Una camera dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Norman Foster.
«”Tipo dei tipi” che unifica e sintetizza tutto quanto lo precede: Il Grand Hôtel internazionale della fine dell’Ottocento. È questo un prodotto della rivoluzione industriale, della strada ferrata, dell’internazionalismo e del continuo aumento dei traffici commerciali; ma lo è ancora della radicale trasformazione in senso borghese della società: materialismo trionfante, teoria del progresso illimitato, divinizzazione della ricchezza e del successo.
È il Grand Hôtel, tempio dei nuovi dei, sintesi grandiosa di questi valori; vi si onora quanto delle antiche gerarchie sopravvive ancora nel mondo – nobiltà, famiglie, regnanti, intellettuali ed artisti – ma vi si adora il borghese, il ricco per il solo valore della sua ricchezza. Qui l’ospite è ossequiato come un dio da uno stuolo di domestici, impersonali nelle impeccabili livree, che manifestamente venerano in lui il suo conto in banca. Ogni inchino ha il suo prezzo: il cliente lo sa, ed è soddisfatto nel vedersi riverito come di un riconoscimento del suo valore economico, e perciò del suo successo di vita.
È in questo periodo che il servizio alberghiero, divenuto sempre più complesso assume i caratteri di una scienza vera e propria: si precisano e si cristallizzano in rigidi codici le funzioni e la gerarchia del personale, si forma in ogni settore della conduzione una serie di vere e proprie leggi: dalle varie tradizioni alberghiere nazionali nasce una tradizione unitaria e completa, con valore universale»1.
L’albergo moderno. Unicità vs ripetizione
Nella sua accezione canonica e convenzionale l’albergo è un edificio appositamente costruito (ma spesso anche risultato di rifunzionalizzazioni di costruzioni preesistenti) ed adeguatamente attrezzato per poter fornire un alloggio – e altri servizi – a pagamento a ospiti di passaggio per un soggiorno temporaneo.
Come organismo architettonico l’albergo ha assunto caratteri tipologici maturi solo in età moderna quando – a fianco di elementari strutture di ospitalità esistenti da secoli – si sono affermati i grandi alberghi urbani (insieme a quelli speciali legati al soggiorno di vacanza in località marine, montane, termali) alimentate dalle prime forme di turismo delle elite borghesi e cosmopolite ottocentesche.
Bagni delle camere dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Norman Foster.
Il Grand Hôtel ne incarna la codificazione più prestigiosa attraverso i suoi saloni, gli spazi di rappresentanza e di convivialità che ne caratterizzano in senso aulico e monumentale il piano terra espanso, spesso, verso l’esterno delle terrazze, dei giardini, delle aree all’aperto, e – a volte visivamente – spalancato verso il paesaggio naturalistico.
La condizione di unicità e di elitarietà degli spazi di uso comune viene comunemente riproposta negli appartamenti privati organizzati generalmente nei piani superiori attraverso i linguaggi convenzionali di un classicismo reinterpretato attraverso le contaminazioni e gli innesti di un eclettismo stilistico tipico dell’epoca.
Nel modello del Grand Hôtel si assiste al trattamento elegante e sfarzoso degli spazi architettonici, degli arredamenti e complementi di servizio; un processo di “estetizzazione” e di “spettacolarizzazione” pervade tutti i luoghi, gli artefatti e i momenti cerimoniali del vivere temporaneo in questi grandi contenitori interpretabili come palcoscenici di rappresentanza delle elite borghesi emergenti.
Un interno dell’Hotel Silken Puerta America a Madrid, 2005. Interior design Norman Foster.
Lungo la prima metà del Novecento – con l’affermarsi della visione industriale della produzione di grande serie e sulla scia delle ricerche di riduzionismo figurativo e di razionalizzazione degli schemi spaziali e distributivi dell’architettura promosse dal Movimento Moderno – viene progressivamente codificata la nuova tipologia dell’hotel delle grandi catene alberghiere che si distacca sia dalla versione storicistica e monumentale del Grand Hôtel, sia dagli hotel di prestigio caratterizzati dall’unicità di luogo insediativo e di concezione architettonica, spaziale, arredativa.
Nella nuova forma di tipologica – generata da un approccio economico di tipo aziendale e rivolta a target di clienti rigorosamente individuati – emerge una visione che tende a codificare un prototipo di albergo ben definito e standardizzato nel linguaggio architettonico, nella configurazione degli spazi comuni e in quelli di uso individuale (le camere l’albergo), nei servizi offerti per il soggiorno temporaneo.
Le camere dell’Ice Hotel a Jukkasjarvi realizzate da Ake Larsson con altri scultori del ghiaccio, 2011.
