Enzo Mari, Elementi espositivi tubolari in cartone canettato bianco, 1966
L’oggetto di carta o cartone è stato storicamente associato a un’idea di merce povera e transitoria; eccezion fatta per i supporti scrittori o pittorici destinati a durare, i materiali a base di fibre cellulosiche hanno pervaso la quotidianità dell’uomo ma quasi sempre nella prospettiva del consumo immediato e, di frequente, in associazione diretta a un’idea di sfruttamento dannoso dell’ambiente e delle materie prime naturali.
Oggi la percezione dei prodotti cellulosici è mutata.
In generale si è sviluppato da tempo un profondo ripensamento del concetto di “usa e getta”: le nozioni di economia, assenza di manutenzione, indifferenza al senso di possesso, di cui gli articoli di facile e rapido consumo sono paradigmatici, sono sempre più spesso percepite come valori; inoltre alcune pregiudiziali negative dell’usa e getta, connesse all’assenza di qualità, al consumismo e alla mancata sostenibilità, sono state ribaltate da una nuova consapevolezza ambientale e da nuove pratiche di produzione e utilizzo1.
In particolare, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, l’industria cartaria ha precocemente accettato la sfida della sostenibilità dei propri prodotti nell’intero ciclo di vita, ha progressivamente aumentato l’utilizzo del macero e ha certificato filiere e materiali ottenendo marchi Ecolabel. Oggi, per stare ai soli dati italiani, il settore cartario utilizza una quantità di fibre secondarie da riciclo che tocca quasi il 50% e che supera abbondantemente quella delle fibre vergini, comunque provenienti da foreste coltivate in base a protocolli altamente sostenibili.
Secondo il 16° Rapporto sulla raccolta, il riciclo e il recupero di carta e cartone pubblicato dal COMIECO, nel 2010 ogni italiano ha raccolto in modo differenziato oltre 52 kg di carta e cartone, mentre il saldo netto dei benefici per la comunità nazionale, derivante dall’aver attuato dal 1999 a oggi la raccolta differenziata e il riciclo dei prodotti cellulosici, ammonta a 3,5 miliardi di euro. Si tratta di dati consistenti, emblematici delle positive ricadute ambientali, economiche e sociali derivate da un diffuso e consistente ripensamento dei processi e dei prodotti cartari2.
Tale cambiamento è partito negli ultimi lustri dalla gamma dei materiali, aggiornata ed ampliata con prodotti innovativi in larga parte ottenuti dal recupero; esso si è poi sviluppato attraverso la creatività di designer, artisti e artigiani grazie ai quali la cellulosa rinasce ciclicamente, alimentando un universo produttivo sostenibile, leggero, amichevole e declinato in maniera articolata nei settori dell’arredamento, del packaging e del corporate design, del design for children, del fashion design, dell’allestimento e dell’architettura.
Di questo fenomeno Enzo Mari è stato un precorritore assoluto, poiché già negli anni ’60 del secolo scorso ha conferito ai materiali cartari il valore aggiunto di un design colto e innovativo. Impiegando il cartone, Mari crea allestimenti, imballaggi e strumento ludici e didattici per Danese: struttura produttiva che inizia la sua attività nel 1957 e si configura come una realtà agile e versatile, dedicata alla realizzazione di oggetti d’uso di alta qualità. In tale contesto il designer può sperimentare le potenzialità di una filiera in cui sono compresenti lavorazioni artigianali e processi industriali, con lo scopo di rispondere ad una vocazione produttiva spiccatamente innovativa, che sperimenta nuove tipologie oggettuali basate di frequente sull’ambiguità formale e funzionale, sull’ironia, sulla comunicazione di significati inediti e di una peculiare interpretazione del mondo.
I sistemi espositivi in cartone di Enzo Mari, studiati per le mostre e i negozi Danese, presentano un’elevata connotazione architettonica, basata sulla composizione di moduli dalle geometrie primarie, a creare forme complesse per la divisione dello spazio o il supporto all’esposizione dei prodotti; gli elementi di base sono sempre in cartone canettato con alcuni inserimenti di plexiglass o laminati plastici; le configurazioni di montaggio sono libere e variate e avvengono per accostamento o sovrapposizione, secondo schemi lineari, retti, circolari o sinuosi; i sistemi di giunzione utilizzano diffusamente la graffettatura metallica.
Il designer realizza un primo allestimento nel 1964, si tratta di una “struttura cellulare” con moduli scatolari in cartone di 50x50x30 cm. Tra il 1965 e il 1969 elabora un sistema più complesso e versatile, basato su profili ripiegati ad U che danno vita a forme “a sedia” o trapezoidali di 18x70x100 cm; questi ultimi elementi sono impiegati in varie composizioni negli spazi commerciali Danese e per le mostre degli oggetti del marchio allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1967) e al Musée des Arts Décoratifs di Parigi (1970).
