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I laterizi cotti della Cisalpina

20 Ottobre 2014



Mattone sesquipedale manubriato a forte spessore con iscrizione “figulos bonos” (quale plauso ai “bravi fornaciai”) vergata a fresco prima della cottura. Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

 

I mattoni del vasto territorio romanizzato della Cisalpina, al pari di quanto avviene nelle città della Magna Grecia, anticipano di almeno un secolo quelli di Roma e dell’ambito geografico di più specifica influenza assumendo, inoltre, caratteristiche morfologiche e dimensionali del tutto peculiari, sia pur sempre correlate alla dimensione base del sistema di misurazione romano (il piede, il pes).
L’uso del mattone da muratura cotto in fornace si diffonde nella estesa e pianeggiante regione della Cisalpina già nel II sec. a. C. almeno cento anni prima rispetto a Roma e al Lazio, dove pur la tradizione della cottura di argille a fini della produzione di artefatti da costruzione era conosciuta, ma rimasta limitata a tegole ed embrici di copertura o ad elementi impiegati nelle suspensurae dei bagni privati e delle terme.
Se i mattoni prodotti a partire dall’età imperiale nel territorio di Roma saranno contraddistinti da una configurazione morfologica quadrata e da uno spessore ridotto (che non supererà in genere i 4-4,5 cm) è da evidenziare subito come i caratteristici mattoni cotti della Cisalpina assumeranno forma prevalentemente parallelepipeda e spessori sempre maggiori di 5 cm, con valori ricorrenti compresi fra i 6 e gli 8 cm, raggiungendo in casi particolari addirittura i 14 cm.
Il mattone maggiormente prodotto e utilizzato nella Cisalpina romanizzata è il cosiddetto sesquipedale rettangolo; le sue dimensioni corrispondono ad un piede e mezzo per un piede mentre lo spessore è di un quarto di piede; tali misure romane, tradotte nel sistema metrico decimale, corrispondono a cm 29,6x44,4x7,4.

 


Laterizi speciali per la formazione di suspensurae e di colonne. Museo archeologico nazionale di Sarsina. (Ph. A. Acocella)

 

«Ovviamente – come precisa Franco Bergonzoni – nessun mattone risulta perfettamente calibrato rispetto alla misura campione, sia a causa di imperfezioni e ineguaglianze nelle dimensioni delle forme, sia per il diverso ritiro delle varie qualità di argille utilizzate».1
Il formato e il peso dei mattoni sesquipedali suggeriscono ai produttori, frequentemente, di dotarli – su una delle facce maggiori – di un incavo a “mezzaluna” (praticato tramite un deciso colpo di stecca sul pane di argilla ancora fresco) che funziona, appena effettuata la cottura, da comoda impugnatura nelle operazione di fornace e di cantiere.
La produzione laterizia della Cisalpina, di tipo artigianale e locale, risponde sempre – come di norma avviene nell’antico – alle richieste specifiche dei vari programmi costruttivi; non è infrequente, conseguentemente, il rinvenimento di mattoni – oltre che nei formati standard quali sesquipedali o mezzi sesquipedali – anche in dimensioni molto diverse.

 


Laterizi speciali per la costruzione delle colonne del porticato soprastante il criptoportico della Villa di Catullo (I sec. a. C) a Sirmione. Antiquarium della Villa. (Ph. A. Acocella)

 

