Anouck Boisr obert, Louis Rigaud, Dans la forêt du paresseux, Heli um, 2012 (Nella foresta del bradipo, ed. itali ana Corr aini, 2013).
Ipertestualità
L’ipertesto, sperimentato nei decenni successivi da molteplici autori, diviene protagonista dell’acceso dibattito svoltosi dagli anni Novanta ad oggi18 sul tema della “fine” della letteratura libresca. Oggi è realistico ritenere che la narrazione e la lettura ipertestuale siano condizione diffusa: la rete stessa è il grande ipertesto.
Il lettore contemporaneo – sia esso nativo o immigrato digitale – ha nuove abitudini nella ricezione e fruizione di informazioni rispetto a quelle derivate dalla sola lettura lineare.
Immagini, illustrazioni, testi dinamici, riquadri, diagrammi e tabelle, schemi, informazioni grafico-numeriche e link di rinvio che collegano e integrano tra loro i diversi media, sono oggigiorno elementi della nuova esperienza di fruizione di contenuti.
Già Ivan Illich19 ha suggerito come il libro non sia più “la metafora fondamentale dell’epoca; il suo posto è stato preso dallo schermo” (Illich, 1991, p. 7). Entro questo moderno supporto “il testo alfabetico è solo uno dei tanti modi di codificare un messaggio”.
La tesi che Illich sosterrà è fuori dagli schemi e molto intrigante.
Quella che egli definisce la “lettura libresca” è stata, nella sua analisi, un fenomeno specifico di un’epoca e di una certa società, non il “passo logicamente necessario nel cammino dell’uso razionale dell’alfabeto” ma uno dei passaggi possibili che potevano verificarsi. L’interazione con la pagina concepita e costruita in forma lineare, la lettura silenziosa coltivata in privato con il libro fra le mani, è solo uno fra i tanti modi possibili di interazione con la pagina scritta. Seguire Illich e leggere la cultura classica, ove il libro stampato è protagonista, come un fenomeno (effimero) verificatosi per una concatenazione (fragile)20 di eventi, è un approccio concettuale che può agevolare la comprensione e accettazione delle trasformazioni verificatisi nella contemporaneità tra il cartaceo e il digitale.
La adattività alla ricezione e lettura di informazioni propria del lettore contemporaneo, ne sono la prova. I media tradizionali (la radio, la tv, lo stesso libro), lo spazio di condivisione dei social (da quelli generalisti a quelli a tema), la varietà dei supporti di registrazione (dalla carta ai materiali di ogni genere, ai device di ogni formato), integrando e connettendo gli strumenti tra loro, hanno slargato enormemente i confini della parola scritta e trasformato il concetto generale di lettura.
Anouck Boisr obert, Louis Rigaud, Dans la forêt du paresseux, Heli um, 2012 (Nella foresta del bradipo, ed. itali ana Corr aini, 2013).
Oltre la leggibilità, verso l’interazione (ludica)
Se dal termine ipertesto è implicito il diramarsi del ragionamento alla scrittura espansa in ambiente digitale, la nostra analisi devia per tornare ad osservare implicazioni interattive dell’oggetto libro nella sua configurazione materica cartacea. Volendo mettere a fuoco il processo concettuale (e progettuale) del libro con finalità ludica, sperimentale ed educativa, l’opera di Bruno Munari21 appare fondamentale e imprescindibile.
Il presupposto teorico dei suoi Libri illeggibili è annullare il canone comunicativo convenzionale del libro mettendone in discussione la veste di mero contenitore di testo. Munari lavora proprio sulla soglia di ciò che libro é e non è, attraverso l’ibridazione delle forme, indagando orizzonti inesplorati e marginali.
Sfruttando tutte le potenzialità di tipografia e cartotecnica, i Libri illeggibili comunicano creativamente se stessi piuttosto che un contenuto concettuale formalizzato, grazie all’uso ed enfasi delle componenti visive (colori, reazioni dei supporti alla luce) e tattili (texture, tagli, pieghe), partendo dai materiali con i quali sono realizzati e utilizzandoli come linguaggio visivo (Falcinelli, 2014, p. 240).
La carta, rintracciandone tipologie eterogenee, recuperandola da contesti d’uso indiretti, provandone rilegature inusuali e modalità di assemblaggio, tagliandola in formati e combinazioni inconsuete, è senza dubbio la prima materia di sperimentazione.
“Questo modello di libro illeggibile si può usare aprendo le pagine a caso, cominciando dove si vuole, andare avanti e tornare indietro, per comporre e scomporre ogni possibile combinazione di bianco e nero” (Munari, 1981, p. 222).