Del 1966 è un allestimento con elementi tubolari in cartone di diversa altezza a base quadrata e del 1969 sono le scaffalature con montanti in cartone e ripiani in plastica trasparente che per lungo tempo andranno a costituire il sistema si allestimento “stabile” del negozio Danese.
La stessa concezione che Danese esprime nella realizzazione dei suoi allestimenti è ribadita dall’azienda nell’impostazione del packaging, dove il marchio disegnato da Franco Meneguzzo è coordinato con il progetto dell’imballo e della grafica firmati di volta in volta dallo stesso Mari o da Bruno Munari.
Scatole in cartoncino e in cartone dai colori naturali e dai volumi elementari, essenziali grafiche serigrafate, sistemi semplici di montaggio e di chiusura sono i caratteri di un packaging design che mira ad una sostanziale economia di materiale e di operazioni per la realizzazione, prendendo le distanze da una certa idea di confezione “ad effetto” che inizia ad imporsi proprio tra gli anni ’60 e gli anni ’70; per Stefano Casciani tutto ciò è ancora una volta in linea con le esigenze di un’azienda per cui «la comunicazione principale è affidata al valore del prodotto, alla sua capacità di rispondere alle necessità dell’utilizzatore, allargate in senso “antropologico”, attraverso una forma e una funzione innovative»3.
Enzo Mari, “Il posto dei giochi”, 1961-67. Produzione Danese
Nel corso degli anni ‘60, sempre nel contesto della produzione Danese, Mari traduce in gioco le ricerche che sta conducendo sull’uso del cartone negli allestimenti. Il frutto di tale lavoro - che si esplica su più fronti di innovazione tipologica, visiva e grafica - è Il posto dei giochi: un foglio di cartone rigido, piegabile a fisarmonica, adatto per essere impiegato come attrezzatura multifunzionale da bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Il paravento, leggero e resistente, è uno strumento per giocare, con cui costruire recinti chiusi o aperti, labirinti o scenografie; la parete è caratterizzata da fustellature sui bordi e da trafori di varie forme e dimensioni, inoltre su di un solo lato è “decorata” con serigrafie geometriche. Intagli e disegni arricchiscono il gioco di elementi simbolici aperti a molteplici interpretazioni da parte dei piccoli utilizzatori, conferendo viepiù allo strumento il carattere di uno spazio interattivo, definito da Renato Pedio come un vero e proprio “habitat a misura di bambino”, di cui Gillo Dorfles ha sottolineato la “componente magico-rituale”4.
Con Il posto dei giochi Enzo Mari mette a punto un capostipite del paper design per bambini, una materializzazione essenziale delle funzioni esplorative, creative e di supporto didattico del gioco infantile…. ma il palinsesto di cartone è molto di più. Per i suoi caratteri visuali ed evocativi esso si configura infatti come un’opera aperta, proiettata oltre il regno degli oggetti d’uso. È ancora Casciani ad affermare a giusta ragione che Il posto dei giochi rappresenta «un fenomeno di confine nel tempo e nello spazio della produzione Danese, in bilico tra l’oggetto d’arte e il gioco per bambini. Forse non casualmente dal 1970, quando entra nella collezione del Kunstgewerbemuseum di Zurigo, questo prodotto ottiene una lunga serie di riconoscimenti in quelle istituzioni ”artistiche” per eccellenza che sono i musei»5.
di Davide Turrini
Note
1 Si veda in proposito Renato De Fusco, Design 2029. Ipotesi per il prossimo futuro, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 65-71.
2 Sull’evoluzione della raccolta differenziata dei prodotti cellulosici nell’Italia postindustriale, sui suoi aspetti ambientali, economici e socio-culturali si rimanda a Carlo Montalbetti, Ercole Sori (a cura di), Quel che resta di un bene. Breve storia della raccolta differenziata e del riciclaggio di carta e cartone, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 192 (con consistente bibliografia).
3 Stefano Casciani, Arte industriale: gioco, oggetto, pensiero. Danese e la sua produzione, Milano, Arcadia, 1988, p. 57. Il volume è imprescindibile per la documentazione completa e il contributo critico sui progetti in cartone di Enzo Mari.
4 Sui progetti in cartone di Mari si veda anche Renato Pedio, Enzo Mari designer, Bari, Dedalo, 1980, pp. 143 (in particolare le figg. 96-99/109-113 con relative didascalie). Sui giochi si rimanda inoltre a Emilio Battisti, Gillo Dorfles, Mariella Loriga, I giochi per bambini di Enzo Mari, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1969, pp. 91.
5 Stefano Casciani, op. cit., p. 125.