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PAGINE AUTOPRODOTTE
L’altra faccia dell’editoria

30 Aprile 2014

Pubblicare un libro è un processo che può svolgersi seguendo prassi ideative e produttive non univoche.
“Libro”, in termini generali, è considerato un prodotto editoriale esito di scelte condivise dall’équipe di una casa editrice; artefatto rilegato in carta e cartoncino tale da presentarsi con una veste grafica coerente con l’insieme delle pubblicazioni dell’editore, sia come opera singola che quando volume inserito in una collana, immesso sul mercato con una determinata tiratura e prezzo e quindi sostenuto con risultati di critica e vendita da servizi di ufficio stampa e promozione.


Illustrazioni tratte da Ephemera & Miscellanea di Studio Fludd, Venezia 2013.

Molto spesso gli autori di libri – di qualsivoglia genere o settore – sono identificabili con la casa editrice che li divulga proprio per una condivisione reciproca di valori e tale convergenza va a consolidarsi in una riconoscibile “identità editorial-letteraria”. Tale carattere, spesso, viene sottolineato e rafforzato dalle scelte di grafica editoriale adottate dallo stesso editore.
Così il concetto di “libro” si è stabilizzato in più secoli di editoria non solo letteraria, dall’evento della tipografia in piombo sino a quella “elettronica”; per quanto l’universo multimediale contemporaneo stia avviando molte riflessioni a riguardo, l’idea di “libro”1 come insieme di pagine in carta stampata e rilegata riportante un contenuto grafico di scrittura o immagini, ancora può dirsi non scalfitta.
Ciò nonostante in tutte le culture esiste un controcanto, una narrazione secondaria che si muove parallela (o sottostante) alla corrente principale e che va talora a contrapporsi agli stili consolidati, alle definizioni istituzionali, alle rappresentazioni ufficiali.
Contestualmente all’editoria di grande scala illuminata dai riflettori del mercato della cultura dominante, coesistono altre ricerche ed esplorazioni sul tema del libro che si orientano verso direzioni d’eccezione.
Mentre sfilano i grandi nomi dell’editoria ai festival culturali specializzati – tra i quali spicca quello di Mantova, nato nel 1996 da una iniziativa autonoma di un gruppo di amici ed esploso, poi, con crescente successo in un evento di fama internazionale – anche l’altro volto dell’editoria, quello nascosto ma non perciò meno prezioso, cerca affermazione: trattasi dell’editoria minore e di ricerca, detta “micro”, ma anche editoria “creativa”, “indipendente” e “autoprodotta”.


Le Coeur a barbe, a cura di Tristan Tzara, edizioni “Au Sans Pareil”, Parigi 1922.

La cerchia dei piccoli editori contemporanei rivela e svela se stessa attraverso appuntamenti collettivi, iniziative di condivisione, momenti di officina laboratoriale, di minor dimensione rispetto ai Festival e molto spesso di ambito locale-territoriale, a riprova dell’esistenza di un sottobosco di autori e lettori sempre pronti a coinvolgere nuovi adepti2.
I canali di divulgazione di tali eventi non sono quelli ufficiali. Per lo più la rete internet e l’impalpabile mezzo di promozione che è il “passaparola”, costituiscono gli strumenti più efficaci – nonché low-cost – alla trasmissione delle informazioni per il coinvolgimento di autori indipendenti e di pubblico.

 

  • Alle radici dell’“esoeditoria”, le riviste d’artista del Novecento. Der Dada, rivista edita da Raoul Hausmann, John Heartfield, George Grosz, Berlino, 1919. Copertine e pagine interne.
  • Alle radici dell’“esoeditoria”, le riviste d’artista del Novecento. Der Dada, rivista edita da Raoul Hausmann, John Heartfield, George Grosz, Berlino, 1919. Copertine e pagine interne.





Inquadrando nello specifico un certo settore di editoria minore, autoprodotta e indipendente (dedicata in particolare ad arti visive – grafica, illustrazione, fotografia – e architettura), è significativo rilevare che la tangenza con i processi digitali e i supporti elettronici si limita alla comunicazione, alla diffusione pre e post happening, senza approdare (volutamente) all’aspetto – anch’esso estremamente attuale – di riflessione sulla materialità del libro rispetto all’immaterialità dell’ipertesto. Non si discutono le forme di scrittura e lettura tradizionale, l’azione di produzione del libro come artefatto materiale, la fisicità del supporto, anzi proprio da tali premesse l’editoria creativa parte come spunto di riflessione critica o per esplorare nuove espressività.



