Cortile interno e visione dell’ambulacro della Chiesa del santuario di S. Antonio a Cremona (1936-1939) di Giovanni Muzio. (Foto: A. Acocella)
A partire dai primi decenni del II secolo d. C. il laterizio sostanzia la ricerca di un modellato autonomo di superficie, giungendo presto ad alimentare le due fondamentali tendenze all’uso del materiale che definirei, da una parte, della muralità severa, legata ai valori stereotomici della costruzione in mattoni e, dall’altra, della muralità decorata, che esalta le connessioni, le texture, i dispositivi tridimensionali della materia.
Nei secoli successivi al dissolversi dell’impero romano si assiste all’introduzione della muratura completamente in laterizio priva di riempimento interno in calcestruzzo, alla riformulazione dimensionale del mattone stesso (che assume progressivamente le dimensioni ergonomiche e modulari a noi tutti familiari in forma di parallelepipedo), alla variazione e all’approfondimento progettuale di temi della parete in laterizio anche con lavori particolarissimi sull’idea di muro (si pensi, ad esempio, al barocco, all’ondulazione muraria e al valore di novità che questa ricerca assume) che amplia progressivamente la “famiglia delle forme” dello Stile in laterizio.
Cortile interno e visione dell’ambulacro della Chiesa del santuario di S. Antonio a Cremona (1936-1939) di Giovanni Muzio. (Foto: A. Acocella)
Con l’Ottocento i partiti parietali, le sottolineature plastiche, le accentuazioni in contrasto cromatico portano il materiale stesso ad assumere una connotazione d’uso di tipo virtuosistico ed eclettico. Lungo questo secolo, in cui di perviene anche ad una produzione industriale di massa dei mattoni, non è più la costruzione che interessa, non l’idea severa dell’architettura murale che abbiamo visto in origine con i Romani, quanto piuttosto l’accentuazione e il gioco di superficie del materiale laterizio.
L’architettura moderna del Novecento in mattoni a vista si mostra, invece, poco debitrice nei confronti di queste esperienze ottocentesche e maggiormente vicina all’architettura romana, ai suoi archetipi, alle modalità severe di far muro.
I grandi architetti sembrano attingere direttamente al periodo formativo della costruzione in laterizio con un’evidente ripresa di interesse per quelli che sono i monumenti, i resti della classicità e i loro insegnamenti; a questi studi si accompagna spesso la riproposizione di un ordine murario sobrio, spoglio, all’interno delle opere di architettura.
Progetto della stazione ferroviaria di Trieste (1936-1939) di Angiolo Mazzoni.
Forse non casualmente è Mies, grande interprete moderno della classicità, a filtrare per primo in chiave innovativa l’idea del muro omogeneo. Una composizione muraria – quella dei suoi numerosi progetti in mattoni degli anni Trenta – che non chiude lo spazio, evitando ogni conclusione spaziale. Il muro in laterizio si “apre” verso l’esterno, il paesaggio. Questo processo di linearizzazione, di essenzializzazione del linguaggio murario sarà perseguito anche da altri protagonisti del Moderno.
A partire da Gunnar Asplund, Sigurd Lewerentz, Edwin Lutyens e, poi, con Frank L. Wrigth, Alvar Aalto, Rudolf Schwarz, Louis Kahn si lavorerà in tale direzione; i canoni ritornano ad essere quelli della semplificazione formale con l’accettazione di una visione classica, solenne, e la rivalutazione del muro come elemento costruttivo.
In Italia tutta una serie di protagonisti mantiene viva lungo gli anni Venti e Trenta del Novecento, e poi nel dopoguerra, un’idea forte di permanenza dell’architettura in laterizio fondata sugli archetipi di base: muro, arco, colonna, pilastro, declinati costruttivamente più che in termini di pura superficie.
Angiolo Mazzoni, per fare un esempio, con progetti quali quelli dell’ala mazzoniana della Stazione Termini di Roma e della stazione di Trieste della fine degli anni Trenta, sembra anticipare di cinquant’anni le proposte più contemporanee: figure murarie prive di decorazioni, grandi archi e strutture voltate, la ripresa della scala monumentale quale retaggio diretto della tradizione romana.
Giovanni Muzio – al pari di Mazzoni – lavora sul tema dell’aggiornamento linguistico del laterizio nel solco della tradizione classica; le sue opere – basti qui citare la serie di “architettura francescane” o il Palazzo della Triennale di Milano – esprimono una visione murale molto forte, con una spazialità giocata sulla massa laterizia a grande spessore.
Biglietteria della stazione ferroviaria di Roma Termini (1936-1943) di Angiolo Mazzoni.
Altri maestri dell’architettura italiana quali Aldo Andreani, Quadrio Pirani, Giovanni Michelucci, Saverio Muratori, Giuseppe Nicolosi ecc. dovrebbero essere citati per rendere conto di quel variegato filone di architetti che ha tenuto viva la gloriosa tradizione all’uso del materiale laterizio, fino alla sua forte rivalutazione avvenuta nell’ultimo quindicennio da parte di numerosi protagonisti dell’architettura di fine Novecento.