Le sperimentazioni del poliedrico artista e designer milanese si susseguono negli anni, spesso ponendo in relazione, nella fase di realizzazione degli artefatti cartacei e multi-materici, aziende di produzione con editori spinti da volontà di innovazione. Già nel 1937 sperimenta l’uso del cellophane, nel 1964 lavora con il filo da maglia (L’idea del filo), nel 1987 con la plastica (Il merlo ha perso il becco).
Bruno Munari delinea un percorso fondamentale per le successive teorie sull’educazione infantile, ove il libro è il presupposto del gioco e il gioco è fondamentale forma di conoscenza.
Le forme poliedriche del libro che assecondano una ideazione e realizzazione fuori dagli schemi, attraggono e avvincono il lettore-bambino proprio nella sua fase di vita in cui tutto è gioco e scoperta, l’apprendimento avviene istintivamente attraverso tutti i recettori sensoriali: tattili, sonori e olfattivi.
Munari sperimenta su carta intersezioni materiche e trasparenze (Nella nebbia di Milano, 1968), finestre intagliate e carte colorate (Nella notte buia, 1956), pieghe, colori, geometrie nelle varie declinazioni dei Libri illeggibili (1953, 1865, 1966, 1967).
La Tavola tattile22 (la cui prima edizione è del 1931 e cui seguono altre proposte rispettivamente nel 1943 e 1993) è una sintesi, se pur non in forma di libro, del suo metodo. Al pari di una partitura musicale, nella tavola del 1943, Munari indica il tempo di fruizione poiché, se la percezione tattile è lineare, i tempi possono dosarsi nella lettura come nella musica.
Le tavole tattili non sono né libri né semplici giochi, sono artefatti “non finiti”, trasformabili, manipolabili, per esperienze sensoriali totali e globalizzanti che coinvolgano a tutto tondo il pubblico-bambino.
David Pelham, Trail: Paper Poetry, New York, Little Simon, 2007.
Carte e cartoncini per dare forma al libro
Talvolta è la fisicità stessa del libro, integrata al visual design, a costruire la narrazione e generare il coinvolgimento del lettore, con l’illusione visiva propria della fiction.
Dietro dorsi e copertine tradizionali possono nascondersi libri “non ordinari”, dalle caratteristiche inconsuete, “non libresche”. All’apertura destano sorpresa e meraviglia poiché includono elementi tridimensionali – costruiti attraverso la stessa materia di cui sono composti, la carta – richiedendo e stimolando l’interazione con il lettore per azionarne dispositivi movibili.
È il caso dei “libri animati”, tipologia collocabile nell’intersezione tra le invenzioni del libro d’artista23 e i volumi illustrati per l’infanzia, posti a costituire ormai uno specifico e consolidato settore di progettazione, sempre più spesso oggetto di studio e sperimentazione (anche attraverso attività di workshop guidate dagli stessi autori); tipologia di libri certamente non rivolti al solo pubblico dell’infanzia.
Tali particolari artefatti libreschi sono detti in gergo pop-up, poiché l’espressione inglese restituisce al meglio il senso del meccanismo costruttivo che, letteralmente, “salta fuori” come un avvenimento all’apertura della pagina, destando sorpresa, stupore, curiosità, spinta esplorativa.
Gli autori contemporanei attivi in tale settore si formano nel campo dell’illustrazione, studiano il design della comunicazione e al contempo le scenografie teatrali, non escludendo l’esperienza materico-esecutiva di realizzazione attraverso un’approfondita conoscenza degli origami.
Sono al contempo – conseguentemente – fini artisti del disegno, artigiani nel realizzare i prototipi manuali, e paper engineer (ingegneri della carta) quando la definizione dei singoli elementi intagliati in carta, grazie all’azione di leve a trazione e punti di incastro, deve rendere possibile la magia che consente ai materiali di base cellulosica la poliedricità, la performance alla metamorfosi tridimensionale.
Oggi con la definizione di paper engineering ci si riferisce alle tecnologie di modellazione della carta funzionali all’evoluzione sia della cartotecnica industriale per il prodotto di packaging, sempre più sofisticato ed evoluto, che alla definizione del dettaglio di fustellature, cordonature, piegature, nei prodotti editoriali.
Una tale specializzazione contemporanea, non sarebbe stata conseguibile se non si fossero nel tempo avvicendati studi e sperimentazioni sul tema della trasformabilità dell’oggetto in carta.
