L’oggetto di carta o cartone è stato associato nella modernità a una nozione di merce povera e transitoria; eccezion fatta per i supporti grafici destinati a durare, i materiali a base di fibre di cellulosa hanno sì pervaso la quotidianità dell’uomo1, ma quasi sempre nella prospettiva del consumo immediato e, di frequente, in connessione diretta a un’idea di sfruttamento dannoso dell’ambiente e delle materie prime naturali.
Oggi, tuttavia, la percezione di tali prodotti è mutata.
In generale, da tempo, si è sviluppato un profondo ripensamento del concetto di “usa e getta”: le nozioni di economicità, assenza di manutenzione, indifferenza al senso di possesso, di cui gli articoli di facile e rapido consumo sono paradigmatici, sono sempre più spesso percepite come valori; inoltre alcune pregiudiziali negative dell’usa e getta, correlate all’assenza di qualità, al consumismo e alla mancata sostenibilità, sono state ribaltate da una nuova consapevolezza ambientale e da nuove pratiche di produzione e utilizzo2.
In particolare, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, l’industria cartaria ha precocemente accettato la sfida della sostenibilità dei propri prodotti nell’intero ciclo di vita, ha progressivamente aumentato l’impiego del macero e ha certificato filiere e materiali ottenendo marchi Ecolabel. Oggi, per stare ai soli dati italiani, il settore cartario utilizza una quantità di fibre secondarie da riciclo che tocca quasi il 50% e che supera abbondantemente quella delle fibre vergini, comunque provenienti da foreste coltivate in base a protocolli altamente sostenibili.
Secondo il 17° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone pubblicato dal COMIECO, nel 2011 ogni italiano ha raccolto in modo differenziato oltre 50,6 kg di carta e cartone, mentre ammonta a 4 miliardi di euro il saldo netto dei benefici per la comunità nazionale, derivante dall’aver attuato dal 1999 a oggi la raccolta differenziata e il riciclo dei prodotti cellulosici. Si tratta di dati consistenti, emblematici delle positive ricadute ambientali, economiche e sociali derivate da un diffuso e consistente ripensamento dei processi e dei prodotti cartari3.
Tale cambiamento è partito negli ultimi lustri dalla gamma dei materiali, aggiornata con prodotti innovativi in larga parte ottenuti dal recupero; esso si è poi sviluppato attraverso la creatività di designer, artisti e artigiani grazie ai quali la cellulosa rinasce ciclicamente, alimentando un universo produttivo sostenibile, leggero, amichevole e declinato in maniera articolata nei settori dell’arredamento, dell’allestimento e dell’architettura, del packaging e del corporate design, del design for children, del fashion design.
Enzo Mari. Precorritore del design in cartone
Di questo fenomeno Enzo Mari è stato un precorritore assoluto, poiché già negli anni ’60 del secolo scorso ha conferito ai materiali cartari il valore aggiunto di un design colto e innovativo. Impiegando il cartone, Mari crea allestimenti, imballaggi e strumento ludici e didattici per Danese: struttura produttiva che inizia la sua attività nel 1957 e si configura come una realtà agile e versatile, dedicata alla realizzazione di oggetti d’uso di alta qualità. In tale contesto il designer può sperimentare le potenzialità di una filiera in cui sono compresenti lavorazioni artigianali e processi industriali, con lo scopo di rispondere ad una vocazione produttiva spiccatamente innovativa, che sperimenta nuove tipologie oggettuali basate di frequente sull’ambiguità formale e funzionale, sull’ironia, sulla comunicazione di significati inediti e di una peculiare interpretazione del mondo.
I sistemi espositivi in cartone di Enzo Mari, studiati per le mostre e i negozi Danese, presentano un’elevata connotazione architettonica, basata sulla composizione di moduli dalle geometrie primarie, a creare forme complesse per la divisione dello spazio o il supporto all’esposizione dei prodotti; gli elementi di base sono sempre in cartone canettato con alcuni inserimenti di plexiglass o laminati plastici; le disposizioni di montaggio sono libere e variate e avvengono per accostamento o sovrapposizione, secondo schemi lineari, retti, circolari o sinuosi; i sistemi di giunzione utilizzano diffusamente la graffettatura metallica.
Il designer realizza un primo allestimento nel 1964, si tratta di una “struttura cellulare” con moduli scatolari in cartone di 50x50x30 cm. Tra il 1965 e il 1969 elabora un sistema più complesso e versatile, basato su profili ripiegati ad U che danno vita a forme “a sedia” o trapezoidali di 18x70x100 cm; questi ultimi elementi sono impiegati in varie composizioni negli spazi commerciali Danese e per le mostre degli oggetti del marchio allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1967) e al Musée des Arts Décoratifs di Parigi (1970).
