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Convergenze materiche.
Atelier didattico di sperimentazione con Chris Gilmour

03 Luglio 2012

Le opere d'arte finiscono nei musei, nelle gallerie, nelle esposizioni. Gli oggetti d'uso comune che ci circondano, tutti i prodotti industriali dotati di forma e funzione, dagli stabilimenti dove sono realizzati e stoccati raggiungono vetrine, scaffali di stores, grandi magazzini, negozi, mercati, poi, dopo aver svolto la loro missione funzionale, li ritroviamo nelle soffitte, nei mercatini di scambio, molto spesso tra i rifiuti o – in caso positivo – decostruiti nelle loro componenti, sono direzionati al riciclaggio o allo smaltimento.
Qualcuno di essi viene salvato da questo flusso continuo e diviene modello, esempio di buona realizzazione, quindi oggetto di conservazione da parte dei musei di arti decorative e di cultura materiale, viene osservato quale esempio d'arte o di design.
La sperimentazione didattica della quale si presenta qui una sintesi, riguarda l'universo degli oggetti comuni presenti nell'orizzonte domestico – in specifico oggetti “contenitori” realizzati, originariamente, in plastica – per farne oggetto di una metamorfosi che in un passaggio solo li trasforma in oggetti d'osservazione, di riflessione, se non “artistica” quantomeno “concettuale”.

Né arte, né artigianato, talora oggetti di design spontaneo, talora definiti solo forzatamente dal mercato quali oggetti di “design”. Oggetti che ci parlano della civiltà contemporanea, del silenzio degli artigiani, del retaggio delle industrie, della distanza tra l'arte e la vita quotidiana.
Agli studenti del secondo anno del Corso di laurea in Disegno industriale di Ferrara, nell'ambito del corso di Tecnologie di Prodotto II, curato dal docente Raffaello Galiotto, abbiamo chiesto di muoversi proprio in questo panorama e individuare, per coppie di studenti, ciascuna una “cosa” del vivere quotidiano in materiale plastico che per qualche ragione – o talora senza ragione – li attraesse dal punto di vista formale, funzionale, produttivo.
L'esperienza si è svolta poi innestando un'inconsueta ed ibrida relazione che ha visto all'origine la plastica, convertirsi nel materiale forse ad essa più distante, il cartone; quest'ultimo infine, modellato “alla maniera di”, esperire una nuova dimensione, esprimere un diverso linguaggio, inaspettato.
Alla guida della performance didattica due figure rappresentanti i due universi materici. Per primo Raffaello Galiotto, designer di professione, ha innescato il processo di ricerca sull'oggetto d'uso quotidiano, di studio e analisi della forma, d'individuazione del processo di realizzazione originario, memore della sua personale esperienza in materia.

 

Quindi il Corso ha visto l'ingresso di un nuovo protagonista invitato ad apportare il suo personale e originale contributo: l'artista inglese, ormai naturalizzato italiano, Chris Gilmour introdotto al team di ricerca di MaterialDesign grazie a Comieco, Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi a base Cellulosica, con la finalità di innestare nuove sperimentazioni e filoni di ricerca sul materiale di interesse, il cartone.
Gilmour è noto nel panorama dell'arte contemporanea per il suo perseverante e severo lavoro di rappresentazione e riproduzione di oggetti della realtà, di qualsiasi scala e valore, rigorosamente e con estremo realismo modellati in cartone a grandezza naturale. Solo cartone, rigorosamente riciclato, e colla.
La poetica dell'iperrealismo di Gilmour cerca l'illusione ma non dissimula la realtà; il materiale cartone è in superficie nudo e crudo nella sua provenienza di rifiuto urbano, pur creando una copia conforme all'originale e conferendo una nuova dimensione all'opera. Opere dense di particolari non approssimativi; quanto più risultano conformi all'originale tanto più rivelano attraverso l'intrinseca rigidità del cartone, il lato lontano dall'utile, “inutile”, del modello reale originario.
La perfezione del dettaglio dell'oggetto ricostruito, raddoppiato nella materia “anomala” che è il cartone, sorprende l'osservatore per l'asettica spersonalizzazione lontana dalla vanità gratificante di tecniche di riproduzione quali il trompe l'oeil.
Nell'interazione con il pubblico, per la risonanza formale e la dissonanza cromatica, le opere di Gilmour creano un corto circuito tra la percezione della funzionalità e la sua reale impossibilità all'utilizzo.

In questa esperienza didattica non è Chris Gilmour a scegliere l'oggetto da riprodurre ma sono i ragazzi del corso a individuare il proprio tema e Chris a guidarli nella tecnica espressiva di riproduzione.
Per prima quindi la “plastica”, il materiale della modernità per eccellenza, termine in linguaggio comune per esprimere tutte le declinazioni di polimeri, dalle qualità proteiformi, dalle caratteristiche camaleontiche. Flessibile, modellabile in ogni forma, colorata, la plastica che si progetta con gli strumenti digitali e si modella e crea solo industrialmente
Quindi ha seguito l'esperienza sul cartone: rigido, monocromatico, stratificato, opaco, dalle apparenti limitate possibilità formali per le sue intrinseche caratteristiche. Il cartone si presta al lavoro manuale, alla sperimentazione pratica e diviene materiale ideale per lo studio di prototipi, per la realizzazione di bozzetti di studio, adattandosi e svelando potenzialità intentate.
L'esercizio richiesto agli studenti consterà dunque in questo processo di conoscenza attraverso la duplicazione dell'oggetto prescelto e trasformazione materiale.
 

