Continuità
Oggi il design litico, posto di fronte alle opportunità ampie di un mercato complesso e globalizzato, è tornato con una certa evidenza al centro dell’approfondimento del settore lapideo nazionale e della stessa attività di ricerca e di sperimentazione dei designer.
Il design valutato quale leva competitiva in grado di creare valore aggiunto rispetto alla risorsa litica di partenza è da alcuni anni focus dell’appuntamento culturale promosso dall’Ente Fiere di Verona sotto il titolo “Marmomacc incontra il Design” dove un gruppo di designer collabora in stretto contatto con aziende del comparto lapideo per elaborare progetti e prototipi valorizzativi dei know how tecnologici propri delle realtà produttive coinvolte. “Leggerezza del marmo; “Pelle, Skin, Texture”; “Hibrid and Flexible” sono i temi di sperimentazione proposti negli anni 2007, 2008, 2009.
Nella stessa direzione s’inscrivono i progetti promossi dalle aziende del Consorzio Marmisti di Chiampo – quali “Palladio e il design litico” (2008) e i “Marmi del Doge” (2009) – e ideati da Raffaello Galiotto.
Nell’avviare la nostra riflessione sul design litico contemporaneo ci ha interessato, in particolare, l’idea di esplorare gli elementi di continuità, insieme a quelli di discontinuità (o quantomeno di differenziazione), che è dato riscontrare fra il recente passato e la situazione dell’oggi.
Se lo spirito dei tempi esiste, qual è lo Zeitgeist attuale del design? Quale la condizione operandi nel processo di ideazione e produzione degli artefatti litici?
Fra gli elementi atemporali (e quindi di continuità) fra il passato e il presente dei processi generativi del design litico (e del design in generale) riteniamo vi sia la ricerca ineliminabile di forme o, se si vuole, la necessità del conferimento di forma alla materia.
«L’idea di fondo – per dirla con Vilém Flusser – è questa: il mondo dei fenomeni che percepiamo con i nostri sensi è un caos amorfo dietro il quale sono nascoste forme eterne, immutabili che possiamo percepire grazie alla prospettiva sovra sensoriale della teoria. Il caos amorfo dei fenomeni (il “mondo materiale”) è un’illusione e le forme nascoste dietro si essa (il “mondo formale”) costituiscono la realtà che può essere scoperta per mezzo della teoria. In questo modo è possibile riconoscere come i fenomeni amorfi sfocino nelle forme, le riempiano per poi defluire ancora una volta nell’amorfo (…) Il mondo materiale è ciò che viene introdotto nelle forme, è il riempitivo delle forme».1
L’immateriale (la forma) in altri termini è ciò che fa apparire in primo luogo la materia. Se, allora, la forma è l’opposto della materia, il design è l’attitudine e la strategia esclusiva del genere umano attraverso cui conferire forma a tutto ciò che ne è privo (la materia litica, nel nostro caso specifico).
Il mondo delle forme disvelate, replicate, variate, inventate sta all’origine di ogni azione indirizzata a produrre design: forme naturali ed artificiali, forme immutabili e mutevoli, forme eterne e contingenti allo stesso tempo.
Questo mondo formale, cresciuto sulle spalle del mondo materiale, rappresenta il substrato culturale a cui ogni designer (di ieri, come di oggi) non può sottrarsi. Un universo poliedrico di forme che sembra appartenere al “mondo materico” ma che, invece, è dote del mondo delle idee, della teoria, della cultura intesa come memoria, conoscenza o visionarietà proiettata verso il futuro.
Il progetto “I Marmi del Doge” muove il tema della ricerca delle “sue” forme a partire dalle suggestioni dell’ordine architettonico di Palazzo Ducale di Venezia.
Un ordine architettonico “invertito” quello del Palazzo Ducale che sembrerebbe essere “costruito contro le leggi sacrosante dell’architettura” – come Wolfang Wolters riporta in questo stesso volume citando dalle cronache dei commentatori dell’opera di Filippo Calendario – con le sue due logge tettonico-lineari (filtranti e leggere) nella fascia basamentale e la continuità muraria di natura tessile (“pesante”, avvolgente, fortemente decorativa) a contatto con il cielo.
