Museo di arte romana a Merida (1980-1986) di Raphael Moneo. Visione parziale della muratura armata portante. (ph. A. Acocella)
All’interno dello scenario contemporaneo dell’architettura in laterizio sembrano leggersi tre principali tendenze all’uso del materiale.
La prima, indubbiamente di grande interesse, sia pur limitata a poche personalità e a poche opere, riguarda l’impiego massivo e strutturale del materiale. La costruzione pesante si ricollega al tema della muratura a grosso spessore nelle sue articolate tipologie di muri monostrato e di muri compositi. Tali tipologie sono ritornate a essere vive e attuali grazie ad una serie di contributi forniti da architetti di grande prestigio internazionale.
Per quanto riguarda la riproposizione di murature portanti monostrato sono da segnalare le opere innovative di Michael Hopkins; in particolare Il nuovo teatro di Glyndebourne (1994) nel Sussex e la sede dell’Inland Revenue (1995) a Nottingham. Hopkins si confronta con la concezione del muro portante in laterizio a forte spessore, con tutte le sue implicazioni spaziali, tecniche e di caratterizzazione architettonica, guardando ai valori di permanenza e di tradizione del materiale, ma senza paura di innestare una sperimentazione tecnologica innovativa.
Museo di arte romana a Merida (1980-1986) di Raphael Moneo. Spaccato Assonometrico.
Sul fronte dell’aggiornamento costruttivo e linguistico della muratura a sacco (l’opus testaceum romano) evoluta verso la muratura armata – sulla scia della riabilitazione di tale tecnica ad opera di Louis Khan – sono da citare gli apporti di Raphael Moneo con il capolavoro del Museo di Merida e le numerose architetture di Massimo Carmassi, protagonista indiscusso di tale tecnica costruttiva in chiave di linguaggio asciutto ed estremamente contemporaneo.
La seconda tendenza, maggioritaria sul piano quantitativo, vero serbatoio di accumulo del successo del mattone a vista degli ultimi decenni, è quella che adotta il dispositivo tecnico del “rivestimento a spessore” (nella versione di pareti ad una “testa”), e che insegue la strategia della dissimulazione del muro a mezzo del ricoprimento in laterizio degli strati e delle strutture portanti retrostanti realizzati con altri materiali.
Ricostruzione dell’isolato di San Michele in Borgo a Pisa (1985-2002) di Massimo Carmassi. (ph. A. Acocella)
Si lavora con il mattone a vista assegnandogli una funzione di protezione e caratterizzazione architettonica, declinandone le valenze materico-espressive del rivestimento inteso come simulazione del muro. È un modo d’impiego del mattone che investe tutti i paesi europei e risulta presente nella ricerca progettuale di molti architetti contemporanei come Raphael Moneo, Mario Botta, Hans Kollhoff, Peter Zumthor, Giorgio Grassi, Antonio Monestiroli, Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo Di Francia, Guido Canali, Danilo Guerri, Paolo Zermani.
Le ricerche di figuratività inscrivibili in questa tendenza progettuale sono, in genere, risolte attraverso dispositivi di pareti autoportanti che partono da terra per innalzarsi fino alla conclusione superiore. Rimangono costanti e visibili gli elementi in laterizio (i mattoni), come pure il criterio di montaggio (la posa in umido) e la logica connettiva (stratificazione e concatenamento) riannodandosi alle sequenze dell’architettura del muro con proposte formali che oscillano fra convenzioni e ripetizioni, aggiornamenti e innovazioni di linguaggio.
Ampliamento del cimitero urbano di Arezzo (1993-2003) di Massimo Carmassi. In evidenza l’ordine monumentale della muratura armata a forte spessore. (ph. A. Acocella)
La terza tendenza all’uso del laterizio a vista punta ad innovare sostanzialmente l’impiego del materiale attraverso involucri sottili montati a secco, discostati dai supporti strutturali retrostanti e caratterizzati, sotto il profilo formale, da un linguaggio affatto convenzionale.
Si è di fronte a un modo del tutto nuovo di intendere il rivestimento in cotto, attraverso il quale lo si fa avanzare davanti alla struttura, sorreggendolo staticamente a mezzo di fissaggi metallici, riducendolo in spessore e assegnandogli un ruolo di membrana, di scudo protettivo. Questa concezione punta ad una innovazione di linguaggio figurativo, di tecnica costruttiva, ma anche di prodotto laterizio, non impiegando più i mattoni ma riconfigurando i prodotti d’argilla dell’involucro attraverso un design del tutto inedito e particolare caso per caso.
Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Veduta esterna. (ph. A. Acocella)
Negli ultimi decenni – grazie soprattutto alle realizzazioni pioneristiche e sperimentali di Renzo Piano realizzate in diverse città europee: Genova, Lione, Berlino, Lodi – è stato saggiato il tema degli involucri in cotto con elementi sottili di laterizio, dispositivi meccanici di ancoraggio per il montaggio a secco dei rivestimenti e soluzioni di stratificazione materica interna per assicurare prestazioni termiche alle pareti.
Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Prospettiva interna sui ruderi. (ph. A. Acocella)
Siamo di fronte alla reinterpretazione, attraverso un linguaggio architettonico contemporaneo, del modo d’uso del laterizio cotto fra i più antichi della civiltà costruttiva mediterranea: quello dei rivestimenti fittili dei templi greci e – poi – magnogreci, etruschi, romani identificati in ambito archeologico attraverso la locuzione di terrecotte architettoniche poste a proteggere le incavallature lignee dei templi di cui un esempio attestato a Metaponto abbiamo inscritto in apertura di questo breve saggio.
Sistemi di protezione in laterizio fissati a secco, in genere, mediante grandi chiodi metallici – quelli degli antichi templi – concettualmente del tutto assimilabili agli involucri sottili in cotto a cui ci ha abituato la sperimentazione di Renzo Piano con successiva ampia diffusione nell’architettura contemporanea.
Museo di arte sacra a Colonia (2007) di Peter Zumthor. Tessitura muraria nella sua composizione “giocata” fra continuità e discontinuità del paramento in mattoni. (ph. A. Acocella)
di Alfonso Acocella
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