Ospite d’onore durante le celebrazioni del ventennale di Facoltà, Massimo Iosa Ghini ha tenuto all’interno del progetto XfafX una approfondita lectio magistralis trattando i temi del design, delle tecnologie e dei trasporti attraverso l’attenta spiegazione dei suoi più noti progetti. Un’occasione d’arricchimento e riflessione che, per chi non fosse stato presente nel Salone d’onore di Palazzo Tassoni Estense, potrà essere ripresa attraverso le parole di questo report.
Nel corso della bella intervista che il prof. Giuseppe Mincolelli registra insieme all’architetto e designer Massimo Iosa Ghini prima della sua conferenza, il creativo di origine bolognese descrive in maniera precisa le ragioni della sua attività “sono un architetto che non ha rifiutato l'artisticità: in ogni progetto offro le risposte che sento intuitivamente. L'esercizio faticoso, in questi anni, è stato aprirsi alle istanze altrui, perché la difficoltà del mio approccio, se devo essere un créateur, è pormi umilmente in ascolto. Dare una risposta che, anche se sai già, è una risposta che ha ascoltato. Vivo queste qualità, la capacità di sentire, come una necessità: il design e l'architettura sono due gambe dello stesso corpo che mi consentono di camminare”.
Questa breve introduzione può far comprendere come Massimo Iosa Ghini appartenga ad una categoria difficilmente rappresentabile in ambito architettonico, sempre in bilico tra produzione, progetto e sperimentazione: lontano da una idea di stile e poco incline alle limitazioni ideologiche. Sembrano interessarlo maggiormente questioni molto precise e pratiche come il rapporto con le esigenze del cliente che “sono spesso quelle capaci di generare il progetto”. Nel suo lavoro l’influenza della ricerca artistica si ripercuote in modo diretto sulla produzione del design - a volte in maniera intuitiva - senza poter dare spiegazioni razionali di questo moto perpetuo “la mia più che schizofrenia potrebbe essere tradotta con la capacita di dare una risposta a prescindere dal metodo utilizzato, che rischia molte volte di essere un rifugio, una giustificazione”.
I progetti che Massimo Iosa Ghini ha realizzato negli ultimi anni sono frutto di una consapevolezza rispetto al ruolo del design che la Crisi globale mette in discussione modificando anche il modo d'intendere il prodotto “che ora va ripensato. Noi designer italiani dobbiamo ripartire dal mondo domestico tradizionalmente legato alla materialità per capire come evolverlo in senso tecnologico” sottolinea Iosa Ghini, grande estimatore delle teorie di Negroponte che preconizzava un passaggio dal mondo materiale delle cose a quello immateriale dei rapporti tra le cose. Nuovi modi di definire il progetto come il design dei servizi che è faticoso da inquadrare “perché non c'è un modo efficace di rappresentarlo. Recentemente ho partecipato a un convegno sulla pulizia e manutenzione degli edifici e c'è uno spazio di progettazione enorme. Certo non è quello che io concepisco come design, lì la mia parte autoriale muore. Mentre credo che il bello, oggi, sia veramente una priorità, un diritto, perché dove c'è un'attenzione per il bello si è raggiunta una maturità politica per affrontare tematiche molto serie come la sanità o il conflitto sociale”.
Una posizione radicale questa, che si esplicita attraverso una progettualità allargata, inclusiva di molte pratiche perché “ il bello va al di la del design stesso visto che il nostro mestiere come obiettivo primo ha quello di migliorare la qualità di vita delle persone”.
Secondo il designer emiliano occorre infatti possedere informazioni sostanziali per riuscire a progettare in modo consapevole in un periodo in cui tutti parlano di sostenibilità ma pochi conoscono realmente le tecnologie, capendo quale sia il loro funzionamento e come si possano applicare “siamo a una infanzia tecnologica” – dice – “e penso che il progettista oggi debba studiare molto e questo lo si può fare sia progettando sia osservando e ascoltando”.
A volte, continua Iosa Ghini “l'estetica sostenibile ha un ché di punitivo mentre sarebbe molto più interessante capire com’è possibile coniugarla con il concetto di bellezza e dl lusso”. I suoi progetti esplicitano infatti la capacità di gestire responsabilità importanti pur nella consapevolezza che sia oggi molto difficile controllare il sistema-progetto nella sua grande complessità. È pensabile, secondo l’opinione del designer, immaginare la nostra cultura gestendo la sostenibilità non solo attraverso gli elementi tecnologici ma tornando alla maestria edilizia. La capacità di tenere insieme nozioni d’impiantistica, conoscenze architettoniche, sensibilità estetica, potrebbe dare vita ad una qualità progettuale che oggi si smaterializza nelle micro funzioni di ogni singolo attore del progetto.