Pianeta Fresco, “Una rivista di cultura autogestita”, a cura di Ettore Sottsass, Fernanda Pivano, Allen Ginsberg, Milano, 1967-1968.



Molteplici sono le definizioni che identificano il fenomeno, del resto non classificabile entro un’unica delimitazione proprio per la sua non univoca codificazione.
“Micro-editoria”, “editoria indipendente”, “creativa”, “autogestita”, “autoprodotta”, “esoeditoria”. Anche in lingua anglosassone, seppur con minime differenze tra l’uno e l’altro, esistono diversi termini che possono identificare il fenomeno: micro-press, small-press, selfpublishing, indipendent publishing (indie-pub), underground press.
In generale possono dirsi “autoproduzioni” editoriali tutte quelle pubblicazioni dirette e finanziate dagli stessi autori. Autori e curatori avocano a sé il ruolo di editori non facendo riferimento ad alcun’altra figura, affermando dunque quale tratto distintivo l’indipendenza, l’autodeterminazione produttiva.
Il fenomeno che qui si delinea per libri, riviste e formati narrativi cartacei in genere, trova corrispondenza diretta, anche storicamente, con il settore musicale. È il caso dei dischi e brani musicali pubblicati attraverso “etichette indipendenti”, in antitesi alle grandi case discografiche. Il mondo letterario, delle arti visive e quello musicale presentano analogie e trovano diversi punti di contatto che si potranno riconoscere in forme specifiche di utilizzo di immagini e scrittura3.

 




McSweeney’s è il nome di una casa editrice americana, fondata da Dave Eggers alla fine Degli anni ’90. Eggers è divenuto uno dei simboli della nuova letteratura americana. Il Timothy McSweeney's Quarterly Concern è il trimestrale di narrativa fondato nel 1998 per pubblicare racconti rifiutati dagli altri editori. Dai formati cartacei eterogenei e le confezioni da collezione dei primi numeri, oggi il gruppo McSweeney’s è anche autore di un software di abbonamento per device per la fruizione dei contenuti digitali.



La tensione verso la “riduzione” sembra essere il tratto dominante di tali esperienze. Piccolo, micro, small, sono gli aggettivi ricorrenti affiancati con frequenza al termine “editore”. Dimensioni ridotte, se non minime, della struttura produttiva che può coincidere anche con il solo autore-editore ed il suo spazio (privato) di lavoro4. Produzione selezionata di titoli annuali – più di due, meno di dieci – e tiratura limitata a poche copie, comunque sempre rieditabili (e ciò distingue il settore da quello del “libro d’artista”). La rigidità del copyright viene interpretata con “libertà di spirito” e la distribuzione, se non proprio assente, è limitata ai canali digitali o agli incontri collettivi dove si organizzano “banchetti di scambio” e piccole vendite.
La “micro-editoria” è distinguibile, dunque, attraverso il confronto continuo, sotto tutti gli aspetti, con le caratteristiche del mercato mainstream – la corrente dominante dell’editoria ufficiale –, rimarcando rispetto ad essa distanza e autonomia.
Tessendo la storia dell’evoluzione editoriale in Italia dai primi del 1900 all’era multimediale attraverso i percorsi delle grandi case editrici, anche il critico Gian Carlo Ferretti – nell’affrontare il tema del “piccolo”, autogestito e autoprodotto – incorre in quella che definisce la “nebulosa delle microstrutture”.
“La proliferazione di piccole e piccolissime case editrici” è interpretata da Ferretti come risvolto della “concentrazione”, ovvero “tanto più si sviluppano e consolidano i grandi gruppi tanto più si moltiplicano le microstrutture”.
Per quanto vi siano sottili differenze tra le “piccole case editrici”, citate da Ferretti, e l’“editoria autoprodotta” (il cui profilo questo saggio vorrebbe tratteggiare), quest’ultima può comunque ricondursi alla sua essenziale analisi:
«Si ripete così un fenomeno ben noto e vistosamente esemplificato nella distribuzione di altri settori: il grande magazzino o supermercato favorisce la nascita della boutique, sia essa di abiti o di alimentari. L’eccezionalità del fenomeno rispetto al passato lontano, semmai, è ancora una volta nella qualità di moltissime microstrutture, oltre a un’estesa disseminazione regionale che riguarda anche le iniziative più interessanti. (…)
Si precisano ulteriormente, altresì, le ragioni che sono all’origine del fenomeno: ragioni oggettive e soggettive, di mercato e di opposizione al mercato stesso, anche interagenti tra loro. Innanzitutto la strategia dei grandi gruppi con i suoi interessi extra-librari e la sua produzione libraria generalista o di massa consente o richiede la nascita di segmenti editoriali sperimentali o specialistici, sofisticati o locali, rigorosi o stravaganti.»5