Da questo partito architettonico “inverso” Raffaello Galiotto – con metodo già sperimentato nel progetto “Palladio e il design litico” – seleziona, distilla, estrapola alcune linee, figure, geometrie combinatorie. Poi le trasferisce nello spazio del progetto digitale guidato dall’alchimia ideativa che astrattivamente e associativamente procede alla fusione delle forme di partenza e di quelle nuove che affluiscono dalle regioni insondabili della visionarietà di ogni mente creativa, dando vita al nuovo progetto-concept di design litico.
Processi alchemici e magici quelli della creazione di cui il progetto “I Marmi del Doge” ci parla attraverso i suoi prototipi litici, calchi delle forme mentali (e digitali, come vedremo) del suo ideatore.
Discontinuità
I decenni centrali del secondo Novecento (ci riferiamo in particolare agli anni Sessanta, Settanta, Ottanta) hanno visto numerosi maestri del design italiano impegnati nell’ideazione e messa in produzione – insieme ad aziende del mondo dei marmi, delle pietre o dell’arredamento – di oggetti di design litico molti dei quali ancora oggi disponibili sul mercato: Angelo Mangiarotti, Carlo Scarpa, Achille Castiglioni (…) e poi più tardi – lungo la stagione del postmodernismo – Aldo Rossi, Paolo Portoghesi, Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo Di Francia, Mario Bellini (…).
Immaginiamo tali designer – molti dei quali architetti famosi sulla scena internazionale – all’interno dei loro atelier affollati e ingombrati da tavoli da disegno, intenti nel fissare su carta, attraverso schizzi fortemente autoriali, le loro idee iniziali di forma, passare poi ai collaboratori le indicazioni necessarie per trasferire l’idea su qualche tavola a disegno quotato tradizionalmente eseguita, avviare infine i contatti colloquiali e fiduciari con le realtà produttive preposte all’esecuzione dei pezzi con impiego di metodiche prevalentemente artigianali e lavorazioni manuali o parzialmente meccanizzate.
Molto diverso lo scenario e le condizioni operandi che è dato riscontrare nella produzione del progetto di design in avvio di nuovo millennio.
Innanzitutto è da evidenziare l’affiancarsi (e l’affermarsi) accanto alle figure “tradizionali” degli architetti-designer di quelle “nuove” dei designer-designer cresciute sul progetto dell’oggetto o, se si vuole, sulla scala dell’architettura del piccolo. Si tratta di una sostanziale mutazione del quadro generale dei protagonisti del progetto di design a cui si lega, contestualmente, il ricambio generazionale con l’immissione di figure giovani (se non addirittura molto giovani) cresciute nell’era della rivoluzione digitale.
Un secondo elemento di discontinuità – anch’esso molto significativo e sostanziale – attiene alla mutazione dello spazio fisico di lavoro insieme a quello concettuale ed operativo inerente ai modi di produzione del progetto di design.
Gli atelier di progettazione hanno perso ogni atmosfera o aura autoriale, si sono svuotati dei tavoli di disegno ingombranti, liberati dei tecnigrafi, dei modelli eseguiti spesso da sapienti artigiani della materia e hanno accolto al loro posto ordinate e asettiche consolle informatiche dotate di grandi schermi interattivi che spalancano al nuovo mondo della realtà virtuale parallela a quella materiale.
Nel volgere dell’ultimo quindicennio un sostenuto processo di innovazione dei concetti tradizionali di spazio, tempo, materia, forma, presenza è stato indotto – come sappiamo – dai progressi delle scienze elettroniche con influenze non irrilevanti nell’area del design di architettura e di prodotto.
Il campo informatico, che ha fatto propri i risultati della ricerca scientifica più generale, ha reso disponibili per i progettisti potenti strumenti di calcolo, insieme a metodiche innovate di creazione, rappresentazione, simulazione degli artefatti. La possibilità di trasporre equazioni differenziali, funzioni e algoritmi – riguardabili come sculture matematiche o anche come “nuvole di punti” nello spazio – in ambienti virtuali di lavoro gestiti da avanzati software ha consentito ai progettisti di interagire con interfacce di prefigurazione e modellazione in cui sperimentare ogni tipo di forma attraverso atti di formazione (generazione), de-formazione, metamorfosi.