Vi sono, poi, laterizi per usi particolari con risalti a tronco di cono per la creazione di pareti areate contro l’umidità: i piccoli mattoni (quadrati, circolari, semicircolari) impiegati nella costruzione di suspensurae per il riscaldamento degli ambienti, i tubuli cavi rettangolari per il convogliamento di aria calda lungo le pareti, i tubuli (fusiformi o cilindrici) per volte da forno, le tessere pavimentali, le terrecotte architettoniche da rivestimento decorativo; su alcune di queste categorie di artefatti fittili torneremo più avanti.
Le ricerche archeologiche della Cisalpina restituiscono un orizzonte cronologico di partenza inerentemente all’impiego dei grandi mattoni cotti che si attesta lungo il II sec. a. C., a cui fa seguito una diffusione ampia (e maggiormente unificata nei formati) nel corso del I sec. a. C.
L’indisponibiltà di pietre e la ricchezza in loco di argille, acqua e legname capace di alimentare la fiamma dei forni spinge, realisticamente, le popolazioni della pianura padana alla evoluzione e al perfezionamento produttivo di mattoni cotti, materiali solidi e duraturi per la costruzione, innanzitutto, di fondazioni e muri basamentali dell’architettura in un contesto geologico particolare qual è quello della pianura padana.
Un ruolo significativo nel perfezionamento della tecnica di cottura nelle figline e nella stessa diffusione dei mattoni in Cispalpina è assegnato da Maurizio Biordi – nel suo documentato studio “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” – ad Ariminum, l’odierna città di Rimini.2

 


Catasta di mattoni sesquipedali a forte spessore. Museo archeologico nazionale di Sarsina. (Ph. A. Acocella)

 

Ariminum, com’è noto, è colonia di diritto latino fondata dai romani nel 268 a. C. con l’insediamento di popolazioni provenienti dalle regioni centro meridionali (Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti) tutte esperte della tecnica fittile legata alla coroplastica e alla ceramica. Inoltre Ariminum, tramite i contatti con Arretium (Arezzo) che si svolgono lungo la direttrice del passo di Viamaggio, ha sicuramente modo di recepire la tradizione etrusca legata all’uso del mattone di argilla cruda (il famoso lidio) e, soprattutto, del mattone semicotto (ovvero soggetto ad una cottura debole che investe solo gli strati superficiali) attestata, sia materialmente che nella letteratura antica, già nelle mura urbiche di Arezzo della fine del III sec. a. C.
L’apporto evolutivo della Cisalpina è legato al perfezionamento del processo di cottura in profondità dei grossi pani di argilla in vista di ottenere un elemento da costruzione ancora più solido e duraturo: un mattone a grosso spessore completamente cotto.
Lo sviluppo dell’industria laterizia è attestata ad Ariminum dal rinvenimento di numerose fornaci, insieme a mattoni da muratura (frequentemente dotati di marchio di fabbrica), a partire dal II sec. a. C. Si deve, molto probabilmente, alla stessa città di Ariminum la diffusione del mattone cotto sia verso entroterra padano lungo la via Emilia, sia verso l’area costiera della Romagna, sia ancora verso il territorio del nord est attraverso la via Popilia. Ad Aquileia e Ravenna sono state rinvenute e studiate le prime attestazioni d’uso del mattone cotto in opere murarie risalenti alla fine del II sec. a. C.

 



Piscina delle terme della Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione realizzata con grandi mattoni sesquipedali e planimetria generale della residenza nobiliare affacciata scenograficamente sul lago di Garda. (Ph. A. Acocella)

 

A Ravenna, in particolare, grossi mattoni – emersi nel 1980 dallo scavo della Banca Popolare, nelle misure di 44x44x5 cm, con sigle e lettere impresse a fresco – alimentano, nei pressi del Battistero Neoniano, la costruzione di un tratto delle mura urbiche databili al II sec. a. C.; sempre al sistema delle mura della città appartiene il reperto – esplorato nel 1913 – dell’Abside della Basilica Ursiniana con mattoni cotti delle dimensioni di 52x52x5 cm; altre strutture murarie appartengono alla torre Sallustra con impiego di mattoni di 50x30x5,5-6 cm.
Ulteriori e recenti testimonianze archeologiche di mattoni cotti in Cisalpina, sempre risalenti al II sec. a. C., riguardano Piacenza (mura e chiesa di S. Margherita) con mattoni di 40x30 cm e Reggio Emilia (Credito Emiliano) con dimensioni di 45x30 cm.
Visti nel loro insieme i rinvenimenti del II sec. a C. citati ci restituiscono un repertorio variegato, ma già definito, di mattoni ben cotti riguardabili come prototipi di una prima e apprezzabile stagione applicativa che permetterà di pervenire, nel secolo successivo, alla stabilizzazione dei laterizi da muratura nella versione nota del sesquipedale rettangolo; formato confrontabile – quello del sesquipedale cotto – con il modulo dei mattoni crudi (e semicotti) della civiltà etrusca al punto da far protendere gli studiosi verso l’ipotesi del suo probabile trasferimento dall’Etruria verso i territori della pianura padana che ne evolvono i procedimenti di cottura.

