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Paglia. Umile materiale, nobili artefatti

27 Febbraio 2013

  • La paglia prima della lavorazione
  • Le mani delle trecciaiole
  • La cucitura del cappello

 

La celebre commedia di Labiche andata in scena a Parigi nel 1851 col titolo Un chapeau de paille d'Italie tradotta in italiano con Un cappello di Paglia di Firenze e diventata nota soprattutto per l’operina che ne fece Nino Rota nel 1955, narra le disavventure di un giovane in procinto di sposarsi il cui cavallo mangia un prezioso cappello di paglia ad una signora appartata col proprio amante.


La locandina della trasposizione cinematografica che ne fece Fernandel nel 1940

L’impresa del protagonista sarà quella di ritrovare un cappello per la signora uguale a quello che ha sfamato il proprio cavallo; impresa non facile nella Parigi di due secoli fa, vista la grande richiesta sul mercato europeo di cappelli di paglia da donna ed un’offerta che proveniva essenzialmente dalle campagne fiorentine.

Accessorio raffinato eseguito con vile materiale (biada per cavalli, appunto) che sviluppò una economia originale mettendo a punto l’intero ciclo di lavorazione: dalla coltivazione alle spedizioni in tutto il mondo.

Con il termine paglia si intendono genericamente gli steli dei cereali. Ed infatti, a seconda dei luoghi di coltivazione, cambia anche il materiale lavorato. Se nei dintorni di Firenze si lavorava già dalla metà del 1300 la paglia di grano, a Wohlen, nel cantone Argovia della Svizzera tedesca si lavorava la paglia di segale1 e numerosi sono stati i contatti tra i due centri2.

Ciò che sembra avere fatto la fortuna della lavorazione della paglia è stato il connubio tra la creatività della lavorazione ancor prima della particolarità del materiale che, seppure vile, veniva selezionato nel migliore dei modi.

Nella piccola pubblicazione intitolata Sul fondatore dell’industria della paglia in Toscana, edito a Firenze nel 1871, si racconta che «cappelli intessuti di quella materia rozza soleasi da taluno de’ navicellai di Ponte a Signa esser portati a Livorno» dove venivano venduti «presso alcuni de’ tanti forestieri che capitavano in quel porto, specialmente presso gli inglesi; ma più che per l’uso formavano oggetto di ammirazione per l’ingegnosa maniera della loro intrecciatura»3.

Noto è che nel 1714 «un uomo moveva da Bologna, sua terra natia, alla volta di Firenze».  Quest’uomo si chiamava Sebastiano Domenico Michelacci e presto venne soprannominato il Bolognino.

L’intuizione fu quella di coltivare il grano non per il frumento ma per la paglia in modo che fosse il più regolare possibile, flessibile e di colore chiaro. I semi più adatti furono  quelli denominati Abetone e Santafiora i cui nomi identificano anche la zona di provenienza. La semina veniva fatta a spaglio e molto fitta in modo che le piantine si sviluppassero in altezza. La raccolta era anticipata al mese di maggio e, secondo alcuni racconti, anche nelle ultime settimane di aprile quando il grano non era maturo ma il fusto era fresco, chiaro e flessibile. Inoltre per questo scopo si rivelarono più adatti i terreni poveri e meno soleggiati, quindi non del tutto idonei alla coltivazione del grano da frumento. La raccolta avveniva per sradicamento e non con la mietitura in modo da poter sfruttare tutta la lunghezza del fusto che, poi, veniva diviso tra quello più vicino alla spiga che era più sottile (paglia di punta) e quello vicino alla radice che era più bianco (paglia di pedale). Ad applicare questa tipo di cernita sul materiale fu per prima la ditta Vyse originaria di Luton, importante centro di lavorazione della paglia in Inghilterra. Con queste innovazioni si sviluppò la lavorazione della paglia nei dintorni di Firenze e in tempi differenti, alcune zone si identificarono anche per diversi tipi di lavorazione. Seppure Signa e la Lastra rimangono i centri di elezione, anche Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Galluzzo, Impruneta e Fiesole hanno le loro specializzazioni di lavoro.

 


Tipica lavorazione del territorio fiesolano: bigherino tessuto a telaio con ordito di materiale tessile e trama di paglia

Tre cose sono da mettere in evidenza: la creatività diffusa che permetteva un innovazione costante impostata su conoscenze condivise e su esperienze talvolta anche provenienti da settori affini; l’estrema capacità innovativa che ha portato le varie aziende a registrare numerosi brevetti, ad usare diversi tipi di intrecci e di materiali; l’organizzazione del lavoro che coniugava artigianalità e produzione industriale, lavoro secondario a domicilio e lavoro primario in fabbrica.

Tutta la lavorazione, che aveva come prodotto finito principale il cappello per allargarsi poi ad altri accessori di abbigliamento come le scarpe, borse, cinture e anche oggetti per la casa, era impostata sulla lavorazione della treccia.

La treccia è un incrocio di elementi filiformi formata da un numero dispari di elementi da un minimo di tre ad un massimo di tredici che si intrecciano senza una geranchia tra loro ma con un ordine preciso sovrapponendosi con angolazione variabile.