Ne è derivato, conseguentemente, oggigiorno una mutazione dello spazio in cui si esercita la creatività da parte delle nuove generazioni di progettisti.
La cultura del progetto sempre più si concentra e si alimenta in studi-atelier attrezzati con potenti computer connessi in rete in forma di network, sostenuti dalle competenze di giovani operatori delle tecnologie informatiche, di esperti di modellazione virtuale e di produzione di immagini fotorealistiche in grado di gestire in team lo sviluppo di progetti oramai integralmente digitalizzati: dall’idea iniziale fino alla produzione degli artefatti stessi.
Il computer non sta più a rappresentare un semplice strumento di lavoro ex post rispetto alla fase di ideazione vera e propria. Attraverso i suoi programmi, le capacità enormi di calcolo e di rappresentazione si pone, oramai, come elemento contestuale e co-generatore rispetto allo sviluppo di ogni idea, di ogni abbozzo iniziale di forma.
Il nuovo mondo della prefigurazione ad interfaccia informatizzata ha, contestualmente, liberato energie nuove per una sperimentazione più libera sulle famiglie di forme (e loro articolazioni) dove è possibile saggiare una forma (o più forme) all’interno di azioni, retroazioni, visualizzazioni, varianti in tempo reale.
Lo stesso spazio progettuale da spazio razionalizzato attraverso la terna di assi cartesiani evolve verso matrici geometriche più complesse e spazi con dimensioni di ordine superiore.
In questi ambienti di simulazione pluridimensionale il progetto contemporaneo di design non si produce più in forma lineare e sequenziale (scandito cronologicamente fra concept autoriale, progetto esecutivo, prototipazione). Sempre più evidente è l’aumento della contestualità-complessita nella gestione del progetto, delle scelte e dei dati relativi alle diverse aree problematiche e alle diverse fasi del processo, non ultima quella produttiva.
Le risorse informatizzate dischiudono il progetto di design verso territori ed orizzonti del tutto nuovi.
Il primo è interno allo sviluppo digitalizzato del progetto con l’elevato livello di definizione tecnica conseguibile e la precisione della modellazione virtuale consentita sotto forma di plastici digitali tridimensionali (statici e dinamici) ad altissima definizione delle linee, delle curve, dei volumi e dei dati analitico-quantitativi connessi.
Il secondo orizzonte dischiusosi attiene all’interconnessione di ambiti operativi sino a qualche lustro fa scarsamente correlati e dialoganti. Ci riferiamo all’integrazione diretta fra progetto di design e fase di produzione grazie alla possibilità di conversione dei dati e delle rappresentazioni tridimensionali (i “file progetto”) nel relativo linguaggio di comando delle macchine di lavorazione, oramai completamente robotizzate e gestite anch’esse da software.
Riteniamo che non molto diverso da quanto prefigurato sia il contesto in cui è nato ed è stato sviluppato il progetto “I Marmi del Doge”.
Verso la materia (in-formatizzata)
Lo spirito attuale del tempo si coglie anche nelle aziende del settore lapideo dove, accanto a linee di produzione seriali segnate dal tempo e dal “logorante” lavoro sulla dura materia litica, si nota la presenza di imponenti e nuovi macchinari robotizzati di recentissima generazione.
Si tratta di centri di lavoro capaci di assicurare modalità e processi operativi alimentati dalla trasmissione dei dati elettronici provenienti dalla fase del progetto digitale di design. Il concatenamento tra l’input dei dati immateriali portatori di forma e l’output di modellazione materico delle macchine robotizzate di fabbrica rappresenta uno degli elementi di maggiore innovazione (e, quindi, di discontinuità) dello scenario manifatturiero odierno del settore lapideo rispetto a quello di solo qualche lustro fa.
Tali centri di lavoro sono macchine a controllo numerico con bracci snodabili guidati da software CAD/CAM (Computer Aided Design - Computer Aided Manufacturing) capaci di imprimere la forma di qualsiasi modello tridimensionale ai litotipi attraverso l’aiuto di laser scanner ed altri dispositivi ad avanzata tecnologia integrati alle macchine stesse. Selezionando automaticamente specifici utensili diamantati questi macchinari robotizzati possono realizzare fresature, sbancature su monoliti tridimensionali, lavorazioni a tutto tondo, scavi in profondità della materia. Lo stesso spazio utile di lavoro è oramai significativo (600 cm di diametro, 300 cm di altezza) non ponendo più grossi limiti alla tipologia dimensionale di artefatti sottoponibili a tale tipo di sistema produttivo.
