Francisco Mangado ti accoglie in un modo che ti fa sentire subito a casa. Anche se l'ospite è lui, anche se è il suo il nome sui poster che annunciano la seconda Lectio internazionale del ventennale di facoltà (XfafX). Anche se le sue architetture — oltre al mestiere di docente che lo ha portato ad insegnare sia ad Harvard sia a Yale — sono pubblicate sulle maggiori riviste internazionali, lui resta un uomo di una disponibilità squisita. Osserva e commenta le pitture murali della Sala della presidenza di Palazzo Tassoni mentre esibisce con orgoglio l’ultima applicazione per Ipad, realizzata con il supporto della Fundación Arquitectura y Sociedad da lui creata nel 2008: un percorso interattivo all’interno della sua ultima mostra antologica a Madrid.
Francisco Mangado non è un ospite che si presenta ad un evento con superficialità: ama prepararsi per tempo e sapere chi ha intorno, cosa sta facendo e perché. Ama parlare della Fundación che in Spagna sta permettendo a professionisti provenienti da diverse discipline di trovare finalmente un punto d’incontro interdisciplinare che aiuti l’evoluzione dell’architettura posta a dialogare e a confrontarsi con i difficili temi urbani del nostro presente. Ma a Francisco Mangado piace anche parlare di cucina, di tradizioni, di università e di libri con l’energia positiva che lo contraddistingue, tutto con la stessa disponibilità all’ascolto e allo scambio.
Lo s’intuisce subito ascoltando l’intervista che il professor Gabriele Lelli ha strutturato intorno a quattro temi fondamentali: contesto, tecnologia, materia, società. Quattro parole chiave che perfettamente sintetizzano il lavoro di Mangado e di cui l’architetto parla in modo preciso. Ancora prima dell’inizio della sua Lectio ci anticipa in questo intenso dialogo con Lelli alcuni pensieri sulla disciplina. La sua visione di “contesto culturale” ad esempio, uno degli elementi cardine dei progetti che fino ad oggi ha realizzato; in un contesto che “non è solo fisico e non si ottiene semplicemente copiando mimeticamente il paesaggio perché la continuità, come forma di comprensione delle necessità dell’uomo nella storia, richiede anche una rottura affinché il fare non sia solo una imitazione. Continuità non significa imitazione perché anche la storia non e un meccanismo d'imitazione ma cambia continuamente”.
Francisco Mangado è un uomo che ama esprimersi con immagini semplici e poetiche, come quando Gabriele Lelli gli chiede del suo rapporto con la materia: “Come la usi tra continuità e sperimentazione?”. Su questo argomento ci offre alcune preziose considerazioni dicendo che “i materiali in architettura sono un grande archivio di idee e di possibilità. Usare i materiali significa capire come materializzare il progetto. Non solo nuovi materiali ma anche materiali tradizionali hanno tutti una cosa in comune: sono strade che permettono all’architetto di trovare soluzioni per il suo lavoro. Ricordiamoci sempre che non esistono cattivi materiali: ci sono solo cattivi architetti”.
E questi sono i temi centrali anche nel suo magistero d’insegnamento che oggi si concentra nella sua terra natia, a Pamplona, e nell’elegante città di Losanna, dove insegna all’École Polytechnique Fédérale, uno degli istituti più prestigiosi d’Europa. Avvicinare la società civile all'architettura è per Mangado un obiettivo fondamentale da perseguire ma anche da trasmettere agli studenti perché “dopo trent'anni di docenza ho capito che l'aspetto più importante del nostro lavoro è servire la società e questo infatti è anche lo scopo della Fundaciòn di cui solo cinque membri sono architetti mentre gli altri vengono dal mondo della politica, dalla sociologia, dall'arte. Tutti devono capire che cosa significa architettura e il problema della comunicazione, della comprensione deve partire proprio dagli architetti. Sono loro, siamo noi, a doverci spiegare meglio a comunicare il senso del nostro lavoro perché tutti, ma proprio tutti possono capirlo”.