L. Fr ank Baum, Robert Sabuda (illustrazione e pop-up), The Wonderful Wizard of Oz, New York, Little Simon, 2000.
I libri animati sono l’evoluzione di sistemi già esistenti in epoca premoderna (sembra che i primi esempi risalgano al XIII secolo) in cui, attraverso elementi movibili innestati tra le pagine dei volumi, si potevano rappresentare e comunicare efficacemente concetti scientifici (per lo studio dell’astronomia e per procedure matematiche di calcolo). Ciò è avvenuto ancor prima che altri dispositivi movibili in carta divenissero anticipazione delle macchine ottiche per il montaggio delle immagini dinamiche (antesignani della cinematografia).
Presupposto del pop-up sono i solidi geometrici e le loro caratteristiche, interpretate e analizzate attraverso carte e cartoncini, cui poi si aggiungono il colore e le figurazioni più varie, sovrapponendo al progetto del meccanismo cartotecnico il sistema espressivo dell’illustrazione.
Tra i primi dispositivi cartacei movibili inseriti nei volumi vi sono le semplici volvelle: due dischi concentrici, collegati tra loro e sovrapposti di cui il superiore, traforato, mostra ciò che è marcato sul disco inferiore a seconda della rotazione (proprio come un disco orario). Si inserirono volvelle nei volumi manoscritti sin dal XIII secolo e tale pratica registrò un rinnovato successo nel XV secolo per la diffusione di testi di tipo astronomico24.
Sono dette volvelle anche quelle realizzate in forma rettangolare (simili ai regoli calcolatori), funzionali a rendere velocemente accessibili più livelli di informazioni numeriche, prima dell’avvento del digitale. Le slide chart, tabelle che slittano, dette anche Perrygraf dal nome del principale produttore ancora esistente, trovano impiego nei campi più diversi, in notazione delle frequenze radio, in ambiente medico, per elettrotecnici, in diversi settori industriali, in ambito musicale, nella misurazione del tempo.
La carta è materiale, per sua natura, incline a forme plurime, prestandosi alla modellazione in una molteplicità infinita di configurazioni. Con essa si può giocare e realizzare con limitata spesa sorprendenti strutture tridimensionali; tale possibilità, nota sin dal secolo XIX, epoca di affascinanti oggetti ludici quali harlequinades, paper dolls, tunnel peep show, gli stessi pop-up.
Piegare la carta significa lasciare sulla sua superficie una traccia indelebile; tagliarla consente di attribuirle forme, dimensioni, complessità; stratificarla permette di pervenire a notevole resistenza. Intersecare e combinare gli elementi in carta – piegati, intagliati, inspessiti – seguendo un progetto, genera meccanismi motori che, per scorrimento, rotazione, pressione, elevazione, trasformano il semplice foglio piano in forme tridimensionali nello spazio.
Fra un cartoncino intagliato è piegato a 90° e uno a 180°, vi è una sostanziale differenza. Negli anni Ottanta del Novecento Masahiro Chatani, architetto e docente giapponese, partendo da tali conoscenze, ha definito la tecnica della “Origamic Architecture” dando vita a modelli tridimensionali in carta, intagliando pieni, vuoti e giochi di luce su singoli fogli di cartoncino poi da aprirsi ad angolo retto. Le opere di Chatani sono state di suggestione per lo studio di vere e proprie strutture architettoniche.
Un pop-up è solitamente formato da più elementi incollati fra loro e animati da leve e meccanismi, solitamente aprendo a tutto tondo le pagine del volume che li contiene. La tecnica abbracciata da Chatani e da altri paper engineer contemporanei, ispirandosi all’arte del Kirigami25, genera creazioni a tre dimensioni partendo da un unico foglio di carta trasformandolo e modellandolo senza aggiunta né perdita di materia, solo grazie all’alchimia di tagli e pieghe.
Il libro come esperienza
L’editoria contemporanea è sempre più alla ricerca di nuove suggestioni ed esperienze fruitive da offrire ai propri lettori.
I volumi posti sugli scaffali, come sappiamo, attraggono in principio per la suggestione delle copertine, divenute oggetto di interesse specifico dei marchi leader dell’editoria internazionale conosciuti per la cura dedicata al design del libro.
La copertina riveste, protegge, e al contempo funge da interfaccia comunicante, stimolando soprattutto vista e tatto, ma, potenzialmente, anche gli altri sensi (vi sono stati esempi di cover sonore, olfattive, degustative…).
L’uso di materiali diversi dalla carta, sottoposti a trattamenti inusuali e complessi (effetti cangianti, goffrature, inserti) fanno sì che spesso i volumi, più che prodotti librari tradizionali e convenzionali, siano risultato di elaborato packaging editoriale, sperimentazioni che traggono idee e suggestioni da settori limitrofi a quello cartotecnico.
