Secondo la definizione che ne danno i manuali di tecnica tessile, qualsiasi artefatto formato da elementi flessibili con una dimensione nettamente prevalente sulle altre due può essere definito come tessuto; il participio passato sostantivato è usato, quindi, per indicare un prodotto ma anche, seppure in modo abbastanza approssimativo, una tecnica di lavorazione. Accanto all’uomo anche gli animali usano tecniche costruttive ad untreccio e perfino alcune piante si sviluppano con strutture sovrapposte di fible ortogonali che suggeriscono in modo piuttosto evidente gli intrecci dei tessuti veri e propri.
Agli albori della civiltà le medesima procedure esecutive erano usate per risolvere problemi di natura diversissima con una libertà espressiva frutto dalla mancanza di specializzazione assai più evidente di quella riscontrabile oggi. La versatilità di questa tecnica sta nel fatto che, da elementi di dimensioni limitate, è possibile ottenere prodotti finiti di dimensioni ragguardevoli facendo uso, almeno alle origini, di strumenti davvero semplici.
Se oggi la produzione più visibile del tessile è legata in modo determinante all’industria dell’abbigliamento e dell’arredamento, così non è stato alle origini quando con i primi intrecci di materiale vegetale si realizzavano canestri o stuoie. Furono le pelli e le pellicce, invece, i principali materiali scelti per proteggere il corpo. I motivi di questa preferenza furono principalmente due: le pelli di alcuni animali si prestavano facilmente a coprire il corpo umano senza bisogno di grandi opere di finitura; risultava “naturalmente” immediato il contatto pelle su pelle, coprirsi cioè con l’animale di cui ci si nutriva. Gli intrecci, prevalentemente vegetali che andavano a costituire oggetti atti a contenere, nell’arco dei millenni non hanno subito grandissime trasformazioni. Ciò testimonia come esistono permanenze che trovano la ragione della propria esistenza nella corrispondenza tra funzione tecnica ed estetica.
Come è già stato accennato, si suppone, proprio per la mancanza di specializzazione tecnica, che, allora, non dovesse esistere una sostanziale differenza tra il canestro e la casa; tra la stuoia e l’abito. E del resto anche l’etimologia latina porta a questo tipo di riflessione: il verbo habito rafforzativo di habeo e il sostantivo habitus hanno la stessa radice.
Inizialmente, dunque, questi prodotti, si differenziavano non tanto per uso di materiali e tecniche ma per le applicazione che ne venivano fatte.Detto questo, quindi, in questo contesto, più che di tessuti parleremo di intrecci, ampliando il campo di analisi anche ad oggetti che non sempre si caratterizzano per componenti tessili ma che prevedono comunque l’uso di fibre o filamenti di natura flessibile.
E all’intreccio eseguito con i più diversi materiali viene riconosciuta la capacità di potere realizzare elementi dalle dimensioni illimitate formate da componenti dalle dimensioni illimitate; soprattutto quando queste erano eseguite a mano, cioè quando non erano condizionate da macchine seppure rudimentali, le dimensioni del prodotto finito potevano estendersi di volta in volta tenendo in considerazione solo l’utilizzo finale. Se le dimensioni degli elementi in legno sono in funzione delle dimensione degli alberi, se la dimensione degli elementi lapidei è data soprattutto dai vincoli del trasporto, se le dimensioni dei laterizi sono date dalla lavorazione e dalla facilità di montaggio, in questo caso, invece, la dimensione del materiale costitutivo non condiziona quelle del semilavorato o del prodotto finale. La fibra più o meno sottile non condiziona, come è noto, la lunghezza del filo. Dall’abitazione prima come rifugio costituito da una semplice copertura e, più avanti formato dai diversi elementi costruttivi, agli abiti alle decorazioni, tutto sembra possa essere realizzato facendo riferimento alla tecnica dell’intreccio usando materiale vegetale capace di avere una buona flessibilità.
Donna guatemalteca che indosso un tipico tessuto ed espone la sua merce in ceste intrecciate (da R. Bertrand, D. Magne, The Textiles of Guatemala, Stidio Edition Limited, London, 1991)
Seppure possa apparire un po’ azzardato possiamo arrivare a dire, quindi, che alcune delle prime forme architettoniche non sono altro che un’applicazione della tessitura. E qui dobbiamo riprendere il concetto di contenitore e di conseguenza di spazio. La definizione dello spazio, funzione caratteristica dell’architettura, è propria anche dei contenitori che sono resi utili proprio dal vuoto che sono in grado di delimitare1.