Dopo avere dato un ordine ai fili si incrocia il primo altrenativamente con gli altri procedendo dall’esterno verso l’interno. Su questo intreccio di base si hanno poi numerose varianti che interpretano processi di lavorazione che si riferiscono alla tessitura e anche all’arte del ricamo assai sviluppata, anche questa, nel territorio fiorentino.

Se, come abbiamo visto, la paglia da cappelli è stato un elemento determinante per lo sviluppo di questo comparto, va segnalato, comunque, il fatto che la grande creatività di questo settore, ha portato a trasferire le conoscenze anche nella lavorazione di materiali diversi, fossero stati questi materiali naturali o artificiali, dando vita ad una serie amplissima di prodotti.

La paglia veniva lavorata anche a tutto filo, cioè senza dividere la punta dal pedale, intera o sfesa, ottenuta cioè tagliando longitudinalmente il filo di paglia in due o più parti, e ridotto così sottile il materiale poteva essere impiegato anche per ricami su manufatti di paglia o di altra natura.

 


cappello in paglia esposto al museo di Signa realizzato con intreccio non convenzionale

Tra le fibre naturali, si ricordano anche la sisal, la jova, la rafia, la sala, il truciolo di legno. La sala è una pianta palustre tipica del Padule di Fucecchio (Firenze) con le cui foglie si realizzavano trecce a tre capi che venivano poi impiegate per rifinire, in particolare, borse e scarpe; trovava impiego anche nell’impagliatura dei fiaschi e delle sedie. 

La lavorazione della paglia interessò in larga parte la manodopera femminile sia all’interno che all’esterno delle fabbriche.

Essenzialmente il lavoro di intreccio veniva eseguito fuori. Si legge nel testo di Maria Emirena Tozzi Bellini: «Al momento della realizzazione dei nuovi campioni, le trecciaiole più brave venivano radunate e isolate in modo che riuscissero a trovare la concentrazione necessaria per svolgere il compito loro assegnato. Riunite in uno stanzone o in un angolo del magazzino veniva posto loro davanti la più ampia varietà di materiale: paglia di punta, di pedale o tutto filo o altro ancora. Le trecciaiole, traendo ispirazione da ciò che avevano davanti iniziavano a creare. Pare che tra loro non ci fosse competitività»4.


Una cosiddetta cappellina esposta alla mostra Florens 2012 in sala d’Armi a Palazzo vecchi a Firenze

Il modello di cappello che dette inizio allo sviluppo manifatturiero della zona delle Signe situata a ovest di Firenze, fu quello da donna a larghe e morbide falde ricurva e spiovente verso la nuca, la cosiddetta Pamela. Realizzato tradizionalmente in trecce da tredici fili, veniva frequentemente ornato con fiori e spighe di grano. Deve il suo nome alla protagonista del romanzo di Samuel Richardson del 1740. Altro nome usato per lo stesso modello è stato anche quello di capeline o cappellina che veniva realizzato anche in altra natura. La concorrenza del Casentino e delle Marche e il cambiamento del gusto provocò, intorno agli anni Venti, un crollo nelle ordinazioni e quasi tutte le aziende del territorio si orientarono sulla produzione di un cappello che presentava una lavorazione molto diversa. Si trattava del cappello da uomo chiamato canotto o paglietta che risollevò in modo significativo le sorti delle aziende signesi. Tale scelta provocò una completa riorganizzazione del lavoro: se con il cappello in tredici,  le trecce e le rammagliature cioè la cucitura che determinava l’oggetto finito, potevano essere eseguite da lavoranti a domicili, e soltanto alcune fasi della lavorazione venivano riferite all’industria, (scelta dei materiali, tintura, spedizioni, ecc.) con il canotto la lavorazione viene eseguita completamente all’interno dell’industria. Si tratta, infatti, di un cappello in genere eseguito con una treccia di importazione cucita con una macchina creata specificamente per questo scopo. Le trecce venivano cucite per andare a costituire le parti del cappello per poi procedere alla messa in forma in presse di metallo con controforma in caucciù. Successivamente venivano incollati e guarniti. L’unica fase che poteva essere eseguita a domicilio era la guarnitura che consisteva nel fissare il nastro di gros-grain alla base della corona e di fissare internamente, sempre alla base della corona, una fascia di marocchino.

Con la crisi del 1929 le importazioni verso l’America furono ridimensionate in modo assai significativo. Da questo momento non esisterà più un unico modello a caratterizzare la lavorazione e cesseranno così di esistere molte aziende nate dalla necessità di una organizzazione industriale della produzione.

La lavorazione della paglia rimane una voce più che significativa per il territorio ma si riorganizza recuperando anche principi del processo artigianale.