 

 


Costruzioni del lato nord e criptoportico della Villa di Catullo (I sec. a. C.) a Sirmione.
(Ph. A. Acocella)

 

«Segue poi – secondo l’interpretazione di Maurizio Biordi – un’ampia diffusione del mattone cotto nel I secolo a. C. come dimostrano il mattone sesquipedale del Museo Storico di Cesena, con iscrizione a fresco “L(uci) Numisi/ C(ai) Comici / figulos / bonos”, datato da Giancarlo Susini fra il II-I secolo a. C.; le “Tegulae agri placentini” ovvero un gruppo di laterizi della Cisalpina occidentale (Placentia, Parma e Vellaia) con i nomi dei consoli degli anni compresi tra l’80 e il 30 a. C. e, infine, l’opera letteraria di Varrone il “De Rustica” (composto intorno al 37 a. C.) in cui al capitolo 14 menziona i “lateris coctiles”, ovvero i mattoni cotti in fornace, quale materiale di costruzione preferenziale per la costruzione della recinzione delle fattorie dell’Ager Gallicus».3 La produzione laterizia della Cisalpina, che attraverso numerose testimonianze anticipa e si differenzia da quella di Roma, non si limita unicamente ai grandi mattoni cotti come già accennato.
Oltre al settore dei materiali ceramici, in cui si inscrivono anche i contenitori fittili da trasporto, la categoria dei laterizi da costruzione trova declinazione ampia ed originale di sviluppo.

 

 


Terrecotte architettoniche decorate a spina pesce (II-I sec. a. C.). Museo della città a Rimini. (Ph. A. Acocella)

 

Ai fini del rivestimento protettivo e decorativo ad un tempo è indirizzata la produzione di terrecotte architettoniche (sime, lastre campana, antepagmenta, antefisse…) la cui datazione dei vari ritrovamenti (a Rimini, a Cattolica, a Santarcangelo, a San Lorenzo Strada, a Bologna ecc.) risale al II sec. a C.; su di esse, comunque, la ricerca archeologica sta ancora studiando le testimonianze per elaborare un quadro e una seriazione cronologica attendibile a fronte di reperti materiali frammentari, disseminati in diversi contesti.
Sempre alla categoria dei prodotti da costruzione appartengono altri artefatti, sia di grandi che di piccole dimensioni, rinvenuti nei siti archeologici di epoca romana.

Nei grandi laterizi rientrano i manufatti da copertura come tegole piane e coppi, confrontabili quanto ad impegno produttivo ai grossi mattoni (su cui ci siamo già ampiamente soffermati) e gli stessi elementi speciali che da questi ultimi, in qualche modo, ne derivano il forte spessore. È il caso, per fare qualche esempio, dei laterizi in forma di settori di cerchio per la realizzazione di colonne come sono visibili nella Villa di Catullo a Sirmione sul lago di Garda, oppure dei mattoni per la costruzione delle “camicie” dei pozzi così come documentato sin dal I sec. a. C.