McSweeney’s è il nome di una casa editrice americana, fondata da Dave Eggers alla fine Degli anni ’90. Eggers è divenuto uno dei simboli della nuova letteratura americana. Il Timothy McSweeney's Quarterly Concern è il trimestrale di narrativa fondato nel 1998 per pubblicare racconti rifiutati dagli altri editori. Dai formati cartacei eterogenei e le confezioni da collezione dei primi numeri, oggi il gruppo McSweeney’s è anche autore di un software di abbonamento per device per la fruizione dei contenuti digitali.



Ferretti nel corso della sua trattazione si rifarà alla sintesi proposta da Giovanni Ragone:
«È l’esplosione dell’editoria da computer, del fatto in casa, o dietro casa, in piccoli studi, vicino a centri di iniziativa culturale, spesso come espressione diretta di quelle iniziative: punti che raggiungono (e si collegano dentro) reti “telematiche”, di “competenze specifiche”, di “cult”.»6
Entrambi gli autori nell’indagare i processi dell’editoria libraria, le strutture e i linguaggi della carta stampata, tracciano un percorso principale, sistematico, restituendone il profilo identitario quanto appassionante per il Paese (la storia dei grandi nomi della cultura nazionale associati alle case editrici, la stessa geografia della produzione libraria italiana), e lungo il tragitto si imbattono nel “sommerso” delle case minori e indipendenti, con storie talora di ridotta dimensione e durata temporale ma non irrilevanti rispetto all’argomentazione principale.



 



McSweeney’s è il nome di una casa editrice americana, fondata da Dave Eggers alla fine Degli anni ’90. Eggers è divenuto uno dei simboli della nuova letteratura americana. Il Timothy McSweeney's Quarterly Concern è il trimestrale di narrativa fondato nel 1998 per pubblicare racconti rifiutati dagli altri editori. Dai formati cartacei eterogenei e le confezioni da collezione dei primi numeri, oggi il gruppo McSweeney’s è anche autore di un software di abbonamento per device per la fruizione dei contenuti digitali.


TRA le CARTE ALLA RICERCA DEL MOVENTE
Quale impulso, quale motivazione, può dirsi incoraggi questa endemica e costante necessità all’“autoproduzione”?
“Farsi un libro”, in taluni casi, diparte per restrizioni culturali o “politiche”, talora per la necessità di trattare temi in controtendenza rispetto alla cultura ufficiale, infine (soprattutto) per il desiderio di sperimentare nuovi linguaggi espressivi.
L’autoproduzione è la strada per raggiungere la massima libertà di espressione sia nei contenuti che nelle forme, senza sottostare, in principal luogo, ai condizionamenti della committenza esterna (o per mancanza di interesse da parte di finanziatori o per operare con programmazione autogestita nei tempi e nei contenuti).
L’autoproduzione, dunque, rappresenta la modalità “alternativa”.
Tuttavia non solo fattori di “protesta” muovono il fenomeno.
In uno dei volumetti de “I prelibri” di Bruno Munari (pre-libri, ovvero “prima di essere libri”: dodici volumetti pensati per bambini così piccoli da non distinguerne il senso rispetto ad altri oggetti), una voce esterna chiede a cosa serva un libro. La risposta è «un libro serve per comunicare il sapere, o il piacere».
A quest’ultimo, il “piacere” crediamo possa ricondursi il movente dell’autoproduzione di un libro.
I libri sono oggetti; pensarli e progettarli diletta quanto sceglierli, leggerli, possederli, tenerli fra le mani. E ciò è ancor più vero quando sono opera di scrittori, illustratori, grafici e fotografi, oppure di noi stessi divenuti autori-produttori.
Le esperienze di autoproduzione contemporanea indirizzano la propria tensione creativa facendo appello alla forza e potenza culturale del libro non solo come veicolo di contenuti ma anche come oggetto.

