È indissolubilmente umano e senza tempo interrogarsi sulla natura del colore, rinnovarne con gli occhi della mente il ricordo e l’esperienza percettiva, spingersi a sperimentarne combinazioni e modi. Per descrivere il cromatismo è consuetudine ricorrere alla materia che lo costituisce, sovente, così, si perviene a evocare la pietra la cui essenza è naturalmente policromatica.
L’installazione “Opus Motus”, presentata da Lithos Design a Macef e Marmomacc 2013, invita lo spettatore, in modo dinamico e giocoso, a una duplice sperimentazione della realtà del colore.
“Opus Motus”, già nel titolo, evoca un incantesimo. La mostra è costituita da sei opere in pietra – strumenti illusionistici – capaci di spostare l’idea di colore dall’oggettività razionale e tangibile della superficie, alla soggettività percettiva, originata da stupore e meraviglia.
Sono grandi cerchi intarsiati in marmo, attualizzazione dell’antica tecnica dell’opus sectile e delle opere intarsiate in marmi policromi: cerchi piani, di ridotto spessore, che esibiscono in superficie elementi formali intagliati. Nella staticità del piano prevale la composizione e il colore ha il ruolo di evidenziare e chiarire l’assemblaggio delle parti, rendendo manifesto il disegno geometrico.
Come vivaci ed esuberanti medaglioni, non temono di svelare la metafora tessile che anche al presente può essere espressa attraverso la composizione di elementi lapidei, con motivi geometrici i più vari e articolati.
Ogni cerchio è un nucleo figurativo a sé ma, nell’insieme, suggeriscono di un’abilità “cosmetica” contemporanea che coniuga tecnologia e risorse materiche, richiamando e aggiornando abilità costruttive del passato.
Fin qui le certezze.
I cerchi infatti sono anche un invito. Come amuleti, attirano lo spettatore, vogliono essere manipolati. Un semplice dispositivo a spinta ne consente la trasformazione e, attraverso il movimento, il colore cambia “maschera”.
La rotazione impressa ai cerchi diviene più veloce a seconda dello slancio che può imprimersi alle grandi trottole litiche. Più veloce il movimento, più illusoria, magnetica, la visione che ne consegue.
Nel movimento l’esperienza visiva si estende agli altri sensi evocando una quarta, inafferrabile, dimensione.
Nel vortice, la percezione visiva si rinnova a ogni giro di ruota, rispondendo alla continua mobilità del punto di vista, alla molteplice relatività della messa a fuoco. L’osservare i cerchi ora inebria e confonde; si perde il senso e l’orientamento della rotazione.
I colori, prima distinti, si armonizzano tendendo alla fusione; le tessiture circolari, poligonali, di cui l’occhio prima afferrava la composizione, sfumano in un continuum indiviso.
Spiegare il colore e il suo “annullamento” dinamico diviene ineffabile quanto fermare con gli occhi il movimento del cerchio stesso. Il vortice genera un’illusione di levità e trasparenza, per un corpo in realtà pesante quanto il materiale che lo compone.
I cerchi, dopo un po’, rallentano, arrendendosi alla gravità e il gioco delle forme delineate sulle superfici, la loro composizione e cromia, tornano a risaltare sotto l’effetto della luce. Un altro prodigio che la pietra rende possibile.
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