La visita di Massimiliano Fuksas in una Facoltà di architettura produce un’energia simile a quella che si può captare in uno stadio poche ore prima dell’inizio di un concerto rock. Tre maxi schermi posizionati tra i due saloni di Palazzo Tassoni Estense e l’Aula magna di via Quartieri, studenti in attesa dell’arrivo dell’archistar accalcati davanti al portone, un certo grado di fibrillazione palpabile.
Immagine degli studenti davanti ai maxi schermo
Poi, mentre tutti ormai si erano seduti in religiosa attesa, la notizia che lo avrebbe accompagnato anche la moglie, Doriana Mandrelli, sua inseparabile compagna di vita e lavoro che ha deciso di seguirlo per vedere “questa Facoltà dell’eccellenza” che un po’ disassata rispetto alla direttrice Roma-Bologna-Milano ricorda molto a chi la visita i prestigiosi campus anglosassoni, dislocati in territori limitrofi alle grandi città, in centri culturalmente importanti, come appunto è il caso di Ferrara.
La conferenza di Fuksas inaugura ufficialmente la serie di Lectio che Alfonso Acocella ha organizzato, durante l’arco del Ventennale di fondazione della Facoltà (XfafX), per promuovere la conoscenza e l’approfondimento dei temi legati all’architettura contemporanea e al design attraverso le voci dei loro protagonisti. Punti di vista importanti che sappiano descrivere i molteplici modi del progetto, voci provenienti da ogni latitudine, culture poliedriche e scenari innovativi. Insomma un panorama il più possibile esaustivo che permetta alla Facoltà ferrarese un affaccio sul mondo contemporaneo sempre più consapevole, sempre più intenso e partecipe.
L’energia di Fuksas, la sua positività si palesa subito: “Chiunque – così esordisce nell’incipit della sua conferenza – può ottenere nella vita ciò che vuole. Chiunque può riuscire a concretizzare il progetto in cui ha creduto”. Queste parole nella loro sinteticità e chiarezza sono un messaggio importante per una generazione di studenti che sta crescendo nell’incertezza della precarietà, un messaggio forte per una scuola che ancora crede al valore della qualità rispetto ai numeri della quantità. E Fuksas di questo non fa mistero “Questa è la migliore Facoltà di architettura d’Europa” prosegue in un discorso introduttivo ai suoi progetti che tocca da vicino i temi a lui cari della politica e dell’etica ricordando agli studenti che è con l’impegno costante nel lavoro che si ottengono i più importanti risultati.
Un impegno di cui la sua opera è un’efficace dimostrazione, soprattutto quando parla del cantiere, quando mostra i dettagli delle fantasmagoriche architetture che oggi progetta e realizza, quando descrive appassionatamente il modo intenso di vivere l’architettura “Stamattina sono stato in cantiere dunque oggi sono molto felice! Stare in cantiere è l’unico modo per fare davvero architettura”. E davvero su questo punto potremmo dire che ha costruito una vera e propria filosofia, ribaltando molti luoghi comuni che vogliono il grande architetto solo impegnato a lanciare idee, lontano dalla polvere delle scavatrici. Fuksas invece mostra con orgoglio dettagli costruttivi, parla con passione delle maestranze italiane, elogia le imprese del nostro paese “le migliori al mondo” e ci racconta di come per molti progetti sia stata impiegata una manodopera locale, un vero e proprio kilometro zero dell’architettura. E non ci si provi a parlare con lui di sostenibilità “è un discorso lunghissimo – afferma – lo affronteremo la prossima volta perché una questione così seria non si riduce a due formule da comizio. Volete davvero vedere la sostenibilità? Venite nei cantieri che sto portando avanti e ve la spiego da vicino, nella sua complessità. È un tassello imprescindibile dell’architettura del futuro”.