Parlando della sua nota esperienza con il gruppo Memphis, Massimo Iosa Ghini riconosce al suo gruppo di provenienza “questa caratteristica di interruzione, di spartiacque rispetto al tema del design che aveva ancora le sue origini nelle idee funzionaliste e produttive della Bauhaus”. Questa capacità di rompere con gli schemi di un funzionalismo di matrice modernista che aveva ormai perduto la propria ragion d’essere ideologica è senz’altro l’humus creativo da cui il designer emiliano ha attinto le proprie suggestioni progettuali: una grande libertà che non si esprime nella ribellione ma in un ironico distacco rispetto alle richieste del mercato. “Facciamo un prodotto perché supponiamo che ci sia un pubblico a cui noi diamo la possibilità di ottenere un benessere tramite la produzione di un oggetto” – sostiene Iosa Ghini. che ama “sovvertire le regole attraverso l’utilizzo del design ma magari anche grazie ai social network perché in futuro avremo molta più rappresentazione delle cose e quello che oggi si realizza materialmente deve essere di grande valore. Deve esserci un minor numero di oggetti prodotti rispetto agli anni d'oro del design perché la capacità di assorbimento del mercato è cambiata”.
Per questo motivo Massimo Iosa Ghini divide la sua presentazione attraverso la comunicazione di tre categorie: oggetti, macro-oggetti, architetture. Se le architetture – come il noto progetto per le stazioni del People mover, immaginate come una struttura metallica in cui cresce progressivamente il verde verticale che diventa il vero elemento di protezione delle pensiline – sono occasione per sostanziare un percorso di ricerca basato sulla continua evoluzione e modificazione dei modi progettuali, è nella serie degli oggetti che ci pare più esplicito il suo percorso, la sua evoluzione.
Questi vengono descritti come provenienti da “un mondo di iconografie, di immagini fantastiche” tanto che le sue prime attività erano collegate al disegno a mano libera perché “il prodotto era disegno, non oggetto materiale. Se immaginate un progettista giovane, quale io ero all’epoca, che aveva in mente delle idee legate a dei movimenti artistici, dovete pensare anche che tradurle in oggetti era qualcosa di non immediato. Questo fatto di passare alla tridimensionalità è avvenuto con l'azienda Moroso con cui abbiamo fatto un percorso di lavoro che nasceva da un gruppo di prodotti i quali, già nel nome, avevano un'idea velocistica, dinamica ed era perciò molto importante partire dal disegno”.
Memphis fu molto importante nella definizione delle caratteristiche di pensiero di Massimo Iosa Ghini, perché si trattava di un movimento artistico, multiforme, complesso, iperattivo che aveva come prerogativa la possibilità di uscire dalla produzione seriale - come derivata automatica del sistema produttivo - che era stato valido sin dalla Bauhaus. “Memphis voleva fare un prodotto che partisse dall'idea di racconto: un modo per far diventare l'oggetto qualcosa di personale. Questa attitudine evitava una legittimazione a monte, un atto di presunzione, il credere che, più o meno, il prodotto dovesse piacere al consumatore”.
In seguito a questa fortunata e importante esperienza con Memphis Iosa Ghini fondò, con altri colleghi bolognesi, il Bolidismo, ispirato a un’estetica della velocità, con prodotti autoriali ma realizzati in edizioni limitate. Alla base del pensiero bolidista stavano i concetti di comunicazione, movimento, leggerezza, molteplicità, divenire, azione. Nel design questo portò ad una predilezione per le forme dinamiche intese non solo come “modellate dal vento” ma anche come forme organiche, industrializzabili nella loro complessità e varietà grazie all'evoluzione della tecnologia. Tutto strettamente correlato alle nuove esigenze formali e spirituali di un rivoluzionario modello di società dominato dalla presenza dei mezzi telematici (indicato come "città fluida") di cui il gruppo si propone come avanguardia postmoderna, testimone della fase finale "meccanica" della civiltà delle macchine in transizione verso la fase "elettronica", caratterizzata dalla simultaneità comunicativa e simbolica.
I progetti mostrati in conferenza da Iosa Ghini sono il frutto di questa evoluzione legata ad una ricerca che pochi possono vantare nella nostra regione: divani come Leggero – esempio di produzione industriale in cui scompare la scocca sottostante – o tavoli come Genio che si basa su di una tecnologia del taglio del vetro a getto d'acqua. Ma anche H2O, un gioco sul tema modernista del tubo curvato che s'intreccia come fosse piegato a mano simulando il processo ideativo di una graffetta ma inventato per mostrare il limite tecnologico del prodotto. Iosa Ghini insiste molto sulla capacità che deve avere il designer di rispondere a una precisa domanda “che segnale deve dare un determinato prodotto per avere un mercato?”. A questo proposito porta esempi unici come il divano Big Mama in cui il rapporto tra soluzioni formali apparentemente già apprezzate dal pubblico, materiali di alta qualità e sottile gioco di riposizionamento delle icone producono un risultato innovativo e classico al contempo “qui ho usato forme che devono essere, al limite, scontate”.
Chiudono la serie dei prodotti alcuni importanti esempi che, a detta del progettista non hanno avuto fortuna commerciale ma sono stati fondamentali per mostrare la qualità sperimentare delle cose, la materia, come nel caso di una serie di occhiali da sole che “ho progettato ma che sentivo, in fondo, lontani da me. Non posso progettare cose e ambienti in cui io non mi trovo bene e questi occhiali, lo dico in modo scherzoso e provocatorio insieme, non me li sarei messi, anche se sono molto interessanti come oggetto”. Un vero creativo si riconosce da questa libertà d’invenzione, di traduzione e anche dalla grande auto-ironia che è uno dei regali che ci lascia Massimo Iosa Ghini al termine di questa conferenza. Speriamo torni presto a vivacizzare con la sua sagacia il mondo della progettazione, anche qui a Ferrara.
Elisa Poli