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Ideare, sperimentare, materializzare. Una conversazione con Matali Crasset

06 Agosto 2012

Ho avuto occasione di conoscere per la prima volta i tuoi progetti qualche tempo fa presso la Galleria Luisa delle Piane. Il fascino immediato che hai suscitato su di me è stato per l'uso disinvolto, disinibito del colore, come elemento linguistico del progetto.Approfondendo poi il tuo percorso, le tue realizzazioni, emerge che non vi è soltanto la policromia ma anche altre costanti quali composizione, modularità, trasformabilità, interazione, duttilità di elementi, flessibilità di spazi. È indubbio: attraverso i tuoi progetti, mantieni "svegli", "attivi", "reattivi" gli utenti. Pensi dunque che questa sia una delle funzioni "sociali" del design?
Matali Crasset: Certamente; sono per proporre delle strutture utilizzabili, praticabili, che guidino al «fare». Mi sono accorta che c'è bisogno di fare sperimentazione, un'attività un po' dimenticata. Grazia all'attività sperimentale ci si evolve. La «storia del fare» è molto importante per l'umanità stessa. La manipolazione appartiene a quei momenti in cui ci si lascia vivere e si comincia a creare. bisogna essere attenti, vigili, perché abbiamo molti strumenti che ci permettono il “fare” secondo modalità molto diverse.
Dunque bisogna porsi delle domande, trovare un punto di equilibrio per non arrivare ad un momento di passività. Svolgendo sperimentazione ci si pone delle domande, ci si rimette in causa e, poco a poco, si ricomincia, ripartendo dalla fase precedente. Talora si rischia tuttavia di non essere più aperti a raggiungere un risultato ma solo attivi in una continua sperimentazione e ricerca di novità; dunque, paradossalmente, non è più fare sperimentazione. Quindi bisogna mantenere fisso lo sguardo sull'obiettivo del progetto e dei suoi utenti.

 

 

Quand Jim monte à Paris, Matali Crasset, 1995.

 
V.D.B.: Quale é il tuo rapporto con le tecnologie informatiche, sia nel concepire il progetto che nell'integrazione di esse alla realizzazione dello stesso?

M.C.: La tecnologia è uno strumento, si potrebbe dire un “utensile”, che cambia continuamente e che io stessa ho visto direttamente evolversi. Appartengo ad una generazione che realizzava i disegni tecnici con i “rotring” e che si è aggiornata imparando ad utilizzare molteplici software. La tecnologia non può sostituire l'attività del pensiero. Non è la macchina che consente di pensare; bisogna mantenere la propria colonna vertebrale, il proprio pensiero, la propria metodologia. La tecnologia mi serve; cerco di addomesticarla. In ogni modo in nessun caso non sostituisce l'attività creativa attraverso le funzioni automatizzate. Personalmente faccio in modo che mi serva al momento giusto. Cerco di manipolarla e digerirla per conservare la mia intuizione vergine.
La cosa principale nel mio lavoro è l'idea di tradurre in progetto la mia intenzione, il mio concetto di “valore”; dunque non è l'informatica che mi aiuterà a trovare questi significati e a materializzarli ma piuttosto mi aiuterà a divulgare i miei progetti, non a crearli.

  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Logis écologique & urbain. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Logis écologique & urbain. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Logis écologique & urbain. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Logis écologique & urbain. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. City cabane. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Mini Cabane. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Mini cabane. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. City cabane. ph: Simon Bouisson
  • Hotel Hi Matic, Paris. Family room. ph: Simon Bouisson

V.D.B.: In sintesi come spiegheresti il tuo metodo progettuale? È sempre lo stesso o varia di volta in volta, in funzione di committente, progetto, contesto...?

M.C.: Ci sono molti metodi di progettazione possibili. Passa il tempo e mi trovo a lavorare in contesti molto diversi; non solo il mondo industriale ma anche quello dell'associazionismo o delle istituzioni, ecc.. D'altro canto, io ho il mio proprio metodo, il mio proprio modo di procedere e, allo stesso modo, ritengo che ognuno debba trovare il proprio.
È ciò che dico agli studenti. Ci sono metodi cosiddetti “classici” ma ognuno deve trovare la metodologia contestuale al proprio percorso.
Si ha l'impressione che “Design” significhi trovare delle idee, ma non è così. Tutti hanno delle idee. Ma sono le idee utilizzate nel contesto appropriato e sviluppate fino a un certo livello da permettere l'innovazione, a funzionare. Al contempo non devono essere di rottura con ciò che già esiste. L'esperienza di questo equilibrio di forze che si acquisisce con la pratica è molto importante, progetto dopo progetto.
Bisogna realizzarne molti per acquisire plasticità. È una ginnastica del pensiero che, innestata, consente in avvio di un progetto di comprendere subito il contesto, dove siano le leve sulle quali agire e i limiti del progetto stesso. Dunque fare in modo di proporre al committente qualcosa che sia in risonanza con il contesto.
Quando svolgo atelier di progettazione della durata di pochi giorni, un po' ovunque nel mondo, recentemente presso Haute Ecole d’Art et de Design di Ginevra, cerco di trasmettere degli insegnamenti concreti.

