Le vivande delicatamente fatte vennero e finissimi vini fur presti; e senza più chetamente li tre famigliari servirono le tavole. Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con festa mangiarono.
Giovanni Boccaccio, Decameron
Atto primo - Una questione privata
Una elegantissima Tilda Swinton, ritratta nel suo abito Jil Sander al tavolo del ristorante di cui durante il film appaiono solo sporadici frammenti, raccoglie rapita con la forchetta un perfetto connubio di gamberi di Santa Margherita accompagnati da una caponata di verdure in salsa agrodolce, e per alcuni, interminabili secondi, si estrae, in preda ad un’estasi sensoriale, dalla conversazione obbligata che la incatena al mondo alto borghese della Milano industriale1. Il cibo è liberatorio, intimo, dirompente e dolce, come il suo amante-cuoco che passa il tempo libero a coltivare prodotti di qualità sopra il mare di San Remo e la riporta, lei così algida e misurata, ad una vita ormai dimenticata. Dispositivo erotico e rivelatore, il piatto racconta una storia che le parole non possono comunicare, smaschera i vizi di coppia e di corte poiché agisce dall’interno del sistema: accettato e condiviso, venerato e mai deriso, il cibo è senso dei sensi, arte senza archiviazione, necessità di possesso e reiterazione, progetto temporaneo di gusto assoluto.
Il momento del pasto si sostanzia attraverso una visione privata, introflessa, silenziosa, dedicata principalmente alla contemplazione, di matrice moderna, riflessiva, improntata all'ascolto, che potremmo assimilare alle pratiche in uso nei teatri dopo la riforma wagneriana quando buio e silenzio nella sala sostituirono in cicaleccio ininterrotto che accompagnava le rappresentazioni. Il cibo è una visione d'interni, assaporarlo e comprenderne il valore formale e gustativo richiede un'attenzione concettuale: come avviene per le arti visive il sistema di gradimento ê mediato da un discorso che lavora intorno al senso delle cose. La cucina contemporanea non si accontenta più soltanto di soddisfare il palato ma elabora teorie, studia ingredienti e sistemi di cottura, abbina sapori lontani, sostituisce aromi e incanta per la sua sofisticata lettura del mondo.
Atto secondo - Il Convivio
La Bottega del Macellaio di Annibale Carracci potrebbe prestarsi come scenografia del complesso palcoscenico che forma la cucina (professionale), teatro del film di Peter Greenaway, The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover2. Nella macabra trama che caratterizza una delle opere più riuscite del regista inglese, la quinta prospettica del ristorante Le Hollandais, capriccio barocco dai velluti cremisi, funge da sfondo per la messa in scena del dramma: da una parte il boss malavitoso costringe ogni sera i clienti del locale ad assistere alle crescenti angherie che infligge ai propri commensali in un tributo al cibo visto come violenza, mentre, dall'altra, la moglie di quest'ultimo consuma pubblicamente la propria passione erotica con un abituale avventore del ristorante tra la cucina, i bagni e i ripostigli. Tutto è visibile, dichiarato, estremizzato: il rituale del banchetto boccaccesco muta la propria pelle ironica in un sarcasmo disgustoso in cui la Peste siede a tavola con gli altri convitati. La raffinatezza delle pietanze portare a tavola è svelata nella sua essenza effimera attraverso la terribile scena finale di cannibalismo in cui emerge con evidenza il primitivo bisogno sotteso alla gastronomia: homo homini lupus.
La cultura umana attribuisce al cibo un valore che travalica la semplice questione del nutrimento - così come l'architettura esprime ben più di quanto il modello della capanna primigenia evochi - e sposta il senso del gusto dalla sfera percettiva a quella estetica: mangiare è un'arte e come tale richiede una retorica, una serie di modelli, uno studio della Storia, delle narrazioni, un'antropologia e un'approccio critico. Mangiare è un linguaggio o, per essere più precisi, un dialogo tra cuochi e commensali, una rappresentazione sociale ma non necessariamente verbale che rimanda a regole antichissime, mitologiche, come affermava Pauline Schmitt Pantel quando scrisse “un convito che disprezzi deliberatamente le norme che regolano i rapporti tra gli uomini e gli dèi è votato al fallimento […]”3. Il cibo, nutrimento fisico, diviene in letteratura e poesia così come nel linguaggio comune, metafora di arricchimento spirituale attraverso il rito che sancisce il rapporto - che è sempre anche distanza - tra uomo e dio.