La ripetizione dello stesso modello in città e luoghi diversi – con la reiterazione dei caratteri tipologici, formali, arredativi che accolgono e introducono i nuovi materiali e i prodotti dell’universo industriale – decreta il successo per decenni delle grandi catene alberghiere, in quanto portatrici di innovazione di immagine e di servizio presso una clientela medio-alta che cresce con l’aumentare degli scambi commerciali e dei viaggi nazionali ed internazionali.
Insieme alla gestione economica centralizzata di tipo aziendalista si afferma nelle grandi catene alberghiere la visione innovativa del marketing promozionale che fa leva sulla comunicazione, sulla creazione e valorizzazione di un’immagine coordinata.
Il concetto di standardizzazione e di replicazione su vasta scala (di spazi, finiture, arredi, servizi) scaturisce dalle esigenze di razionalizzazione di una produzione di tipo industriale capace di pervenire, da una parte, ad una riduzione dei costi di realizzazione degli hotel (e conseguentemente dei prezzi praticabili per i clienti con un equilibrato rapporto qualità-prezzo) e, dall’altra, a consolidare una immagine alberghiera facilmente identificabile e memorabile in cui gli ospiti si possano sentire a proprio agio in quanto accolti da ambienti sempre simili (se non uguali) e quindi familiari dell’hotel.
Il centro benessere del Grand Hotel Dolder a Zurigo, 2008. Interior design Norman Foster.
La stessa immagine architettonica, arredativa, comunicativa, ripetuta tante volte diventa caratteristica e peculiare delle catene alberghiere che realizzano strutture di ospitalità distribuite nel mondo intero.
Si anticipa, in nuce, con gli hotel cloni di se stessi, uno dei tanti “non-luoghi” della società globalizzata, dotati di ambivalenza e teorizzati dall’antropologo Marc Augè :
«I non-luoghi rappresentano l’epoca, ne danno una misura quantificabile ricavata addizionando – con qualche conversione fra superficie, volume e distanza – le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti “mezzi di trasporto” (aerei, treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali (…)
Paradosso del non-luogo: lo straniero smarrito in un Paese che non conosce (lo straniero “di passaggio”) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere».2
Un corridoio-galleria del Grand Hotel Dolder a Zurigo, 2008. Interior design Norman Foster.
Gli hotel a tema nell’era dei nomadi globali
Mobilità, turismo, viaggi di lavoro, soggiorni temporanei e nomadismo globale oramai rappresentano sempre più l’epoca contemporanea in cui siamo immersi.
Come afferma Pierre Lévy: «L’economia contemporanea è una economia della deterritorializzazione o della virtualizzazione. Ricordiamo che il principale settore mondiale in termini di volumi d’affari è quello del turismo: viaggi, alberghi, ristoranti. Mai come oggi l’umanità ha consacrato tante risorse allo spostarsi, al mangiare, dormire, vivere fuori casa, ad allontanarsi dal proprio domicilio».3
Resta paradigmatica l’assenza – salvo rari e particolarissimi casi – di alberghi documentati adeguatamente nella letteratura critica o nelle storie dell’architettura moderna scritte lungo il secondo Novecento; la trattazione degli organismi alberghieri è stata in genere relegata nei manuali di tecnica alberghiera o nei manuali di progettazione edilizia attraverso l’approfondimento dei soli caratteri funzionali, dimensionali, distributivi.
Il ristorante e il lounge bar dell’Nhow Hotel a Berlino, 2010. Interior design Karim Rashid.
Disinteresse per un comparto dell’architettura ritenuto “commerciale” piuttosto che di ricerca e di sperimentazione? O, forse, settore ritenuto appannaggio degli interior designer piuttosto che degli architetti?
In realtà nell’esperienza contemporanea si assiste all’affermarsi di iniziative progettuali di alberghi la cui architettura e interior design assumono particolarissima rilevanza con il coinvolgimento di famosi architetti, designer, artisti, stilisti. Numerose anche le pubblicazioni recenti che affrontano (sia pur spesso attraverso libri prevalentemente d’immagini) l’illustrazione degli hotel contemporanei.
Nei nuovi alberghi sperimentali e di ricerca sembra potersi leggere il distillato delle metamorfosi legate ai nuovi riti ed abitudini che hanno investito la società globalizzata soprattutto le sue élite costantemente in movimento – per motivi di lavoro o di turismo – portatrici di nuove esigenze e di nuovi stili di vita connesse all’esperienze del viaggio e dell’abitare temporaneo.
Nella società fluida e deterritorializzata, insieme alla ridefinizione innovativa della camera o della suite d’albergo, è soprattutto la concezione del cuore pulsante degli alberghi (gli spazi di uso collettivo) ad essere rivista e reinterpretata attraverso innovative strategie di ospitalità, creatività e multiformi linguaggi.