V.D.B.: Saper fare artigianale o fabbricazione industriale a controllo numerico sono contesti di produzione, compresenti nella contemporaneità, che fanno parte della tua pratica e ricerca? Come individui dove e come realizzare i tuoi progetti?

M.C.: Non svolgo ricerche in assoluto – solo molto molto raramente. Se faccio ricerche è per la volontà di mostrare il mio lavoro. Faccio ricerca quando ho bisogno di materializzare, mostrare all'esterno il mio interesse più profondo e fare uscire l'idea iniziale e tutte le nozioni che costituiscono questo centro di interesse e stanno per formalizzarsi con il progetto.
Io non ho limiti nella ricerca,  lascio che vari molto. Mi piace procedere in più di una direzione parallelamente.
Per esempio mi interesso di sociologia e antropologia, allo stesso tempo ad addomesticare la tecnologia nello spazio quotidiano; mi interesso anche di informatica, sì, faccio anche questo.
Cerco di mettere in relazione le mie passioni personali e il bisogno locale, ovvero il mio interesse e quello degli altri, anche di coloro che si trovano dall'altro capo del mondo.

  • Dar Hi. Espace Pilotis. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Troglodyte. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Dunes. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Dunes. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Hi body and soul. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Hi body and soul. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Pilotis. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Pilotis. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Pilotis. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Pilotis. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Espace Troglodyte. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Malika. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Bazar Fegtima. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Ph. Jérôme Spriet
  • Dar Hi. Ph. Jérôme Spriet
  • Centre historique de Nefta, Tunisie
  • Centre historique de Nefta, Tunisie

V.D.B.: Nel progetto, è chiaro, non parti dalla scelta dei materiali con cui realizzarlo. Eppure come rientrano essi infine nel progetto?

M.C.: Non sono ancorata ad un solo modo di produzione. Sono stata per esempio in Tunisia dove il tema era la costruzione di una struttura alberghiera e non conoscevo affatto il contesto. Pertanto bisogna avere una base in tutti i settori e poi procedere completando a seconda del progetto. Si sa che il nostro mestiere significa coinvolgersi con passione, di volta in volta, in nuove esperienze e ambiti di conoscenza.
Per ogni progetto si è obbligati ad immergersi e trovare la sinergia con un modo di fabbricazione differente e anche con un certo tipo di relazioni umane. Non è solo la semplice “fabbricazione” ma come si interagisce con gli interlocutori, come si realizzano i progetti collettivamente. Ciò che mi interessa non è dirigere ma piuttosto interagire e raggiungere l'obiettivo del progetto che si farà. La cosa sulla quale sono più chiara è il mio metodo. Cosa si fa con tutto ciò con il quale ci si imbatte nel progetto? La materia non è tutto; non mi riesce cominciare un progetto partendo dai materiali perché ciò diverrebbe un semplice esercizio. Io non devo svolgere esercizi, come a scuola - può capitare per un allestimento, per esempio -; non si può partire con un esercizio, verrebbe a mancare una dimensione. La dimensione del superare se stessi, di comprendere gli altri e infine dominare la materia.
Mi piace molto, talvolta, lasciar parlare la materia, creare intimità con essa; ci si accorge che ci sono dei potenziali nascosti perché talora la materia è stata privata di qualche cosa; rivelarli può essere molto importante. È un po' la medesima cosa che succede con la tecnologia: quando taluni aspetti sono rimasti inespressi si possono trasferire in ambiti differenti, valorizzare attraverso altre applicazioni.
Realizzo progetti di ogni tipo, piccole serie e a scala industrial, con artigiani locali che conosco personalmente o con l'industria. Il mio approccio è scoprire ciò che un oggetto suggerisce, la sua interiorità. Poi realizzarlo per i diversi contesti, dall'ambito delle galleria d'arte al mercato della grande distribuzione.

