per l’assistenza da parte della catena commerciale fino allo smaltimento. L’installazione coniuga architettura e moda, che condividono, all'interno della ricerca per la sostenibilità, valori fondamentali come la salvaguardia dell’ambiente. In questo spirito l’installazione è realizzata principalmente in legno mentre le parti "attive" sono indicate attraverso l'uso di altri materiali come carta, tessuti, plastica, semi, corno, legno, crine e resine.

L’installazione è formata da tre parti disgiunte che possono essere guardate, attraversate, toccate e annusate. Questa scelta nasce dal bisogno di esplicitare una interazione fra architettura, intesa come parte “hardware” della composizione ed elementi decorativi interni, percepiti come “software”. I tre grandi elementi “hardware” sono le gabbie composte in legno, chiamati “fari”. Realizzati in legno di quercia rossa americana (American red oak), una qualità che offre texture molto intense, è stato fornito dall’American Hardwood Export Council. Mentre gli elementi decorativi “software” interni ai fari sono stati realizzati da Marni, in tre tipi di materiali. Diversi elementi sono stati composti con gli stessi materiali usati per creare gioielli, tessuti per confezionare abiti e accessori e cartamodelli - le sagome di carta che i designer usano per tagliare gli articoli di abbigliamento: tutti provenienti dall’archivio della maison.

Il primo “faro” si configura come una gabbia di legno per carta modelli su cui sono state appese, attraverso l'utilizzo di semplici fili metallici, diverse sagome in carta. Il secondo “faro” è una gabbia di legno che contiene balle di stoffa avvolte in pezze più grandi sistemate liberamente all’interno. Il terzo “faro”, più sofisticato, è una gabbia di legno che contiene gli elementi con cui vengono costituiti i bijoux. Una quarta installazione si trova invece nel cortile del negozio di Marni in via della Spiga: tavole di legno di noce americano (American walnut wood) disposte in verticale, in modo casuale creano un percorso onirico. In modo divertito e consapevole i due designer hanno portato l'attenzione dello spettatore su di un tema attuale e problematico: la storia degli oggetti. Non intesa, qui, come storia estetica o fattuale ma come vero e proprio percorso di vita. Non è un caso se questo stesso tema è stato l'oggetto della conferenza organizzata dal Sole Ventiquattr'ore proprio nella settimana del design. Ma, la descrizione di questo evento, sarà l'oggetto del prossimo post...

 

Elisa Poli

 

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