  • stampo per cubetti di ghiaccio, di Roberta Nardelli
  • spremiagrumi, di Andrea Gherardini e Giulia Nascimbeni
  • innaffiatoio, di Alexandra Zanasi e Alberto Zuccoli
  • caraffa filtrante, di Andrea Morelli e Simone Scorrano
  • sessola, di Stefano Banfi, Jacopo Pericati
  • portamollette, di Giulia Bigotto
  • scatola, di Corrado Galiano e Alessio Faustoferri
  • zuccheriera, di Giulia Cavinato e Elisabetta Ferraro
  • Sistema di funzionamento di spruzzino, Nicholas Gamberini, Luca Tarozzi
  • macina pepe, di Maria Vittoria Ferrari e Luisa Ciabatti
  • bicchiere con cannuccia, di Luca Ferrari
  • confezione gelato, di Veronica Piazza e Antonella Paparella
  • portaombrelli, di Francesco Del Fuoco e Stefania Corradetti
  • portasapone, di Michela De Tomi
  • scolapasta, di Clara Panin
  • Vasino, di Giulia Cremonini e Federica Iannicelli
  • portaspaghetti Alessi, di Fabiana Bergami
  • innaffiatoio, di Riccardo Sartori e Marco Montanari

Dal rilievo dal vivo delle forme, con strumenti tradizionali, e dallo studio delle componenti, gli studenti realizzano prima il ridisegno per trasformarle e tradurle in un materiale che richiede tutt'altra tecnologia.
Si è richiesto ai discenti una resa quanto più possibile fedele dei particolari che innesti distanza emotiva dall'oggetto e insegni loro ad esperire il mondo, ad appropriarsene, rifacendolo con le proprie mani. La creazione di “doppi”, innesta l'acquisizione della sufficiente distanza critica dalle cose materiali che può consentirne la comprensione.
Non semplice in realtà l'atto di manipolare la materia; solo alcuni degli elaborati finali sono divenuti fedeli riproduzioni, altri interpretazioni del modello originario mediate dal calore dell'imperfezione. La trasformazione da plastica a cartone ha comportato talora la semplificazione degli oggetti in quanto a decorazione, struttura quando irriproducibile... Ma tutto ciò fa parte del gioco e della sperimentazione stessa.

L'esperienza didattica è riuscita nell'obiettivo di mettere in relazione due mondi materici differenti e lontani e di sperimentare del materiale cartone nuove forme di valorizzazione. L'atelier si è tradotto in un modo per mettere a confronto e ibridare le esperienze professionali di due professionisti, artista e designer, entrambi provenienti da formazione artistica ma le cui strade si sono fortemente differenziate. Chris Gilmour, incline alla riproduzione iperrealista della realtà come strumento di analisi attraverso un severo lavoro sul materiale cartone rivolto alla fruizione del pubblico dell'arte contemporanea; Raffaello Galiotto che professionalmente ha privilegiato la produzione iterata in serie di nuovi prodotti attraverso le tecnologie della contemporaneità.

Per il tempo in cui Chris Gilmour ha diretto il laboratorio, con rigorosa scansione dei limitati tempi a loro disposizione, gli studenti sono stati indotti a limitare la loro capacità inventiva, lo slancio alla visione del nuovo, per concentrare  energia e tecnica sulla imitazione, la conservazione della forma, della realtà tangibile.
L'esercizio si è svolto con oggetti anonimi, di uso quotidiano; molti di tali orpelli, attraverso l'analisi e le mani dei giovani “scultori”, si sono rivelati di non elevata concezione progettuale, privi di valore di design, oggetti poveri di "disegno", dimostrando come l'esercizio di modellazione del cartone fosse utile per acuire il sapere tecnico e produttivo, per approfondire la conoscenza delle possibilità formali, costruttive di entrambi i materiali, cartone e plastica.

L'imitazione, svoltasi non con mezzi meccanici, lontani dall'errore, infallibili, ma con pratica ed esperienza viva, di mani, di tagli e scottature, con mezzi e processi manuali, di “artigiani”, ha innestato un atteggiamento “critico”, di riflessione, verso la perfezione tecnica attribuibile alle macchine.
Allineati sul lungo tavolo del salone al piano terreno di Palazzo Tassoni Estense – dove gli elaborati finali dei ragazzi hanno trovato esposizione nonché momento di incontro con il designer e critico Andrea Branzi – gli elementi in cartone ci raccontano un mondo di oggetti di cui siamo circondati, che il mercato continua a produrre in grande quantità. Il cartone da riciclo, recuperato appositamente da Gilmour tra i rifiuti per questo come per tutti i suoi progetti, torna in essi a rivivere e li veste di un potenziale insospettabile. Lontano dalla gratificazione cromatica possibile attraverso i polimeri, il cartone li presenta come una raccolta di fossili, omogeneizzati ed eguagliati, silenziosi. Non più trasparenza e policromaticità, ma una stratificata opacità, lo sforzo del cartone a farsi curva, piegato da invisibili, sottili tagli e pieghe ad imitare una tecnica attraverso l'arte. Un processo di ribaltamento, di inversione: dal modello al bozzetto, dalla realtà delle forme plastiche all'iper-realtà delle superfici di cartone.

 

Veronica Dal Buono

 

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MD Material Design
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ISSN 2239-6063

edited by
Alfonso Acocella
redazione materialdesign@unife.it

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