V.D.B.: Come si svolge il dialogo con i tuoi collaboratori, rispetto ad una autorialità così spiccata, indipendente, come la tua?
M.C.: Siamo un piccolo Atelier, difendiamo l'idea di una struttura in scala “umana” e collaboriamo con ambiti della produzione anch'essi di ridotte dimensioni. Partiamo dall'idea di mettere le nostre intelligenze in comune e dunque difendiamo la “dimensione umana”.
Si ha un tipo di creatività diversa in piccole strutture; faccio un design indipendente, impegnato, che non si potrebbe svolgere in strutture diverse.
Qui da noi non si può parlare di prodotti commerciali, non esiste in strutture di queste proporzioni. C'è un tipo di creatività diversa.
Sono stata invitata in Russia a presentare i miei progetti e, in chiusura dell'esposizione, mi hanno chiesto: “Ma tutti questi progetti li hai fatti tutti completamente da sola?”
Io, di base, spiego sempre con chi ho lavorato tuttavia le mie realizzazioni sono apparse così personali, così libere, affermate, identitarie, che non si aveva l'impressione avessi lavorato con altri interlocutori.
Non è semplicemente affidare ai collaboratori un compito da eseguire, un disegno da realizzare ma dialogare, incontrarsi, spiegare loro un “saper fare” particolare per raggiungere risultati singolari – difendo la singolarità – e, in finale, coloro che mi raggiungono in studio per collaborare è perché diffondo l'idea che nel design più c'è differenza, diversità di idee, meglio è. Ciò dà speranza ed è veramente ciò in cui credo e che difendo.

  • Double side, Matali Crasset 2011
  • Danese for Double side, Matali Crasset 2011
  • Danese for Double side, Matali Crasset 2011
  • Danese for Double side, Matali Crasset 2011
  • Danese for Evolute Pendant Lamp, Matali Crasset.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Campeggi for Sweet talk and dream, Matali Crasset, 2011.
  • Maison des petits, Centquatre, Paris, 2009.
  • Maison des petits, Centquatre, Paris, 2009.

V.D.B.: Rivolgersi a pubblici "particolari" come i giovani, i bambini, ne design, significa anche affrontare la questione dei costi. Come ti rapporti connquesto ineludibile aspetto della produzione?

M.C.: Non si comincia un lavoro senza pensare al costo di realizzazione e poi di vendita. Fa parte del mestiere. Certo è che la stessa idea la si può realizzare a livelli diversi di costo. E trovare il costo è molto di più del saper fare. A un momento dato del processo progettuale, il mio processo mentale è trovare attenzione, ospitalità, condivisione e non cristallizzarsi attorno ad un concetto. L'idea finale la potrò materializzare a diversi livelli di costo, gestendo materiali e costi di produzione diversi e questa è l'esperienza.
È uno degli ingredienti essenziali del mestiere del designer un po' come la relazione con i committenti. “Adoro”, del resto, avere committenti e più ne ho più posso digerire il progetto, spingerlo e superarlo. E sono sicura che la proposta corrisponderà di fatto a ciò che l'interlocutore chiede. È un dato molto importante del mestiere e io considero che rispondere in funzione dei costi, fare un oggetto funzionale è il “minimo sindacale” del design ma non è sufficiente...

V.D.B.: Infine, la gentilissima Matali Crasset pensa di essere cambiata da quando vive e lavora a Parigi?
M.C.: No, no, sto molto bene qui a Belleville tra decine di famiglie, l'Ufficio proprio di fianco al luogo dove vivo. Ho scelto di stare qui; talvolta si può scegliere e ciò è una tipicità del mestiere del designer; è una capacità che abbiamo e dunque ne possiamo approfittare anche per le scelte di vita.
Bisogna fare in modo di vivere gradevolmente e configurare la propria struttura, familiare e lavorativa, come “voglia di vivere”.

 

Veronica Dal Buono

 

Nota alla traduzione.
Ritengo opportuno precisare che nella trasposizione testuale dell'intervista a Matali ho adottato  criteri a mio avviso importanti anche se personali.
Ho scelto di mantenere il discorso diretto per stare vicino al “suo” sentire e trasmettere il senso dei concetti da lei espressi con tanto vigore ed entusiasmo.
A volte, a  scapito della traduzione stessa, ho riportato pedissequamente, le strutture usate dalla intervistata, più francesi che in forbito italiano, utilizzando il significato base della parola quasi a voler mantenere quei suoni e quelle onomatopee che, unitamente al tono della voce e alla gestualità,  tanto aggiungono arricchendo l'argomentazione e la conoscenza acquisita dell'interlocutore.

 

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MD Material Design
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ISSN 2239-6063

edited by
Alfonso Acocella
redazione materialdesign@unife.it

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