 

  • Illustrazioni tratte da “Prototipi. Farsi una stamperia” di Nicole Marzotto (op. cit.). Tipi realizzati in gomma, ritagliati e montati su tasselli di legno.
  • Illustrazioni tratte da “Prototipi. Farsi una stamperia” di Nicole Marzotto (op. cit.). Tipi realizzati in gomma, ritagliati e montati su tasselli di legno.


 


Nel processo di autoproduzione editoriale (affine, per esempio, a quello del design di elementi d’arredo7), dall’inizio alla fine del percorso, l’autore, o il gruppo minimo di produttori, non ricorrono a figure esterne; le azioni generative dell’artefatto – pensare, distendere, strutturare e redigere i contenuti, progettare, stampare, diffondere – avvengono all’unisono e gli autori-designer, occupandosi anche di editing e in qualche modo di marketing, coinvolgono simultaneamente grafica, illustrazione, fotografia, capacità narrativa.
L’approccio è interdisciplinare; il prodotto che ne risulta è “poligrafico”, rifiuta lo stereotipo, è ricco di contaminazioni tra linguaggi, utilizza i più vari metodi di impressione e stampa: più che “libri”, i risultati possono dirsi “artefatti editoriali”.
La soddisfazione che si riceve dalla prassi creativa quand’essa vede finalizzate in breve tempo e senza compromessi le proprie idee, è immediata.
Può dirsi, inoltre, che la proliferazione attuale di autori indipendenti non solo sia prova di ricchezza culturale mai sopita nel nostro Paese, ma anche di una certa iniziativa imprenditoriale innata nei vari territori.
I libri-oggetto realizzati in self-publishing sono caratterizzati molto frequentemente da una forte componente artigianale e offrono una varietà di formati non riconducibile alla sola forma del “libro” come insieme di più pagine rilegate in forme e modalità standardizzate.
Rilegati o cuciti a mano, realizzati con carta e cartoncini di scarto o con altri frammenti provenienti da altri utilizzi, quali cartoline, biglietti, stampe ritrovate, retri di fogli usati, nel complesso promuovono un comportamento ecologico di riuso dei materiali assieme all’autogestione responsabile dello stesso processo creativo.
Sono molteplici le tecniche applicate, spesso dettate dalla contingenza e dall’artigianalità dei mezzi a disposizione. L’utilizzo del computer non è indispensabile, anzi, frequentemente non è ammesso nel gioco. Fotocopia o xerografia sono i mezzi tra i più diffusi, oppure si assiste al recupero di tecniche altrimenti dimenticate quali xilografia, ciclostile, linoleumgrafia, fino al ritorno alla scrittura, al gesto manuale, usato in contrasto con le stampe automatizzate. La creazione e invenzione di timbri, con matrici di legno che rimandano alle prime forme di tipografia8. La valorizzazione delle potenzialità creative del fotoduplicatore a colori risograph con il suo sapore così volutamente imperfetto ma frutto, in realtà, di attente e prolungate programmazioni. Infine il collage, la tecnica del taglia-cuci-incolla, mette insieme tutti questi elementi.



Autoproduzioni serigrafiche realizzate in occasione della terza edizione di Fahrenheit 39, Festival della ricerca e del design nell'editoria in Italia, 2013. In dettaglio a sfogliare “OFFSET” di Emilio Macchia. (courtesy Mirko Pezzi)



Con un processo di rovesciamento, proprio il desktop publishing, strumento informatico nato negli anni Ottanta affinché piccoli autori e gruppi potessero produrre autonomamente da terminali (quindi da format digitali) materiale stampato su piccola scala, è evoluto sino a divenire oggi lo standard ufficiale di progettazione editoriale, sostituendo le tecniche di impaginazione e stampa tradizionali. L’editoria dei piccoli autori indipendenti – molto spesso essi stessi designer che nella loro professione ufficiale maneggiano perfettamente gli strumenti informatici del desktop publishing – torna, così, a guardare al passato e recupera le tecniche di stampa “artigianali”.