Del 1966 è un allestimento con elementi tubolari in cartone di diversa altezza a base quadrata e del 1969 sono le scaffalature con montanti in cartone e ripiani in plastica trasparente che per lungo tempo andranno a costituire il sistema si allestimento “stabile” del negozio Danese.
La stessa concezione che Danese esprime nella realizzazione dei suoi allestimenti è ribadita dall’azienda nell’impostazione del packaging, dove il marchio disegnato da Franco Meneguzzo è coordinato con il progetto dell’imballo e della grafica firmati di volta in volta dallo stesso Mari o da Bruno Munari.
Scatole in cartoncino e in cartone dai colori naturali e dai volumi elementari, essenziali grafiche serigrafate, sistemi semplici di montaggio e di chiusura sono i caratteri di un packaging design che mira ad una sostanziale economia di materiale e di operazioni per la realizzazione, prendendo le distanze da una certa idea di confezione “ad effetto” che inizia ad imporsi proprio tra gli anni ’60 e gli anni ’70; per Stefano Casciani tutto ciò è ancora una volta in linea con le esigenze di un’azienda per cui «la comunicazione principale è affidata al valore del prodotto, alla sua capacità di rispondere alle necessità dell’utilizzatore, allargate in senso “antropologico", attraverso una forma e una funzione innovative»4.
Nel corso degli anni ‘60, sempre nel contesto della produzione Danese, Mari traduce in gioco le ricerche che sta conducendo sull’uso del cartone negli allestimenti. Il frutto di tale lavoro - che si esplica su più fronti di innovazione tipologica, visiva e grafica - è Il posto dei giochi: un foglio di cartone rigido, piegabile a fisarmonica, adatto per essere impiegato come attrezzatura multifunzionale da bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Il paravento, leggero e resistente, è uno strumento per giocare, con cui costruire recinti chiusi o aperti, labirinti o scenografie; la parete è caratterizzata da fustellature sui bordi e da trafori di varie forme e dimensioni, inoltre su di un solo lato è “decorata” con serigrafie geometriche. Intagli e disegni arricchiscono il gioco di elementi simbolici aperti a molteplici interpretazioni da parte dei piccoli utilizzatori, conferendo viepiù allo strumento il carattere di uno spazio interattivo, definito da Renato Pedio come un vero e proprio “habitat a misura di bambino”, di cui Gillo Dorfles ha sottolineato la “componente magico-rituale”5.
Con Il posto dei giochi Enzo Mari mette a punto un capostipite del paper design per bambini, una materializzazione essenziale delle funzioni esplorative, creative e di supporto didattico del gioco infantile; ma il palinsesto di cartone è molto di più. Per i suoi caratteri visuali ed evocativi esso si configura infatti come un’opera aperta, proiettata oltre il regno degli oggetti d’uso. È ancora Casciani ad affermare a giusta ragione che Il posto dei giochi rappresenta «un fenomeno di confine nel tempo e nello spazio della produzione Danese, in bilico tra l’oggetto d’arte e il gioco per bambini. Forse non casualmente dal 1970, quando entra nella collezione del Kunstgewerbemuseum di Zurigo, questo prodotto ottiene una lunga serie di riconoscimenti in quelle istituzioni “artistiche” per eccellenza che sono i musei»6.
Forme e strutture di carta e cartone per l’arredamento e l’architettura
Le prime sperimentazioni contemporanee di tipo sistematico sul tema dell’arredamento in carta e cartone sono documentate da Victor Papanek nel volume Nomadic Furniture; l’opera viene pubblicata nel 1973 negli Stati Uniti ed è configurata come un vero e proprio manuale-repertorio per l’autoproduzione o l’acquisizione di mobili e oggetti trasportabili, trasformabili, riciclati e riciclabili. Papanek, maestro ante litteram del design socialmente ed ecologicamente responsabile, dedica ampio spazio ai materiali a base di cellulosa, elaborando in prima persona schede-progetto per piccoli elementi in cartone (sedute e contenitori) e analizzando arredi di altri designer, tra cui spiccano la sedia in cartone piegato per il marchio svedese Dux (1968) e i mobili in cartone stratificato Easy Edges (1972) di Frank O. Gehry. Nel segnalare questi elementi, elogiati per le qualità di economicità, resistenza, leggerezza e riciclabilità, Papanek individua le due principali modalità creative utilizzate nel settore dell’arredamento, da questo momento fino all’attualità, per conferire tridimensionalità alla natura sostanzialmente bidimensionale del materiale.
