Playscape
Alberto Iacovoni, Davide Rapp
Librìa, Melfi 2009
175 pagine, ill.,
prezzo: 18,00 €
testo in italiano
“Playscape” è il motto del progetto vincitore con cui alcuni giovani progettisti animati da passione creativa e responsabilità sociale partecipavano nel 2003 a un concorso per la VII sessione del ciclo Europan, avente ad oggetto la riqualificazione di un quartiere parigino di edilizia economica e popolare costruito negli anni ’60.
L’ansia di una progettualità più sensibile alla complessità della società contemporanea, che rinunci a riflettere nel disegno dello spazio il gesto enfatico e totalitario dell’architetto a favore della valorizzazione delle componenti sociali, storiche, culturali, naturali come potenziali fattori indispensabili per una reale qualità urbana, permea questo piccolo ma denso testo che porta lo stesso titolo di quel lontano progetto e adombra, oggi forse con una più completa maturità e consapevolezza, gli stessi sogni di allora.
Una riflessione lucida e disincantata sul concetto di utopia, su come sia stato elaborato nel tempo attraverso le arti visive (da “2001 Odissea nello Spazio” ai videogames) e la realtà costruita (gli edifici “astronave”, dal Corviale a l’Unité d’Habitation), fa da premessa a un viaggio immaginario che un certo signor H. (omaggio all’Hulot di Tati) intraprende tra le strade e le piazze di Playscape, universo urbano “parallelo”, ideale proiettivo a cui tendono i pensieri e le azioni dello studio ma0 di cui uno degli autori, Alberto Iacovoni, è fondatore e socio.
Si profila così la presa di consapevolezza che la geometria della forma è ormai uno strumento inadeguato per garantire la corretta sinergia delle forze e la vivace eterogeneità del mondo non solo contemporaneo ma anche e soprattutto futuro. Nelle pieghe della città “banale” di oggi, sempre più arroccata dietro a barriere di ostilità e segregazione, gli spazi pubblici hanno perso la valenza di luoghi pulsanti di relazione per cristallizzarsi dietro le scenografie sterili ma rassicuranti dei quartieri di edilizia senza pregio e dei malls riletti in chiave pseudo -rinascimentale, in una nuova topografia artificiale sempre più indifferente al territorio e alla vita di chi lo abita.
La strada è allora quella dell’allentamento, dell’interazione, del processo.
“Allentamento” dei confini, sia fisici che culturali, ovvero di quella “morsa” che porta allo strangolamento della linfa vitale delle città, attraverso la riscoperta dell’indeterminazione e dell’affrancamento dalla schiavitù della forma, nella convinzione che solo sciogliendo i vincoli che legano uno spazio a una funzione si possa ridurre l’incolmabile abisso, oggi terribilmente evidente, tra vita e progetto.
“Interazione”, ovvero un futuro in cui la tecnologia, potente ed ecosostenibile, è a totale servizio di una architettura come “sistema vivente” in grado di adattarsi al variare delle condizioni ambientali, climatiche e sociali.
“Processo”, nel senso di una trasformazione evolutiva cosciente e consapevole che infrange prospettive predeterminate a favore di un naturale percorso di adeguamento dello spazio costruito alle sollecitazioni di trasformatori economici, culturali, antropici.
Un testo pregnante, questo di Iacovoni e Rapp, che intende sollecitare una doverosa riflessione in chi “le mani sulla città” è chiamato a metterle veramente, come progettista o amministratore, per risvegliare la consapevolezza che lo spazio pubblico è il vero garante della qualità urbana e che senza una visione di spazio come res publica le città si trasformano, come dice Mylene Remy, in un ”universo kafkiano senza cuore”.
Chiara Testoni