Parole, queste, riprese anche in apertura di conferenza dopo che Gabriele Lelli, chiamato a introdurlo, ricorda come “la polifonia di elementi compositivi che Mangado ha messo in campo fin dai primi progetti è specchio di una personalità capace di trarre ispirazione da ogni situazione del reale come dimostrano alcune sue note biografiche: nato a Pamplona ha saputo trarre profitto e arricchirsi visivamente dalla provincia spagnola”. La provincia che per molti è un limite, ricorda Lelli, per Mangado è diventata un'opportunità, una via di comprensione del reale come si evince osservando i suoi più noti edifici spagnoli ma anche leggendo la conformazione degli spazi pubblici da lui progettati. Lo stesso processo si coglie nelle grandi infrastrutture urbane come lo stadio di Palencia o nel padiglione di Saragozza in cui la materia non è prodotto preconfezionato, chiuso e univoco, ma occasione di scoperta, d'innamoramento.
La sua Lectio è dedicata agli studenti “perché fare architettura è strettamente connesso con il mestiere d'insegnante. La pratica architettura non è facile come ce la presentano riviste e media; ‘fare architettura con la mano sinistra’ significa capire le difficoltà di questo mestiere. Le nuove generazioni devono rendersi conto di un pericolo insito nella disciplina perché siamo noi architetti ad aver confuso l'architettura con l'oggetto architettonico dimenticando la funzione sociale del nostro mestiere”. E per chiarire meglio quest’affermazione descrive cinque “edifici simbolo” del suo percorso di ricerca.
Il Centro per esposizioni di Àvila situato in un nucleo storico importante e compatto, caratterizzato dalla presenza delle mura ha portato Mangado a porsi la domanda: “come relazionarmi alla complessità dello spazio così altamente compatto? Ho dunque deciso di manipolare la topografia, di creare un nuovo brano di paesaggio”. Esperienza simile nel Museo Archeologico di Alava Vitoria che presentava dal punto di vista politico un caso molto delicato visto che “in questa zona ci sono i terroristi dell'ETA, immigrati dell'Africa e l’amministrazione pubblica mi ha proposto di costruire la più importante istituzione che sia in grado fisicamente e simbolicamente di testimoniare eguaglianza tra i diversi gruppi sociali o, per dirla più chiaramente, la non superiorità basca. Allora mi sono chiesto: che cos'è un museo archeologico? Per me è qualcosa di intimo che mostra piccoli pezzi che svelano e spiegano centinaia di migliaia di anni di storia. Ed è per questo che ho pensato di ricostruire i pezzi. Tutto è fatto di bronzo e legno e le facciate sono molto grosse perché questo è un luogo del tempo”.
Del padiglione spagnolo all’Expo di Saragozza ci rivela che “all'inizio non volevo accettare l’incarico perché pensavo fosse uno spreco di tempo e di soldi fare cose effimere, strutture che poi non restano. Poi c’era un altro problema perché mi si chiedeva di pensare all'acqua e questo dal mio punto di vista è un tema estremamente rischioso in un paese come la Spagna! D’altro canto m'infastidiva partecipare alla creazione di uno “stile sostenibile”, una sorta di "Environmental Style" ma alla fine l'idea di dimostrare come gli spagnoli con poco riescono a negoziare qualunque situazione mi tentò. Così è nata una foresta fantastica. La mostra doveva svolgersi nelle teche in mezzo al bosco. Una foresta di alberi, metallo e copertura di terracotta”.
Dell’Auditorium a Teulada ci rivela che è un progetto iniziato molti anni or sono in cui l’elemento più importante riguarda la condizione orografica. In questo edificio infatti viene perseguita una relazione non fisica ma concettuale tra costruito e territorio. La luce del mediterraneo è prepotentemente forte, preponderante, tanto che Mangado ha dovuto comprendere come garantire anche in estate l’utilizzo dell'edificio costruito in cemento. Un luogo compatto, denso e metafisico, che rivela magistralmente il riuscito rapporto tra tecnologia e tradizione.Mangado chiude la carrellata di progetti con un’opera a lui cara affettivamente – la figlia è campionessa di equitazione – che dimostra la sua grande versatilità d’architetto: il Centro ippico di Ultzama dal disegno rigoroso e semplicissimo che definisce, come il gesto simbolico di un bambino, la relazione culturale e sentimentale con questo territorio, con la sua terra. Uno spazio che evoca la lezione dei maestri del modernismo europeo e ricorda come anche gli spazi più complessi possano essere raccontati visivamente attraverso un’assoluta semplicità. Perché per Francisco Mangado anche la mano sinistra sa disegnare opere assolutamente poetiche.
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