Se i libri sono oggetti di progettazione, non solo per il contenuto ma anche per l’aspetto visivo, per la scelta materica e la struttura compositiva, "autore" è anche la figura del graphic designer. Il grafico infatti talvolta lavora in stretta collaborazione con l’autore dei contenuti testuali e con l’editore, in alcuni casi si muove solo, con la propria competenza tecnica, con la sensibilità di adattare il gusto personale alle regole della leggibilità unita alla capacità di trasmettere un messaggio di non sole parole. Il designer grafico lavora dunque come un regista alla struttura complessa del prodotto editoriale.
Molti intellettuali e creativi hanno fatto la storia del libro “d’artista”, attraversando le avanguardie storiche, il Situazionismo, Fluxus, l’editoria sperimentale dei Sessanta e Settanta del Novecento. La forte personalizzazione, l’eccezionalità e l’unicità di tali progetti, è lontana chiaramente dalla riproduzione in serie del libro; per tale motivo abbiamo escluso tali visionarie esperienze – pur interessantissime – dagli obiettivi di questa sintesi.
Numerosi sono i graphic designers, riconosciuti dalle più affermate riviste di design (Eye, Étapes, Dude, Idpure…), il cui lavoro si presterebbe ad essere analizzato in un’ottica di progettazione del libro a tutto tondo, integrata, tra contenuti e veste editoriale. Tanti anche gli esempi, frutto della creatività diffusa, rintracciabili grazie alla condivisione iconografica in rete (pinterest, behance) di progetti d'autore.
Per tutti citiamo il lavoro dell’olandese Irma Boom i cui progetti editoriali fondono in un unicuum i tre criteri essenziali per definire la progettista “autrice”: esperienza tecnica, una linea stilistica riconoscibile e un significato, un contenuto elaborato e interiorizzato personalmente, palpabile attraverso le sue opere26.
La Boom ha la capacità di reinventare il ruolo del libro stesso, rileggendone la forma tradizionale e innovandola con soluzioni che coinvolgono alla “lettura” sempre in modalità inedite e differenti.
Il suo percorso è deliberatamente spinto alla sperimentazione, mettendosi alla prova sul limite, la soglia sottile, del libro come oggetto. Il libro è un artefatto tridimensionale e come tale manipolabile, può divenire dunque uno strumento personale, intimo, percepibile attraverso i sensi e veicolo di messaggi che possono coesistere ai veloci e mutevoli format digitali.
Il lavoro della Boom è radicale ed è stato oggetto di una molteplicità di giudizi che le hanno nel tempo attribuito transitorie etichette (estetizzante, decostruttivo, femminista), alimentando saldamente il dibattito sui temi della leggibilità, funzionalità e oggettività del libro.
Obiettivo dichiarato della progettista è trascendere la funzione di informazione e disseminazione dei contenuti che era propria del libro codex (e che oggi gli strumenti digitali già ampiamente portano avanti), riscoprendo e mettendo in primo piano attitudini non del tutto esplorate nell’oggetto libro contemporaneo, accrescendo le relazioni possibili tra i sensi (vista, tatto, olfatto) e i processi cognitivi.
Il libro, per Irma, rimane un oggetto industriale27, non artistico; la qualità del design grafico deve coniugarsi alla riproduzione seriale che domina la scelta dei supporti, i trattamenti superficiali, l’impronta degli inchiostri, il taglio, la rilegatura, l’intervento su tutti gli elementi che configurano il libro. La designer se ne prende cura, lo segue e accompagna in ogni fase di realizzazione; il segno della sua presenza è evidente nel progetto, mai accondiscendente o di semplice servizio alla committenza, ma sempre partecipato, vissuto con estremo coinvolgimento, indirizzato a costruire con essa un dialogo volto ad amplificare ed esprimere attraverso il libro, il contenuto.
Una copertina bianca, a leggero rilievo, in stoffa, avvolge i ricchi contenuti interni – testi grafici e illustrazioni colorate – delle pagine dalle fustellature irregolari e morbide come fossero da accarezzare: è il volume dedicato all'artista del tessile, Sheila Hicks: Weaving as a Methaphor (Yale University Press, 2006).
Un volume che non usa una goccia di inchiostro e coglie lo spirito del prestigioso brand cui è dedicato con il solo linguaggio di delicate goffrature grafiche e testuali sul fondo bianco delle pagine in carta profumata: N° 5 Culture Chanel (Editions de la Martinière Publishing, 2013).