Nella sua Storia del materiale da costruzione2, Norman Dawey riferendosi, lo ricordiamo, con particolare attenzione alla realtà anglosassone, descrive le principali tecniche e i materiali di tipo tradizionale. Egli mette giustamente in evidenza che il legno (più corretto sarebbe dire elementi vegetali) è l’unico materiale adatto a costruire strutture complete cioè che si presta con varie tecniche di lavorazione a costruire qualunque elemento della costruzione. Se è chiaro poi che il reperimento del materiale condiziona in modo determinante la tecnica, è senza dubbio vero che i materiali poveri come la paglia, le erbe sono facilmente reperibili anche in climi assai diverse; basta pensare al grano, al lino3.
Se analizziamo l’applicazione dell’intreccio all’architettura si possono individuare due fasi: la prima nella quale l’intreccio di due ordini di elementi assume tutte le funzioni strutturali e formali e di chiusura; una seconda in cui la struttura portante, sempre in materiale vegetale, si differenzia dalla chiusura la quale continua ad essere in materiale intrecciato più leggero. Il passaggio è fondamentale non solo per l’inizio di una gerarchizzazione degli elementi costruttivi, ma per il fatto che l’intreccio, che nella prima fase era in grado di realizzare un prodotto finito, viene poi usato come un componente o, un elemento semilavorato.
In qualche modo abbiamo qui cominciato ad illustrare i due temi di analisi che vedono l’intreccio risolvere problemi relativi allo spazio e al corpo.
Riferendoci alle grande categorie di azioni umane di tipo quotidiano quale il giocare, il lavorare, l’abitare ci accorgiamo che antiche armature di guerrieri, vele per competizioni più o meno estreme, giochi di grandi e piccini, arredi, reti da pesca e cordami, hanno come tecnica progettuale di base l’intreccio. La parola tessuto, infine, trova un uso specifico sia in contesti biologici (es. tessuto ligneo, tessuto epidermico, osseo ecc.), architettonico, (tessuto urbano), sociale.
Dopo questa constatazione viene naturale domandarci perché; perché cioè l’intreccio è capace di tale versatilità temporale – in quanto la situazione non appare mutata con il passare del tempo, in quanto si sono evolute le tecnologie ma non si è certo diminuito l’uso dei tessili in campi svariatissimi- e spaziale.
Ad attestare una sorta di supremazia delle tecniche tessili sulle altre tecniche costruttive ci aiuta Gottfried Semper.
La sua opera principale, Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche o estetica pratica, è da ritenersi essenziale per tutte quelle arti “pratiche” che hanno trovato sviluppo dalla metà del settecento. È facile poi verificare come questo testo abbia influenzato generazioni di progettisti di area germanica tra i quali, forse, il più famoso e il più fedele nella riproposizione di queste teorie, è Adolf Loos4. Semper riconosce all’arte tessile un primato assoluto e apre la terza sezione del primo volume dell’opera con il paragrafo intitolato Perché le Arti tessili devono essere favorite. Pur nella difficoltà di individuare quale sia stata la tecnica che trovò per prima una applicazione significativa, scrive:«non sussistono dubbi sul fatto che le due più rinomate -ossia l’arte tessile e la ceramica- sono quelle in cui si manifesta per la prima volta, accanto al perseguimento dell’obiettivo, l’aspirazione all’abbellimento, in virtù della scelta formale e della volontà di ornamentazione. Tuttavia, tra queste due arti, quella tessile mantiene un predominio incondizionato perché in essa si può riconoscere l’arte primigenia, in quanto tutte le altre arti, non esclusa la ceramica hanno derivato dall’arte tessile tipologie e simboli, mentre quest’ultima appare autonoma, sotto tale aspetto, avendo creato da sé le sue tipologie o avendole desunte dalla natura.
È indubbio che i princìpi dello stile si siano consolidati all’interno di questa tecnica artistica primigenia»5.
Giovani donne afgane al telaio orizzontale (da M. Cohen, Il mondo del tappeto, De Agostini, Novara, 1995)
È doverosa, a questo punto una digressione: accanto, infatti, a tanti allievi e sostenitori, Semper ebbe anche alcuni critici vivissimi tra tutti Alois Riegl.