La chiave di svolta di questi grandi robot – molti dei quali frutto dell’ancora insuperato primato italiano nella produzione di macchine manifatturiere – è nella tecnologie abilitanti (software avanzati, sensori, laser…) che li rendono “macchine intelligenti” con bracci servomovimentati in uno spazio multidimensionale di lavoro.
Ciò che in un passato, anche molto recente, era possibile ottenere solo attraverso procedure discontinue, costose, ibride (con contestualità di lavoro manuale e meccanizzato) coordinate dall’abilità e dall’esperienza di esperti artigiani, oggigiorno è affidabile alla collaborazione fra l’immaterialità dei flussi di dati elettronici del progetto digitalizzato e la forza modellante dei bracci semoventi che conferiscono forma alla materia litica assicurando altissima precisione e continuità al processo produttivo, indirizzabile – quest’ultimo – verso la realizzazione di oggetti unici o multipli in funzione delle specifiche richieste mercato.
Il conferimento di forma alla materia litica attraverso una realtà virtualmente parallela (generata dal progetto di design) apre a nuovi orizzonti e a morfologie complesse gli artefatti litici contemporanei ripristinando per il settore produttivo dei lapidei il livello dell’alto artigianato che ha contraddistinto la tradizione italiana degli elementi architettonici e dell’arredo marmoreo riguardabili come tipici apporti della civiltà abitativa delle nostre città storiche di cui lo stesso splendido Palazzo Ducale di Venezia ne è testimonianza.
Senza questa rivoluzione dei mezzi di produzione e senza il progetto digitalizzato di design che si colloca a monte (e ne, in-forma a valle, la materia) non sarebbe stato possibile in così breve tempo e con tale apertura sperimentale e sistemica un progetto come quello de “I Marmi del Doge” ideato e coordinato da Raffaello Galiotto, figura rappresentativa ed emergente all’interno di quel nuovo panorama dei designer-designer a cui abbiamo fatto riferimento.
Un progetto di concept design di nuovo millennio, prim’ancora che messa in produzione di singoli oggetti di design litico.
Un’ultima riflessione che vorremmo avanzare, a proposito del progetto “I Marmi del Doge”, attiene al rapporto sinergico fra progetto di design e know how aziendale quale leva competitiva all’interno dell’economia postfordista.
L’evoluzione delle transazioni economiche dall’ambito locale a quello globale non sta ad individuare oggi solo la dilatazione geografica del mercato e la crescita (esponenziale) dei potenziali acquirenti-consumatori di beni e servizi di massa. È anche indicatore della nascita di particolari aperture del mercato stesso legate alla richiesta di prodotti di alta gamma contrassegnati dai valori di qualità, unicità, durata nel tempo, assicurabili solo attraverso materiali di pregio ed elevate competenze manifatturiere delle imprese.
Mi piace valutare il progetto “I Marmi del Doge” all’interno di tale orizzonte di competizione economica riguardandolo, nel suo insieme – dall’ideazione formale di prodotto, alla fase produttiva fino a quella importante di comunicazione e promozione dell’iniziativa stessa – come una proposta-concept fortemente innovativa sotto il profilo strategico nel tentativo di rendere esplicito e valorizzare, attraverso un progetto di design, il livello tecnologico avanzato delle aziende del Consorzio Marmisti Chiampo riunite in un sistema a rete e protese a intercettare le tendenze evolutive del mercato – sia pure di nicchia – verso beni durevoli, prim’ancora che di lusso come spesso superficialmente si tende ad identificare i prodotti litici di alta gamma e valore.
Note
*Il saggio è tratto da I marmi del Doge. Design e ospitalità, a cura di Raffaello Galiotto, Vicenza, Consorzio Marmisti Chiampo, 2009, pp. 122
1 Vilém Flusser, “Forma e materia” p.7 in Filosofia del design, Milano, Bruno Mondadori, 2003 (ed. or. 1993), pp. 153.