Bao’an International Airport, China, Shenzhen, 2007
Per fugare un dubbio sulle sue origini – molti critici affermano che la sua vera notorietà sia iniziata con i progetti francesi – evoca i primi lavori italiani, quelli degli anni Settanta come la Palestra di Paliano: simbolica, cruda, spiazzante nella facciata, lirica, raffinata, onirica all’interno. Un’architettura che non smette di stupire. Di mutare. Un luogo fatto di passione politica, simbolo del suo impegno per i progetti pubblici, civili. Si descrive attraverso la potenza espressiva delle sue tele “all’inizio, quando ero davvero molto giovane, vendevo i miei quadri, ne vendevo molti. Oggi tantissimi li ha acquistati il Pompidou”. Poi illustra uno dei progetti più importanti della sua carriera, non realizzato ma capace d’imprimersi nella memoria collettiva come e più di un’architettura realizzata; il progetto per la torre a Hérouville Saint-Claire immaginata tramite disegni via fax, un po’ come i cadavre esquisse dei Dadaisti, attraverso la collaborazione con tre amici, tre colleghi: Otto Steidle, Will Alsop e Jean Nouvel. Un esempio di come per Fuksas sperimentazione e confronto rappresentino ingredienti immancabili del processo creativo e artistico come dimostrano i suoi dipinti – quello per Hérouville misurava 20 metri! – che non sono schizzi progettuali ma opere a se stanti, ricche di una grande carica visionaria.
Poi la lectio si concentra sul rapporto strettissimo tra architettura e materia “non materiali – precisa Fuksas – perché le altre lingue, a parte la nostra, fanno confusione, non possiedono questa importante differenza tra i due termini. A me i materiali non interessano in quanto tali, m’importa della qualità con cui possono formare le cose; come un muro vecchissimo e polveroso che però rimanda ad una storia, a un vissuto”. Infatti il primo progetto che ci mostra è quello di Niaux per il Museo dei graffiti, risultato di un concorso del 1988. Il luogo in cui interviene si trova nei Pirenei orientali, in un sito dalle incredibili caratteristiche orografiche, un paesaggio lirico e molto evocativo. Fuksas pensa allo scheletro di un grande animale preistorico, una lingua di acciaio Corten che si affaccia sulla valle e schiude d’improvviso allo spettatore un panorama unico. Pochi gesti, grande semplicità per un risultato che non invecchia nel tempo: questo progetto è tuttora attualissimo. La stessa attualità che si ritrova in uno dei suoi capolavori francesi, un’architettura delle stagioni, come ama definirla Fuksas: la Maison des Arts a Bordeaux. Uno dei più significativi esempi della sua febbrile ricerca nei confronti della materia: cemento, legno, rame ossidato e una forma scultorea nata per sottrazione, per svuotamenti progressivi come progressivi sono stati i toni, i colori che, stagione dopo stagione, si sono succeduti sulle pareti di questo edificio.
Maison des Arts, France, Bordeaux, 1995
Un’architettura che per dimensioni può essere avvicinata a quella di Jaffa in Israele, denominata Centro della Pace, su richiesta del committente – il premio Nobel per la Pace Shimon Peres – e destinata a diventare principale sede di discussione delle iniziative arabo-israeliane. Un luogo d’incontro in cui approdano gli esuli provenienti da altre terre mentre chi si trova all’interno guarda il mare da uno schermo trasparente che è passaggio intellettuale tra due mondi, tra due materie: la terra e l’acqua. Un progetto di grande importanza perché di nuovo sottolinea l’impegno civile, la sua volontà di costruire luoghi per gli uomini. E quando parla del Centro per la Pace s’emoziona, ci descrive la complessità che sta dietro l’effetto di grande semplicità, perché quel luogo deve accogliere, semplificare l’arrivo di chi ha perduto tutto, di chi non ha più una casa: edificio-simbolo, faro dei pellegrini.