Il punto di partenza di Gottfried Semper è l’aspetto costruttivo più che quello squisitamente tecnico; e questo approccio è da vedersi in relazione al suo essere architetto e, pur avendo sviluppato in modo molto approfondito lo studio teorico e storico, è, comunque, in lui sempre presente anche la componente fattuale che lo distingue dagli storici puri. Ed è anche per questo che le arti tecniche e tettoniche non solo viste in sé ma anche, e sopratutto in relazione all’architettura e non in relazione a pittura o scultura. Ciò è un punto fondamentale perché l’architettura, se pure definita all’epoca come la maggiore delle arti figurative, è per forza un arte applicata in cui l’aspetto tecnico non è mai stato interpretato come trascurabile come non lo sono le tecniche delle altre arti così dette applicate.
Riegl contesta a Semper di vedere nella tessitura la tecnica primigenia dalla quale discendono tutti gli elementi decorativi, soprattutto geometrici che, solo in un secondo tempo, sono trasposti e usati in altre arti. Dopo averle individuato due gruppi di arti, quelle plastiche (alle quali appartiene la ceramica) e quelle piane (alle quali appartiene la tessitura), ritiene le prime più antiche perché la rappresentazione attraverso di esse risulta essere più immediata in quanto non interessa il passaggio di sintesi dallo spazio tridimensionale a quello bidimensionale. Sembra opportuno fare, a questo punto, due tipi di domande: la prima è se era davvero così facile alle origini della definizione della lavorazione tecnica distinguere in categorie ben circoscritte come volume e superficie; in una cesta, così come in un vaso, non è sempre facile stabilire se prevale il concetto di superficie o di volume; inoltre la primogenitura della tessitura sulla ceramica riguarda, per Semper, la componente precisamente decorativa, al contrario di Riegl che imposta il problema in termini più figurativi. Nel teorico austriaco domina l’invenzione artistica sulla tecnica che viene messa a punto per arrivare allo scopo; Semper, invece, sottolinea, non tanto gli elementi formali che la tessitura avrebbe generato, ma i principi teorici che la tessitura è in grado di esprimere.
Il modo in cui si manifestano quelle che possono essere considerate strutture simboliche fa riferimento a schemi compositivi molto semplici che si suppone sviluppati in relazione ad alcune esigenze fondamentali, prima tra tutti la ricerca estetica. Per Semper il raggiungimento della bellezza, attraverso la concretizzazione nelle forme avviene nella ricerca di simmetria6, proporzione e direzione.
Pon pon nappe e trecce indossate in lana arricchite con conchiglie e frammenti di coleottero indossate dalle donne del Rajastan da migliaia di anni (da M. Schoeser, Tessuti del mondo, Skira Rizzoli, Ginevra-Milano, 2003)
Eleonora Trivellin
NOTE
1 Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto | ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto. | Un vaso è fatto di solida argilla, | ma è il vuoto che lo rende utile. | Per costruire una stanza, devi aprire porte e finestre; | senza quei vuoti, non sarebbe abitabile. | Dunque, per utilizzare ciò che è | Devi utilizzare ciò che non è. (Lao Tzu, Tao te king, XI)
2. N. Dawey, A history of Building Materials, 1961, trad it. Storia del materiale da costruzione, Il Saggiatore, Milano 1965.
3. Il lino veniva usato particolarmente in Irlanda per realizzare le tipiche coperture. Questa pianta cresce sia in climi temperati che rigidi.
4. Il testo del Semper è da ritenersi fondamentale per lo studio teoria architettonica. Tuttavia l’unica traduzione esistente in Italia è piuttosto recente. Si tratta infatti di una traduzione del 1992 (G. Semper, Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche o estetica pratica, Editori Laterza, Roma-Bari, 1992) alquanto incompleta soprattutto per le parti riguardanti ceramica tettonica, stereotomia e metallotecnica. Pur se i curatori hanno indicato i capitoli non tradotti risulta difficile, se non si conosce l’opera integralmente, comprenderne a pieno il senso complessivo. I curatori hanno infatti prescelto le parti che pur trattando delle suddette tecniche di lavorazione trovavano una diretta applicazione nell’architettura trascurando quelle parti che analizzavano le tecniche di per sé.
5. G. Semper, Lo stile nelle arti tecniche e tettoniche o estetica pratica, Editori Laterza, Roma-Bari, 1992, p. 51.
6. Non si intende, in questo caso il significato architettonico del termine ma il significato estensivo di armonia delle parti rispetto al tutto.