Dagli anni ’80 del Novecento, con un decisivo incremento tra la fine degli anni ’90 e gli anni 2000, si è assistito infatti ad un proliferare di progetti finalizzati ad introdurre i materiali cellulosici nello spazio abitato, utilizzando carta e cartone ampiamente riciclati e riciclabili, piegati o stratificati per dar vita ad una vasta fenomenologia di configurazioni formali. Nel caso della prima modalità, designer e produttori (che in questo ambito spesso si identificano) hanno realizzato il volume dell’oggetto attraverso processi di taglio, piegatura, incastro e/o incollaggio; nel secondo caso la forma tridimensionale è stata ricavata tagliando i fogli, stratificandoli perlopiù per incollaggio e modellando poi il “blocco” ottenuto con ulteriori operazioni di taglio, traforo, rifilatura.
A partire da tali processi combinatori è possibile alimentare numerosissime associazioni geometriche. Ciò è stato dimostrato negli ultimi anni da molti designer che hanno incluso la carta e il cartone tra le essenze materiche principali della loro attività, declinando un universo formale ricco e variegato: si pensi in proposito al neodecorativismo di Giles Miller, con i suoi arredi e complementi in cartone ondulato; all’approccio minimale di Olivier Leblois, con le sue forme elementari ripiegate; al design relazionale ed eclettico di David Graas, con i suoi oggetti ad incastro basati su una valorizzazione funzionale ed estetica del cartone fustellato.
Ulteriori aspetti di questo mondo produttivo straordinariamente articolato sono rappresentati dai Nendo Design con la loro Cabbage Chair, e da Tokujin Yoshioka con le sedute Honey Pop e Cloud che enfatizzano la leggerezza e la morbidezza della carta alveolare o corrugata con forme lievi, increspate e diafane, disponibili ad accogliere il corpo umano in configurazioni variabili. In questa linea di sviluppo si inserisce Molo Design, disegnando e producendo la collezione Soft in cui arredi, lampade e sistemi di partizione autoportanti acquisisco configurazioni tridimensionali per espansione o rotazione di forme stratificate in carta a nido d’ape.
Emblematiche della tecnica di piegatura sono la poltrona Otto di Peter Raacke, la Papton Chair di Fucks+Funke e la sedia S1 di Marco Giunta, a cui fanno seguito le nutrite produzioni di Kubedesign e Generoso Design.
A4A Design, Uroborodesign, Studio Caporaso e Tullini Design creano mobili e sistemi modulari in cartone alveolare o ondulato, ispirandosi alle linee e alle modalità costruttive anticipate da Gehry con gli arredi Easy Edges.
Nel settore del design per l’arredamento in materiali cellulosici, una linea di sviluppo specifica ha riconsiderato la morfologia dei corpi illuminanti a partire dalla tradizione delle lanterne orientali in carta di riso: il capostipite di tale ricerca è stato Isamu Noguchi, artista e designer nippo-statunitense che a partire dagli anni ’40 del Novecento ha rielaborato le lanterne tradizionali attraverso le innumerevoli variazioni tipologiche delle lampade Akari (da tavolo, da terra e a sospensione). Tra gli anni ’70 e gli anni ’90 è Toshiyuki Kita a proseguire la rielaborazione con le lampade in carta Washi delle collezioni Tako, Pao e Aoya; è poi Ingo Maurer a proporre nuove forme libere di corpi illuminanti in carta, dapprima con le lampade Hana, poi con la collezione Mamo Nouchies7.
Il fertile e diffuso ripensamento dei prodotti cartari che negli ultimi anni ha investito l’arredamento, si è esteso anche al settore dell’interior design e degli allestimenti per mostre, eventi o spazi di vendita; ciò è avvenuto innanzitutto a partire dalla gamma dei materiali, ampliata attraverso processi di lavorazione e di design materico innovativi e avanzati (taglio laser, ibridazioni, trattamenti ignifughi o impermeabilizzanti). La vastissima produzione attuale spazia dalle tradizionali carte comuni, artistiche, per la stampa; ai cartoncini per usi speciali; ai cartoni tesi, fibrati o ondulati. A questi si aggiungono i cartoni alveolari e i tubi in cartone che presentano una nuova morfologia tridimensionale ed elevate proprietà di resistenza strutturale. Inedite qualità espressive e prestazionali sono assicurate da prodotti innovativi (in larga parte ottenuti ancora una volta da riciclo) come i compositi di cellulosa e resine di notevole durezza denominati Paperstone; i cartoni Re-Board resistenti al fuoco e all’acqua; i pannelli ad elevata compattezza Sundeala, derivati dal riuso della carta di giornale8.