Una camera e un bagno dell’Nhow Hotel a Berlino, 2010. Interior design Karim Rashid.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento – a fronte della convenzionalità assunta dagli hotel delle grandi catene alberghiere si registra soprattutto negli “alberghi indipendenti” legati al target alto una tendenza innovativa indirizzata ad abbandonare ogni visione stereotipata e a reinterpretare l’immagine architettonica, la spazialità e il design d’interni, i servizi offerti per l’ospitalità al fine di incentivare la valorizzazione del rapporto emotivo cliente-albergo nel suo complesso.
I nuovi modelli più che agli hotel standardizzati e alla loro concezione “funzionalista-efficientista” guardano al fascino e all’attrattività esercitata storicamente dai grand hôtel con i loro spazi slargati, scenografici, interconnessi, capaci di fornire suggestioni, spunti per il rinnovamento dell’albergo. Chiaramente nei casi autenticamente innovativi lo sguardo rivolto verso i grand hôtel viene epurato di ogni “nostalgia”, di ogni ipotesi di riproposizione stilistica e negli spazi comuni dell’hotel contemporaneo si ricercano significati d’uso e di socialità declinati attraverso inediti assetti spaziali, originali soluzioni di interior design con l’innesto dei nuovi apporti delle tecnologie di servizio e di comunicazione che diventeranno sempre più portatori di riforme sostanziali dell’anima pulsante dell’organismo alberghiero.
Una stanza da bagno e un patio de La Sommità Relais Culti a Ostuni, 2004.
La tendenza generale vede riplasmare gli spazi comuni intorno alla centralità della hall dell’albergo, attraverso immissioni ed innesti di nuovi servizi, eventi, attività, artefatti tradizionalmente non contemplati.Questa rivisitazione è rivolta agli ospiti degli hotel, ma sempre più “strizza l’occhio” ad un pubblico più ampio cercando in qualche modo di rendere permeabili e fruibili gli spazi interni ed interclusi degli alberghi rispetto a quelli esterni (aperti) della città o del paesaggio naturale in cui, a volte, si inseriscono.
È evidente che questa nuova visione impone ai progettisti di una sostanziale reinvenzione del modo di pensare e strutturare gli spazi interni quali elementi di richiamo per un pubblico “altro” rispetto a quello dei soli ospiti in soggiorno temporaneo.Si delinea cosi, progressivamente, la tendenza degli hotel a tema – spesso fortemente autoriali, visto il largo coinvolgimento dello star sistem di architetti, interior designer, designers a cui si aggiungono anche altre figure creative quali artisti, stilisti, grandi chef. Hotel dotati di un valore di unicità e di forte identità. La ricerca innovativa e sperimentale opera contestualmente sull’immagine dell’architettura – nella sua interrelazione con i vari contesti urbani o naturalistici – e sullo spazio interno plasmato da un progetto d’interior design indirizzato spesso ad enfatizzare un tema principale e dare vita ad un’atmosfera memorabile in cui assumono importanza crescente le componenti in grado di attivare esperienze multisensoriali (materiali, colori, luci, suoni…) con la messa in scena di artefatti ed “esperienze di vita” offerte agli ospiti (prevalentemente a pagamento).
Note
1 Fabrizio Giovenale, “Alberghi” p. 8, in Pasquale Carbonara, Architettura pratica, Torino, Utet, 1954, vol. II;
2 Marc Augè, Non luoghi, Milano, Eleuthera, 1993, (Non-lieux, 1992);
3 Pierre Lévy, Il virtuale, Milano, Cortina, 1997, (Qu’est-ce que le virtuel?, 1995), p. 64
Bibliografia di riferimento:
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Giacomo Rizzi, Abitare essere e benessere. Architettura d’interni e psicologia, Milano, Led, 1999, pp. 140;
Walter A.Rutes, Richard H. Penner, Lawrence Adams, Hotel design: planning and development, New York, Norton & Co., 2001, pp. 422;
Donald Albrecht, New hotels for global nomads, London, Merrel, 2002, pp. 159;
Andrea Branzi, “Il mondo che cambia”, in Ida Farè, Silvia Piardi (a cura di), Nuove specie di spazi, Liguori, Napoli, 2003, pp. 168;
Giampaolo Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 464;
Jill Entwistle, Designing with lights: hotels, Rotovision, 2000, pp. 160;
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Otto Riewoldt, New hotel design, London, Laurence King, 2006, pp. 239;
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Giacomo Rizzi, Hotel Experience, Savona, Dogma, 2009, pp. 206;
Nicola Lecca, New luxury hotel, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 208;
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