 

  • Autoproduzioni serigrafiche realizzate in occasione della terza edizione di Fahrenheit 39, Festival della ricerca e del design nell'editoria in Italia, 2013. In dettaglio a sfogliare “OFFSET” di Emilio Macchia. (courtesy Mirko Pezzi)
  • Autoproduzioni serigrafiche realizzate in occasione della terza edizione di Fahrenheit 39, Festival della ricerca e del design nell'editoria in Italia, 2013. In dettaglio a sfogliare “OFFSET” di Emilio Macchia. (courtesy Mirko Pezzi)




L’autoproduzione creativa non è solo un “accadimento privato” ma avviene spesso attraverso happening, talks, esposizioni, momenti collegiali di condivisione, laboratori guidati da autori riconosciuti nel settore; momenti divertenti, veloci, d’improvvisazione, ove il poco tempo a disposizione diventa valore aggiunto e trasmette la capacità di ottenere risultati tangibili, qualità e ordine partendo dalla condizione di non poter avere il controllo assoluto su tutte le variabili del processo. Un elemento di circuitazione “live” che si aggiunge agli ambiti di produzione-promozione tradizionali.
Quale fenomeno emblematico del presente, l’autoproduzione metabolizza e ricompone – in programmato disordine – elementi che possono ricondursi a generi e stili precedenti. Quando la riappropriazione avviene secondo una tensione unitaria, secondo una “visione”, i risultati possono dirsi d’eccezione.
Ogni “oggetto” che nasce è un pezzo unico e la rarità – suffragata anche dalla limitata distribuzione e dall’eco che ne fanno i canali digitali attraverso i social network – ne aumenta esponenzialmente il valore.


fine prima parte

 