Atto terzo - degustare con lentezza
Se l'esperienza privata del cibo - classicamente raccontata dagli eremiti che spesso dividevano la loro tavola solo con qualche animale - è spesso assimilata ad un disagio della società contemporanea (mangiare soli in mezzo alla folla), il pasto pubblico, dialogico, celebrativo, eucaristico e conviviale sembra spostare l'attenzione sensoriale dal palato alla parola. Trovare un punto di congiunzione tra le esigenze introspettive di una gastronomia celebratissima e un rituale antico come lo stare a tavola è questione di difficile soluzione poiché si parla di un equilibrio ardito e non sempre garantito che spesso, anche nei ristoranti più consapevoli, viene disatteso. Un esempio davvero straordinario e unico in Italia può essere rappresentato dal Postrivoro: esperimento gastronomico esplicitamente dedicato ai cultori della tavola, questo eccellente rituale si svolge una volta al mese nei pressi della cittadina di Faenza ma, all'occorrenza, potrebbe materializzarsi anche in molte altre parti del globo terrestre.
La ricetta è apparentemente semplice: solo venti posti a sedere per ogni appuntamento (cadenza mensile) e rigorosamente su prenotazione. Una cena o un pranzo curato in ogni dettaglio da un giovane chef emergente proveniente da una cucina "stellata" e un sommelier che abbina allo speciale menù diverse sorprese enologiche. Così definisco il loro concept gli ideatori di Postrivoro, "evento saltuario e immaginario" ideato da Raw Magna, associazione di giovani gourmand romagnoli e cosmopoliti che si occupa di eventi e didattica nell'ambito eno-gastronomico. Esperienze simili in giro per il mondo ne esistono già, si pensi a The Loft Project e Fulgurances (http://www.fulgurances.com/), eppure il caso italiano ha qualcosa in più. Per ora - trattandosi di un evento migratorio e intermittente - colpisce innanzitutto la location: il Rione Bianco presso l'antica sede della Commenda dei Cavalieri di S. Giovanni, adiacente all'omonima chiesa, uno degli edifici storico-artistici più importanti dell'intero patrimonio faentino (http://www.rionebianco.it/it/la-sede/page/5).
All'interno dell'antico complesso è stata attrezzata una cucina professionale proprio di fianco ad una splendida sala voltata che accoglie una tavolata unica. Questa sicuramente è la forza del Postrivoro, un mix di ricerca culinaria e convivialità resa possibile anche grazie agli allestimenti che, di volta in volta, vengono pensati da artisti emergenti. Quasi strizzando l'occhio alle grottesche fantasie di Greenaway, durante l'ultimo Postrivoro sono state sapientemente installate in giro per la sala e sopra la ricca tavola le sorprendenti ceramiche di Nero (http://www.ovveronero.net/index.html) che ha saputo trasformare l'ambiente attraverso atmosfere noir ed ironiche grazie ai suoi animali fantastici tra cui, da un momento all'altro, ci si sarebbe aspettati di veder sbucare fuori anche il mitico Postrivoro, appena scoperto all'interno di qualche bestiario medievale.
Epilogo: L'ultima cena
Il profumo goticheggiante che si respirava attraverso gli smalti delle affascinanti bestie da tavolo ha accompagnato, in perfetto accordo, una cena tutta francese, preparata a quattro mani dagli chef Jérôme Bogot e Laurent Cabut. Tra le quattordici portate si sono avvicendati un pastrami di lingua di agnello con salsa di senape, birra affumicata e cipolla candita, i ricci di mare con zucca e grano saraceno, le uova marinate, radicchio trevigiano e brodo di antra arrosto, la bavetta di manzo, asparagi selvatici, ostriche crude e pere osmotizzate, così come un dessert a base di polpa di olive verdi, granita di arancia, aneto e semi di lino. La selezione dei vini è stata affidata al bravissimo Filippo Marchi che ha ammaliato i venti commensali con una minuziosa e divertente narrazione sulle cantine francesi (suo cavallo di battaglia). Chi si recherà al prossimo Postrivoro ovviamente incontrerà altri artisti, differenti chef e un nuovo sommelier, proprio come se ci si trovasse all'interno dell'impianto del Decameron: a turno, ogni commensale, racconta la sua storia.
Elisa Poli
Note
1Luca Guadagnino, Io sono l’amore, Italia, 2009
2Peter Greenaway, The Cook, the Thief, His Wife & Her Lover, Inghilterra, 1989
3Pauline Schmitt Pantel, "I pasti greci, un rituale civico" in Storia dell'alimentazione, Bari, 1997