Se la capacità di rinnovamento dei tipi di lavorazione, deve essere attribuita soprattutto alle donne due sono i nomi di coloro che, con diversissime modalità si occuparono dei processi progettuali di questo settore. Il primo è Thayat l’inventore della tuta, artista del secondo futurismo che nel 1928 venne incaricato dal Gruppo nazionale fascista della paglia di disegnare nuovi cappelli da uomo.  Di questa collezione si possono ricordare la Caravella, una specie di canotto che divenne obbligatorio per gli universitari con il nastro nel colore simbolo della Facoltà; il Nauta, molto simile ai berretti da marinai realizzato in paglia bianca con visiera verniciata in nero; il Vetta elaborato in occasione dei giochi delle IX olimpiade di Amsterdam in paglia flessibile color naturale con nastro azzurro e stemma sabaudo e littorio in oro.

Il secondo è Salvatore Ferragamo che realizzò con gli intrecci vegetali più di un modello delle proprie  collezioni riferibili al periodo compreso tra le due guerre e nel secondo dopoguerra.


Sandalo di Salvatore Ferragamo con tomaia in rafia 1940


Possiamo quindi affermare che la ricerca di innovazione riguardava sia il prodotto finito sia il prodotto semilavorato.  Vanno ricordati però anche i numerosi brevetti che vennero registrati sia sulla forma che sulla lavorazione che interessarono il periodo tra le due guerre e il secondo dopoguerra.

Cosa è successo dopo è storia di oggi.

  • L’allestimento in sala d’Armi di Palazzo Vecchio a Firenze organizzato in collaborazione col consorzio “Cappello di Firenze”
  • Un cappello prodotto da Borsalino per Max & Co.
  • Una paglietta Chanel

Nell’ambito di Florens 2012 (ottobre novembre 2012) il consorzio “Cappello di Firenze” ha realizzato un allestimento in Sala d’Arme di Palazzo Vecchio a Firenze al quale hanno partecipato quindici aziende realizzando i duecento cappelli che sono stati esposti dimostrando che il settore è ancora assai vitale. Giuseppe Grevi, presidente del consorzio, nel maggio scorso ha dichiarato che le vendite dei cappelli di paglia degli associati hanno raggiunto i novanta milioni di euro di fatturato e contano trecento persone occupate e mille nell’indotto, una realtà economica di una certa rilevanza.

Il 19 febbraio a Los Angeles si è inaugurata la mostra Hats on film all’Istituto di cultura italiana. Molti dei cappelli di Hollywood, oggi come ieri, provengono dalla Toscana. Nell’anno della cultura italiana negli Stati Uniti, la mostra, promossa dal Ministero degli affari esteri, è l’unico progetto che riguarda l’artigianato.


Marylin Monroe con una grande pamela

Un grande riconoscimento capace di ricordare che la lavorazione della paglia è in grado di esprimere contemporaneamente valori di identità locale e caratteri globali, elementi della tradizione e ricerca di innovazione, oggi come ieri.

Eleonora Trivellin

 Note
1 Nella prima metà dell’1800 ci fu chi anche in Toscana sperimentò la lavorazione della paglia di segale più fine di quella di grano. In particolare: «Agnese Nannucci cominciò per prima a coltivare questa paglia. Sotto la direzione della Nannucci fu realizzato un cappello in 125 giri acquistato nel 1836 dalla corte di Vienna». (cfr. M. E. Tozzi Bellini, La manifattura della paglia nel Novecento, Polistampa 2007, p. 150).
2 Il terzo centro della lavorazione della paglia nel XIX e XX secolo fu Luton in Inghilterra.
3 C. Fancelli, Sul fondatore dell’industria della paglia in Toscana, Firenze, 1871.
4 M. E. Tozzi Bellini, La manifattura della paglia nel Novecento, Polistampa 2007.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI

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J. Bruckmann, La paglia di Fiesole, Giunta Regionale 1987.

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C. Contini, Il cappello di paglia nella storia e nell'arte, Artioli, Modena, 1995.

C. Fancelli, Sul fondatore dell’industria della paglia in Toscana, Firenze, 1871.

R. Lunardi (a cura di), La scuola elementare Leonardo da Vinci per una storia della lavorazione della paglia e degli antichi mestieri a Signa, Signa, 1998.

R. Lunardi, La paglia e l'intreccio di Signa e del mondo nel tempo, Museo della paglia e dell’intreccio, Signa 2002.

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F. Nucci (a cura di), Lo sciopero delle trecciaiole cento anni dopo, Metropoli, Firenze, 1996.

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http://www.ilcappellodifirenze.it/consorzio.html

http://www.iljournal.it/2012/il-cappello-panama-patrimonio-dellumanita/417406

http://www.lastraonline.it/p/storia.php?idpag=56

http://www.museopaglia.it/sezioni/contattievisite.php/

 

RIFERIMENTI ICONOGRAFICI

http://www.nikonclub.it/forum/lofiversion/index.php/t19531.htmL

http://moviecovers.com/film/titre_UN%20CHAPEAU%20DE%20PAILLE%20D%27ITALIE%20(1940).html

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2012/11/03/foto/la_mostra_dei_cappelli-45827846/1/

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http://www.iodonna.it/moda/news-tendenze/2012/cappelli-pagliette-storia-30628771036_3.shtml#center

http://sara50vintagerepro.blogspot.it/2013/01/il-berretto-con-che-cosa-lo-metto.html

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