Una prima incursione nel misticismo delle religioni che poi evolve nel lavoro di Foligno: finalmente una chiesa contemporanea. “All’inizio – afferma Fuksas – Doriana e io neppure sapevamo davvero se volevamo farlo quel concorso, perché si trattava di una chiesa, luogo davvero molto particolare”. Poi l’idea di quella scatola sacra, di una scultura che diventa spazio architettonico attraverso due svuotamenti, tagli netti, meridiane di luce. A Fuksas piace che progetti complessissimi appaiano nella loro totale leggerezza, semplicità, leggerezza e in questa sapiente edificio ha veramente superato gli ostacoli di una modernità che ideologicamente vorrebbe tutto fosse dichiarato. Lui no, lavora come uno scultore che sa togliere e comporre capendo sempre qual è la materia migliore per fare un’opera architettonica: lo spazio cavo. Dopo questa prima serie di progetti Fuksas sale di scala dimensionale e ci mostra le torri di Vienna, la grande riqualificazione per il centro di Eindhoven, la Fiera di Milano. Tutti esempi di come la scala urbana sia davvero per lui orizzonte indispensabile dell’architettura: vera ragione politica del suo lavoro. Nelle città Fuksas ama tuffarsi per percepirne e coglierne contraddizioni e squilibri vitali, paradossi e tensioni, autarchie come diceva una sua grande fonte d’ispirazione: Kazuo Shinohara.
New Trade Fair Milano, Italy, Milan, 2005
Il racconto prosegue con una terza serie di opere, quelle forse più ineffabili e uniche come le due sale per concerti, una ad Amiens e l’altra a Strasburgo nate da una riflessione totalmente artistica a partire dal concetto di diagonale, basate entrambe sullo studio di una forma paraboloide e costruite secondo un ossimoro di concretezza interna ed assoluta leggerezza esterna. Colore e forma: due quadri posati nel territorio francese e composti da forme curve, tela e lievità. Ma l’uso del colore e delle forme sinuose torna anche nei progetti per i negozi Armani di cui quello newyorkese è certamente il più sorprendente: una scala virtuosa costruita in Italia con manodopera nostrana e trasportata divisa in pezzi fino nella Fifth Avenue dove è diventata una piazza sospesa “tanto che la gente ora ha smesso di prendere l’ascensore”. Effettivamente il pubblico davanti alle architetture di Fuksas resta spesso incredulo, attirato dentro ad un montaggio filmico, a un racconto emozionante come avviene sia nel Centro espositivo Nardini sia nel Centro di ricerche Ferrari due opere commissionate da privati, rare e preziose.
Research Center Ferrari, Italy, Maranello, 2004
Chiude la conferenza descrivendo l’opera che ora lo coinvolge maggiormente, un cantiere “amatissimo e difficile”, realizzato nella sua Roma, nel quartiere dell’EUR, orientato secondo le direttrici del Palazzo delle esposizioni di Adalberto Libera “ma voi ragazzi, voi studenti dei primi anni Libera lo conoscete? Speriamo di sì…”. Per Fuksas, Libera è un riferimento imprescindibile soprattutto quando si parla del Centro Congressi che tutti ormai chiamano La Nuvola “ma io davvero così non l’ho mai chiamato, sarà stato forse per quel primo schizzo che ora è stampato in ogni mia pubblicazione e che a molti ricorda una nuvola”. E per questo progetto le foto di cantiere sembrano più appropriate che mai perché in questo brulichio di voci e materia si cela tutto l’estro dell’architetto.
EUR New Congress Center, Italy, Rome, 1998
Fuksas ci lascia sorridente, con un consiglio, forse una chiave di lettura anche per capire l’architettura contemporanea “Ricordatevi che in architettura i bravi progettisti non copiano, rubano! Rubare significa impossessarsi delle idee, comprenderle, utilizzarle, deformandole e interpretandole, per fare opere importanti, per costruire il futuro”. E con la stessa energia e passione con cui è arrivato riparte, accompagnato dal lungo applauso del pubblico, a costruire qualche altro pezzo del mondo che verrà.
Elisa Poli