 


Tubuli da volta in forma di piccole olle rinvenute a Riccione in località Piada d’Oro. Da STOPPIONI (1993). (Ph. A. Acocella)

 

Esemplificativi, in tal senso, sono i laterizi esposti al Museo archeologico di Cesena; si tratta di elementi utili a consolidare, al perimetro dello scavo in profondità, pozzi cilindrici che si presentano nella configurazione di mattoni puteali curvilinei (pozzo di S. Giovanni in Campito) o di grandi sesquipedali sagomati in curva su una delle facce maggiori e affiancati lungo le coste a formare la camicia cilindrica laterizia per la raccolta e la tesaurizzazione dell’acqua (pozzo presso la Fornace Marzocchi).
Nella categoria degli artefatti da costruzione rientrano, ancora, particolari produzioni laterizie come quella dei tubuli fittili per la realizzazione delle volte dei forni; in Cisalpina ne sono emersi, negli ultimi decenni, di due tipi appartenenti a cronologie storiche diverse.
Il primo, più antico – con rinvenimenti in crolli di fornaci romane a Riccione (località Piada d’Oro e S. Ermete) e a Santarcangelo – ha forma di una oletta aperta alla base con bordo aggettante, corpo centrale fusiforme e terminazione a punta chiusa. Tale morfologia consente a questi particolarissimi prodotti fittili di impilarsi parzialmente l’uno nell’altro definendo degli archi e, consequenzialmente nello spazio, delle volte a camera d’aria capaci di non dissipare il calore prodotto dalla combustione del legname nei forni.

 


Tessere laterizie pavimentali di forma parallelepipeda e di esagonette semplici o con inserti di tessere litiche. Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

 

La tipologia più tarda di tubuli – attestata con evidenza da ritrovamenti in fornaci romane sempre nel territorio di Santarcangelo (lottizzazione di Spina) – è, invece, di forma diversa e di dimensioni inferiori. La morfologia è cilindrica (simile ad altri esemplari rinvenuti in Romagna) con una estremità completamente aperta e l’opposta caratterizzata da una terminazione conica (forata in punta).
Fra i laterizi da costruzione di piccole dimensioni, di specifica ed originale produzione delle fornaci della Cispadana, è possibile annoverare tutta la famiglia di tessere (o “micro mattonelle”) pavimentali dalle forme geometriche più varie: esagonali, rombiche, lunate, a pelta (intero o dimezzato), rettangolari il cui impiego è noto nelle classiche tessiture ad opus spicatum tanto diffuse anche a Roma.
Rilevante per tutti i tipi di tessere è il notevole spessore, confrontabile con quello dei mattoni sesquipedali, che le rende particolarmente solide e resistenti.
L’uso di argille mineralogicamente diverse consente di ottenere tessere di colore differenziato (dal giallo chiaro al rosato, al rosso vivo) impiegate in composizioni pavimentali a contrasto cromatico come quelle emerse – per fare solo qualche esempio – a Bologna negli scavi del Palazzo Comunale (Borsa, 1920) o in via Bernini (1959), oggi esposte nel Museo archeologico della città.

 




Disegni e ricomposizioni di elementi speciali di laterizio per “camicie” di pozzi (ex fornace Marzocchi e località di San Giovanni in Compito). Museo archeologico di Cesena. (Ph. A. Acocella)

 

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Note

 

* Il presente contributo è contenuto nel volume Alfonso Acocella, Stile laterizio II. I laterizi cotti fra Cisalpina e Roma, Media MD, 2013, pp. 76.

 

1 Franco Bergonzoni, “Per un catalogo dei laterizi bolognesi: l’età romana”, Inarcos, n. 314, 1972, (senza numerazione di pagine), pp. 5.
2 Maurizio Biordi, “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” pp. 125-144 in Maria Luisa Stoppioni (a cura di), Con la terra e con il fuoco, Rimini, Guaraldi Editore, 1993, pp. 181.
3 Maurizio Biordi, “I bolli laterizi romani nell’agro ariminense” p. 131 in Maria Luisa Stoppioni (a cura di), Con la terra e con il fuoco, Rimini, Guaraldi Editore, 1993, pp. 181.


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