Lectio magistralis di Kjetil Trædal Thorsen
Tutti abbiamo in mente quell’immagine: un prisma di vetro, pietra lunare e acciaio che come un grande veliero si riflette silenzioso e placido nelle fredde acque nordiche. La New Norwegian Opera and Ballet ha sicuramente portato agli onori della cronaca architettonica il raffinato studio norvegese Snøhetta facendolo balzare d’un colpo solo dalla condizione di solida realtà nazionale a quella ben più appariscente di venerata archistar.
Certo Davide Turrini - che ha introdotto in occasione degli eventi XfafX Kjetil Trædal Thorsen - lo studio di Oslo lo conosce bene, da tempo, e in modo molto approfondito. La sua lettura di questa eccezionale realtà norvegese è lirica e puntuale e mette in evidenza alcuni nessi che tentiamo di ripercorrere. Ma partiamo dall’inizio.
Kjetil Trædal Thorsen è invitato per raccontare alla Facoltà di architettura di Ferrara, in occasione del suo ventennale, il funzionamento di una macchina sofisticata e complessa come lo studio Snøhetta attraverso l’analisi di alcune opere emblematiche. Introdotto da Alfonso Acocella il quale ricorda come nell'ambito del festival To Design Today la funzione degli innovatori è centrale e ragiona intorno alla necessità di questi protagonisti grazie ai quali “si è costruito un progetto istituzionale che colga gli stimoli della contemporaneità non soltanto per gli studenti ma anche per tutti gli interlocutori di questa importante occasione che si dipana nel corso dell'anno”. Davide Turrini inizia invece la sua presentazione critica con una citazione ispirata dalla cultura nordica, La Montagna Incantata di Thomas Mann, descrivendo Snøhetta come "una delle più grandi montagne norvegesi". E il paragone non è azzardato visto che il nome dello studio, in norvegese, rimanda proprio ad una famosa montagna.
Infatti quello descritto da Kjetil Trædal Thorsen è un viaggio attraverso gli elementi che lo studio Snøhetta “sembra dominare come un Novello Mosé” e che riguardano la riscrittura del paesaggio, il rapporto tra forma architettonica e qualità degli interni, utilizzo dei materiali e sostenibilità. Tematiche ampie su cui molti valenti progettisti sono scivolati più volte ma che questa radicata firm di Oslo sembra saper gestire con maestria. Più che studio, nel caso di Snøhetta, occorre parlare di uffici perché ormai, dopo la vittoria del concorso per il Memorial Museum Pavillion di New York, lo studio associato ha sdoppiato la propria attività tra la capitale norvegese e la grande mela.
E questa qualità internazionale aperta a diversi campi d’interesse si percepisce fin da subito entrando in una delle due sedi. “Il nostro modo di lavorare – spiega Thorsen – richiede una nuova maniera di vivere e di gestire gli spazi comuni proprio per la nostra provenienza da diversi campi del sapere. La cosa importante infatti è la capacità di cambiare posizione e saper transitare da un campo all'altro in modo fluido e proficuo”.
Lo studio di Oslo si divide in quattro parti: il tavolo per i pasti, la macchina del caffè, l'auditorio e la macchina a controllo numerico e tutto il lavoro è basato su di una comunicazione informale in cui il modo di trasmissione del sapere da una persona all'altra avviene in modo libero, alimentato da momenti di esperienza comune come escursioni, passeggiate e momenti di vita immersi nella natura che però è ormai interamente connessa ad un universo culturale molto complesso in cui tutto viene integrato in un sistema più ampio: "walking is preventing yourself to falling over". Thorsen racconta che “ogni lunedì abbiamo quello che viene definito TRAFFIC che è un processo di attribuzione delle funzioni specifiche per ciascun componente dello studio, un momento di discussione molto libero e aperto in cui ciascuno parla del proprio lavoro e mette a disposizione il proprio know how tanto che il motto è Singular in the Plural.
Questi aspetti sono evidenti nella progettazione in cui la valorizzazione della cultura e la capacità di contestualizzare i lavori è legata alla possibilità di produrre dei team work affiatati ed efficienti al cui interno ciascun membro possa apportare valore attraverso la sua personale esperienza di vita. Un atteggiamento democratico e innovativo rispetto a quanto siamo abituati a vedere nella nostra penisola.
Se si pensa che ogni oggetto ha una memoria allora anche il nostro modo d'intendere l'architettura si modifica: ciascun progetto è pensato come stratificazione di layer fisici ed emozionali e questo è chiaro nella resa di alcune opere magistrali. Ad esempio Thorsen sostiene che occorre “pensare al museo come un largo sistema al cui interno occorre far funzionare molti fattori come fosse un organismo “. Ma anche nei temporary projects questo atteggiamento riemerge “prendiamo i progetti temporanei per far ricerca sulle architetture così questi diventano occasione di analisi, palestre per il mondo che verrà”.
Atteggiamento molto riuscito se si pensa ad alcuni lavori come la biblioteca di Alessandria,
un progetto in cui la teoria deve essere combinata con la complessità della relazione con il futuro del luogo; in cui l'incontro tra la linea del passato e quella del futuro è il presente e la geometria diventa un modo per congelare l'attimo. I materiali infatti diventano segni fondamentali di questa volontà: la pietra utilizzata nella parte superiore rappresenta il futuro, la solidità di ciò che la cultura della Storia ha sedimentato nel tempo.
Il memoriale per l’11 settembre invece dimostra che c'è una grande responsabilità in un progetto che rappresenta la continuazione emozionale con un evento tanto significativo della storia che deve però essere tradotto in design e richiede dunque una negoziazione tra il consenso per riuscire a portare a termine questo processo e l’idea originale dello studio Snøhetta. Inoltre il processo di digitalizzazione che annulla il passaggio dal disegno modifica nettamente il senso stesso dello spazio e promuove la progettazione di luoghi sino ad oggi inimmaginabili.
I buoni progetti, secondo l’opinione di Thorsen, hanno dei soprannomi che li rendono vicini alla gente, accessibili, come nel caso del museo d'arte di Lillehammer, che vede un confronto tra la trasparenza del vetro e l'opacità densa della neve e che rimanda alla tradizione culturale nordica. Per lo studio Snøhetta, da quanto appare chiaro in questa lectio, l’architettura non si produce attraverso processi di sforzo e patimento ma grazie ad un’armonia e ad un’ironia che sembrano derivare dall’affascinante natura norvegese. Il vero insegnamento di questa conferenza non sono forse i progetti, seppur splendidi, ma un modo di prendere la vita che migliora la qualità dell’esistenza in maniera radicale. Non ci resta dunque che puntare verso nord!
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