L’ampliamento e l’innovazione della gamma materica, pur salvaguardando la competitività dei prodotti cellulosici, ha consentito di superare nuove frontiere prestazionali e ha reso praticabile il salto di scala che carta e cartone hanno compiuto verso il settore applicativo dell’architettura.
La sfida della durata e della resistenza strutturale è stata colta da Shigeru Ban, architetto giapponese che dalla metà degli anni ’90 ha condotto le prime sperimentazioni sul tema delle abitazioni d’emergenza e dei padiglioni temporanei in cartone.
Successivamente il progettista ha esteso il suo campo d’intervento ad altre tipologie di edifici, stabili e di dimensione più consistenti, dimostrando che la ricerca sulla “costruzione di carta” è ricca di potenzialità da esplorare e sviluppare, sia sul fronte dell’espressività dell’opera architettonica, sia sul versante della configurazione funzionale e formale dei numerosi, possibili, componenti edilizi a base di cellulosa9.
Davide Turrini
Note
1 Un primo inquadramento sulla storia e i metodi produttivi della carta e del cartone, dall’antichità al XIX secolo, si trova in: Hans H. Bockwitz, Il cartone attraverso i secoli, Milano, Ed. Culturali della rivista “L’industria della Carta”, 1957, pp. 43. L’autore identifica e analizza i molteplici artefatti realizzati con il papiro e la pergamena come precursori della carta; poi descrive la storia dei materiali cartari attraverso i principali prodotti di seguito riportati: volumi islamici (secoli IX-XII d.C), carte da gioco tedesche (XIV secolo), volumi europei (secoli XV-XIX), giochi da tavolo francesi (XVIII secolo), scatole e altre confezioni americane (XIX secolo). Per un approfondimento articolato sulla storia della carta con particolare riferimento al contesto italiano si rimanda a Enrico Pedemonte (a cura di), La carta. Storia, produzione, degrado, restauro, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 238.
2 Si veda in proposito Renato De Fusco, Design 2029. Ipotesi per il prossimo futuro, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 65-71.
3 Sull’evoluzione della raccolta differenziata dei prodotti cellulosici nell’Italia postindustriale, sui suoi aspetti ambientali, economici e socio-culturali si rimanda a Carlo Montalbetti, Ercole Sori (a cura di), Quel che resta di un bene. Breve storia della raccolta differenziata e del riciclaggio di carta e cartone, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 192 (con consistente bibliografia).
4 Stefano Casciani, Arte industriale: gioco, oggetto, pensiero. Danese e la sua produzione, Milano, Arcadia, 1988, p. 57. Il volume è imprescindibile per la documentazione completa e il contributo critico sui progetti in cartone di Enzo Mari.
5 Sui progetti in cartone di Mari si veda anche Renato Pedio, Enzo Mari designer, Bari, Dedalo, 1980, pp. 143 (in particolare le figg. 96-99/109-113 con relative didascalie). Sui giochi si rimanda inoltre a Emilio Battisti, Gillo Dorfles, Mariella Loriga, I giochi per bambini di Enzo Mari, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1969, pp. 91.
6 Casciani, op. cit., p. 125.
7 Su arredamento e allestimenti in cartone si vedano: Marco Cappellini (a cura di), Idee, proposte e soluzioni per allestimenti in carta e cartone, Milano, Comieco, 2008, pp. 56; Città sottili. Luoghi e progetti di cartone, Melfi, Librìa, 2008, pp. 133; Petra Schmidt, Nicola Stattman, Unfolded: Paper in Design, Art, Architecture and Industry, Basilea, Birkhäuser, 2009, pp. 255; L’altra faccia del macero. Applicazioni industriali, artigianali e d’arte a base di fibre riciclate, Milano, Comieco, 2010, pp. 170. Per alcuni interessanti esempi di sperimentazioni e contaminazioni condotte tra arte, design e moda in carta e cartone si rimanda a: Arte e design. Vivere e pensare in carta e cartone, Milano, Comieco-Dativo, 2011, 2 voll.; Edoardo Malagigi, Angela Nocentini (a cura di), Un mondo di carta. Arte e design, Milano, Skira, 2011, pp. 119.
8 Per un approfondimento tecnico si veda Costruire con il cartone. Guida all’utilizzo del cartone negli allestimenti e nel design, Lucca, Lucense, 2012, pp. 48.
9 Oltre alle monografie su Shigeru Ban, per le applicazioni dei prodotti cellulosici nell’architettura contemporanea si rimanda a Alessandro Rogora (a cura di), Carta e cartone in edilizia, Monfalcone, Edicom, 2006, pp. 84.
Il presente saggio è tratto dal volume di Lab MD MaterialDesign Comunicare idee con carta e cartone, (a cura di Alfonso Acocella), Lulu edizioni, 2012, pp. 88.