Se la mancanza di un senso (p.e. quello della vista) è innata: così il disabile possibilmente coltiva un altro senso, che sostituisca il vicariato di quello, e esercita l’immaginazione produttiva con grande perseveranza: nel modo in cui cerca di comprendere la forma di corpo esterno attraverso il tatto e – dove questo per via della grandezza (p.e. di una casa) non è sufficiente – gli ambienti attraverso un altro senso, come quello dell’udito con l’eco della propria voce in una stanza: alla fine però, se una fortunata operazione riporta l’organo alla sua sensibilità, deve innanzitutto imparare a vedere e sentire, cioè riportare la sua percezione sotto la capacità di questo di tipo di soggetto.1
Il titolo del libro di Imanuel Kant (1724-1804), Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), sottolinea lo scopo dell’opera: non la descrizione di come è fatto l’uomo («punto di vista fisiologico»), ma l’individuazione di ciò che l’uomo può e deve fare per plasmare se stesso. "La conoscenza fisiologica dell’uomo – scrive Kant – si propone di indagare ciò che la natura fa dell’uomo, la pragmatica ciò che l’uomo, in quanto essere libero, fa o può fare di se stesso"2.
Il citato iniziale, proprio evidenziando un passaggio significativo della esperienza umana nel momento in cui manca uno di quei sensi che permettono all’uomo a orientarsi e muoversi nel suo ambiente, mette in luce una capacità umana di adattamento che va oltre al semplice inserimento in un sistema “natura” o “società”. Alcuni casi particolari di bambini cresciuti lontani dalle influenze socio-culturali come Kaspar Hauser, avevano fatto nascere l’interesse a studiare e rivalutare gli antichi paradigmi sulla percezione. E così nasce lentamente una maggiore consapevolezza sulla reciproca influenza dei sensi, sui quali la vista aveva sempre avuto la supremazia: dalla antica “classificazione” di Aristotele, che aveva definito la vista il “senso pulito” in confronto agli altri.
Un percorso lungo, nel quale il ruolo della filosofia è indiscusso, e le scoperte della medicina e fisiologia si fanno attendere, intrappolate in antichi preconcetti nati con Galena e solo dal XV secolo faticosamente messe in discussione e valutate da una serie di grandi maestri della scienza umana.
E’ noto, che la relazione di una persona con l’ambiente circostante avviene per l’80%3 attraverso la percezione visiva, divenendo così il “senso” predominante per la interazione e l’orientamento. Gli altri sensi, quali olfatto, tatto, udito e gusto si dividerebbero i restanti 20%, in arricchimento delle informazioni visive provenienti dall’ambiente.
Un valore matematico, per di più sottoposto a notevoli differenze tra i singoli sensi per la loro stessa natura, inganna così totalmente la capacità umana nell’approccio con il mondo esterno. Un inganno purtroppo spesso supportato da una “facile” realizzazione di ambienti e prodotti, che si basano esclusivamente sulla relazione visiva, supponendo anche la possibilità di azioni correttive degli stessi utenti in corso “d’opera”. Vale a dire, che il design e l’architettura, basate sulla percezione visiva, non colgono le immense opportunità offerte dagli altri sensi di cui è dotato il corpo umano. Solo da poco, in campo espositivo e museale, se non cinematografico o retail, si tenta di integrare nuove forme di coinvolgimento sensoriale per aumentare l’interesse del visitatore, e la veicolazione all’interno di un percorso voluto.
Tuttavia le correlazioni che esistono all’interno del sistema percettivo attraverso la ricezione degli stimoli esterni da parte dei singoli sensi, sono di una complessità tale, da non poter sottovalutare l’influenza tra i “restanti” 20% in confronto alla vista: l’evoluzione dell’uomo ha visto l’alternarsi di successi e fallimenti, e non tutto quello che ha portato al successo evolutivo dell’uomo è riconducibile alla sua capacità visiva… se vogliamo essere anche più preciso, probabilmente è responsabile solo per una piccola parte.
Vale la pena insistere con lo studio delle percezioni sensoriali, e in modo particolare le loro relazioni e influenze reciproche. Il design non diventa innovativo a causa di un geniale intuito, ma attraverso una ricerca minuziosa delle capacità umane: solo capendo loro si può spingere a re-inventare il design.
Dall’introduzione “Design e (Ipo-)visione”, Andreas Sicklinger, Maggioli Editore, in via di pubblicazione
Note
1 Imanuel Kant, Antropologie in pragmaticher Hinsicht, (Antropologia pragmatica) edizione Lipsia 1833, pag. 75, traduzione dal autore.
2 Imanuel Kant, Antropologie in pragmaticher Hinsicht, (Antropologia pragmatica) edizione Lipsia 1833, Vorrede ( Introduzione) pag. IV, traduzione dal autore.
3 Bandini Buti, Ergonomia Olistica, Franco Angeli 2008, pag 150. In R. Canalini, P. Ceccarini, E. Storani, S. von Prondzinski, Spazi incontro alla disabilità, Erickson 2005, pag. 21