L’attenzione per il racconto che si dispiega sul bordo sottile di taglio delle pagine, attraverso il trattamento cromatico oppure la scelta di fustellatura, è un elemento ricorrente del linguaggio dell’autrice, presente nel possente volume SHV Think Boom 1996 - 1896 (SHVHoldings Utrecht, 1996) che nasce come commemorazione dell’omonima holding olandese; nel catalogo The sky diary (Issey Miyake foundation, 2013) per l'opera dedicata allo studio dei mutevoli cambiamenti cromatici del cielo di Dai Fujiwara; in Represent Royal Tichelaar Makkum (010 Publishers, 2010), volume che illustra l’evoluzione dello storico marchio di ceramiche olandesi; in 1001 Vrouwen uit de Nederlandse Geschiendenis (1001 Women in Dutch History, Vantilt, 2013), dove nel contrasto tra le leggere pagine rosa distinte da 5 sezioni interne profilate di nero e la rigida copertina nera, possono leggersi similarità e differenze tra figure femminili del passato e del presente.
Sempre lavorando sul profilo esterno dell’oggetto libro, la Boom fa un uso elaborato del dorso, trasformandolo in cerniera che tiene unite le pagine e al contempo in meccansimo che consente la trasformazione formale del volume in più dimensioni: triplice è la costa di James Jennifer Georgina (Erasmus Publishing, 2010-2014), a doppio cardine quella per Gutenberg-Galaxie II (Irma Boom and Kristina Brusa, 2002).
L’autrice non sceglie mai i formati dimensionali del libro in modo convenzionale. Emblematico il racconto antologico su di sé che si offre, entro la medesima edizione, in due stremi opposti, nel contrasto di una versione pubblicata in grande e solide dimensioni e in una seconda estremizzata in miniatura (Irma Boom: The Architecture of the Books, Lecturis, 2013).
Questa abilità interpretativa, trasformativa, degli strumenti linguistici che alimentano il progetto, sono e possono rimanere – a giudizio di Irma Boom e anche per noi – le funzioni e i valori che salvano oggi il libro dall’estinzione.
Dai Fuji wara, Irma Boom (desi gn), The sky diary, Iss ey Mi yake Foundation, 2013.
Note
18 È interessante notare come Illich e Manguel citino, rispettivamente, due saggi pubblicati in un arco di tempo relativamente ravvicinato sul New York Times e sul suo supplemento letterario, relativi entrambi alla trasformazione del libro cartaceo e alla sua ipotesi di dissoluzione. Ivan Illich (Illich, 1991, p. 3) cita George Steiner, “The end of bookishness”, Times Literary Supplement, 8-16 luglio 1988, p. 754; Manguel (Manguel, 1997, p. 324) cita Robert Coover, “The end of books”, in The New York Times, 21 giugno 1992.
19 Il sociologo-filosofo austriaco già nel 1991 in Nella vigna del testo, scrive una storia delle tecniche di lettura definendo il modo “libresco” di considerare gli scritti come uno solo fra i tanti modi di interazione con la pagina scritta, il più efficace, forse, per l’ottimizzazione razionale dello strumento alfabetico, ma non l’unico possibile.
20 Gli aggettivi posti tra parentesi e dal così forte accento sono adottati nella narrazione dallo stesso Illich in Nella vigna del testo (op. cit. p. 7).
21 A riguardo si rimanda alla esaustiva trattazione di Giorgio Maffei, Munari I libri, Mantova, Corraini, 2008, pp. 238.
22 Munari si è formato in ambiente futurista. Marinetti fu il primo a creare tavole tattili (Sudan-Paris, 1920) e scrisse nel 1921 il manifesto Il Tattilismo.
23 A riguardo si rimanda a Giorgio Maffei, Il libro come opera d'arte: avanguardie italiane del Novecento nel panorama internazionale, Roma, Corraini, 2006, pp. 157.
24 Michelle Gravelle, Anah Mustapha, Coralee Leroux, Volvelles, 2012. In ArchBook: http://drc.usask.ca/projects/archbook/volvelles.php
25 Il Kirigami, a differenza dell’Origami che ammette solo la piega della carta, ammette le operazioni sia di intaglio che di piega, senza tuttavia asportazione di materia e senza incollaggio. Si riconosce in questa tecnica una corrispondenza con le indicazioni fornite agli studenti per lo svolgimento degli esercizi sul materiale cartaceo nei Laboratori curati da Lazlo Moholy-Nagy e Joseph Albers presso il Bauhaus (1919-1925).
26 Michael Rock, “Il grafico come autore”, Eye, n. 20,1996. (http://2x4.org/ideas/22/designer-as-author/)
27 Rem Koolhaas, nella prefazione alla monografia Irma Boom: the architecture of book, afferma: “There is no service in Irma’s industry.”
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