Veronica Dal Buono


Note
1 Libro, dal latino Librum, a sua volta da Líber, scorza interna dell’albero, a rappresentare il supporto sul quale solevano scrivere gli antichi e dal quale è venuta in uso la voce Libro nel significato di materia contenente uno scritto, quindi quantità di fogli stampati e uniti in un volume.
2 Nel panorama italiano contemporaneo diversi sono gli eventi “minori” dedicati alla piccola e media editoria di letteratura e poesia. Spiccano dal 2002 tra le vetrine più significative per gli editori che si collocano a lato dei tradizionali circuiti commerciali del libro, i festival “Più libri più liberi” di Roma (Gruppo Piccoli editori di Varia dell’Associazione Italiana Editori), “Pisa Book Festival”, “Libri in Cantina” di Susegana (Treviso); dal 2003 la “Rassegna di Microeditoria di Chiari” (Brescia), l’evento più noto della Lombardia. Frequentemente le manifestazioni dedicate ai piccoli editori nascono proprio in aree geografiche ove la tradizione alla stampa e produzione del libro è consolidata fin dalle origini della tipografia e sono risultato, per diffusione e partecipazione di pubblico, di un’incessante opera di coinvolgimento del territorio e delle persone.
Diversificati sono gli appuntamenti dell’editoria indipendente creativa e autoprodotta, non specificatamente letteraria, ove la “forma” del libro acquisisce un valore fondamentale. La ricognizione di questo panorama richiederebbe una indagine più approfondita. Si evidenziano sicuramente: “Fahrenheit39”, giunto alla terza edizione nel 2013 e organizzato a Ravenna dall’associazione culturale Strativari, art director Emilio Macchia; “Liber. Salone editoria creativa autoprodotta”, organizzato da Casa editrice Libera e Senza Impegni ed Edizioni Pratiche dello Yajè, presso l’Associazione culturale Van-Ghé di Milano e giunto nel 2012 alla sua seconda edizione.
Sempre a Milano “Microfestival” la cui prima edizione si è svolta nell’autunno 2012, progetto ideato e curato dal “contenitore creativo” La Caffettiera, fondato da Marco Nicotra già creatore dell’editrice indipendente Bolo Paper e Giuliana Tammaro di Branchie.
Si svolge a Bologna “Fruit self-publishing exhibition”, evento ideato nel 2012 dall’agenzia di comunicazione/associazione culturale Crudo affinché si svolga parallelamente e contestualmente al Children Book Fair, per valorizzare la microproduzione editoriale e la cartotecnica artigianale.
Questi, come con probabilità altri eventi al di fuori della cultura “ufficiale”, si muovono con analogia e similitudine a quanto già succede nelle metropoli quali New York con Art Book Fair e Parigi con Off Print.
3 L’esperienza della stampa alternativa italiana è iniziata sul finire degli anni Sessanta e per circa un decennio ha avuto un grande sviluppo. Lo stile, le scelte grafiche di tale editoria, possono dirsi essere ispirate alle avanguardie dei primi del XX secolo e al contempo dalla fucina di esperienze underground britanniche e statunitensi della seconda metà del secolo (come i movimenti D.I.Y. do it yourself). Nelle Fanzine, per esempio, abbreviazione di fans magazine ossia “rivista per appassionati”, potevano rientrare temi cui l’editoria ufficiale non offriva spazio. Realizzate ancor oggi, esse esprimono al meglio il desiderio di uscire dagli schemi culturali “stretti” e sono ancora interamente autoprodotte con mezzi poveri e veloci – forbici, fotocopiatrice e colla –, e divulgate con diffusione ristretta.
4 Esemplare il caso di Alberto Casiraghy che dal 1982 ha adibito la sua casa-atelier di Osnago, nel cuore della Brianza, a “sede” delle edizioni Pulcinoelefante di cui è fondatore. Proprio nel suo atelier-abitazione Casiraghy stampa le opere di scrittori, poeti e artisti su carta pregiata, con torchio o con macchina da stampa Nebiolo e caratteri al piombo. La lavorazione di ciascun libro si svolge come un rituale cui spesso partecipano gli stessi autori, amici e ospiti del suo affascinante laboratorio.
5 Gian Carlo Ferretti, “La nebulosa delle microstrutture”, pp. 331-336, in Storia dell'editoria letteraria in Italia, 1945-2003, Torino, Einaudi, 2007, pp. 517.
6 Giovanni Ragone, “Il testo diffuso”, pp. 234-235, in Un secolo di libri: storia dell'editoria in Italia dall'unità al post-moderno, Torino, Einaudi, 1999, pp. 277.
7 Relativamente al tema dell’auto-progettazione nel design di componenti per l’arredo e strutture abitative si vedano i seguenti autori:
Ken Isaacs, How to Build Your Own Living Structures, Nevada, Harmony Books, 1974.
Enzo Mari, Proposta per un'autoprogettazione, Milano, Centro Duchamp, 1974 (Seconda ed. Autoprogettazione?, Mantova, Edizioni Corraini, 2002, pp. 62)
Victor Papanek, Jim Hennessey, Nomadic Furniture 2, New York, Pantheon Books, 1974, pp. 146.
8 L’esperienza della designer e illustratrice Nicole Marzotto è emblematica rispetto al recupero delle tecniche di stampa attraverso caratteri tipografici in legno oppure creando artigianalmente matrici alfabetiche con i materiali più impensati. L’originale e unico nel suo genere, volume “Prototipi. Farsi una stamperia”, illustra il modo per realizzare timbri lignei e guida alla produzione creativa “fai da te”. L’attività dell’autrice si svolge attraverso didattica, scrittura ma anche interessanti esperienze collettive di autoproduzione presso eventi, happenings, associazioni culturali.




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Il presente saggio è parte del volume Artefatti comunicativi. Tra ricerca e didattica, (a cura di Alfonso Acocella), Media MD, 2013, pp. 144.
Sempre sulla rivista digitale MD Material Design Post-it, verrà ri-editato l'intero volume in forma progressiva nel corso delle prossime settimane.

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MD Material Design
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ISSN 2239-6063

edited by
Alfonso Acocella
redazione materialdesign@unife.it

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