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A Milano, un nuovo viaggio
IL MUSEO DEL NOVECENTO

19 Luglio 2011

 
Museo del Novecento, Milano, logo

 

Un viaggio lungo un secolo attraverso le evoluzioni visionarie dell’arte. È questo quello che, dal 6 dicembre scorso, è possibile intraprendere visitando il nuovo Museo del Novecento, ospitato all’interno del Palazzo milanese dell’Arengario, posto al fianco di Palazzo Reale.

Proprio l’architettura monumentale di Portaluppi, di Muzio, di Magistretti e Griffini, che della patria italiana del Novecento si era voluta rendere portavoce, diventa oggi scrigno per custodire, mostrare, accogliere, alcuni dei più grandi capolavori artistici che hanno accompagnato l’eterogeneo evolversi di quel secolo conclusosi con l’apertura del nuovo millennio.

Le cortine di pietra del palazzo, arricchite da bassorilievi di Arturo Martini, si affacciano sul Duomo di Milano facendo da filtro tra la piazza e il loro spazio interno. Il palazzo dell’Arengario, restaurato esternamente, è stato adattato in veste contemporanea al suo interno per ospitare oltre 400 opere a lungo conservate nelle Civiche Raccolte d'Arte milanesi. I visitatori possono così ripercorrere quel Novecento ormai trascorso attraverso una passeggiata in divenire, dall’osservazione alla partecipazione, affacciandosi a quelli che sono i presupposti della nuova espressione artistica del terzo Millennio.

Un tale attraversamento è reso possibile da una veste architettonica nuova progettata e realizzata dal Gruppo Rota composto da Italo Rota, Fabio Fornasari, Emmanuele Auxilia, Paolo Montanari e Alessandro Pedretti. Il percorso, a piani sovrapposti, è ritmato dagli elementi di comunicazione verticale: una scala elicoidale, protagonista oltre che introduttiva al museo, è contenuta all’interno di una torre vetrata e collega il livello della metropolitana alla terrazza monumentale; a supportarla vi sono una serie di scale mobili.

 

 
Giuseppe Pellizza da Volpedo, Quarto Stato, 1898-1901

 

La prima salita conduce a uno spazio che precede l’ingresso alle sale espositive, uno spazio di frattura come quella che l’intera esposizione vuole testimoniare. La frattura che preannuncia ciò che si vedrà ci viene presentata dall’opera di Giuseppe Pelizza da Volpedo, un Quarto Stato che, maestoso, invita ad addentrarsi nelle sale facendoci immediatamente immergere nell’atmosfera avanguardista dei primi del Novecento.

Uno sguardo sull’avanguardia internazionale ci viene offerta da alcune opere provenienti dalla collezione di Riccardo e Magda Jucker. Georges Braque, Piet Mondrian, Wassily Kandinsky, Pablo Picasso, Henri Matisse, Giorgio Morandi, Amedeo Modigliani cominciano a mostrarci nuove interpretazioni del mondo. Un mondo mobile e immobile al contempo, un mondo che cambia e che l’uomo percepisce in una visione che esula dai canoni di una prospettiva rinascimentale, in qualche modo forzata, facente ormai parte del passato.

Il percorso prosegue nella sala detta “delle Colonne” e si concentra sull’avanguardia italiana dove è il Futurismo a fare da protagonista. Milano è rappresentata dall’opera di Umberto Boccioni che qui abita tra il 1908 e il 1916; lo ammiriamo in una collezione unica capace di accompagnarci alla scoperta del suo passaggio dalla tradizione divisionista, all’espressionismo, al cubismo, alla scoperta del futurismo. Dalla Signora Virginia del 1905 alla serie Stati d’animo del 1911 a Elasticità del 1912 alla celebre scultura in bronzo del 1913 Forme uniche della continuità nello spazio. L’arte italiana si allinea alle linee avanzate in ambito internazionale concentrandosi sulla rappresentazione di un dinamismo ancora estraneo alla rappresentazione artistica. La realtà si muove, l’occhio la percepisce simultaneamente da vari punti di vista, la forma diventa la sua sintesi e si fa dipinto e ancor più scultura.

 

 
Umberto Boccioni, Dinamismo di una testa di donna, 1914

 

 

I futuristi che incontriamo sono anche altri, troviamo Giacomo Balla, Gino Severini, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Luigi Funi, Fortunato Depero, che sulla lezione del manifesto del Futurismo di Marinetti pubblicato sul numero di Le Figaro del 20 febbraio 1909 si avvicinano progressivamente a nuovi linguaggi. Vediamo così Boccioni in un ripensamento delle lezioni di Cézanne e Picasso e un Carrà che gradualmente si avvicina al repertorio metafisico di De Chirico con Natura morta con squadra del 1917.

Gli artisti si mostrano anche attraverso sale monografiche. L’opera del bolognese Giorgio Morandi è esposta attraverso una serie di quadri delle collezioni Juker, Boschi-Di Stefano e delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano. Artista estraneo alle polemiche contro il tradizionalismo culturale in atto nei primi decenni del Novecento, Morandi si mostra fedele al paesaggio e alla natura morta che tuttavia, nella Natura morta con manichino del 1919, si rapporta al gruppo della Metafisica.

Giorgio De Chirico nel corso degli anni Dieci anticipa il Surrealismo quando, vivendo tra Parigi e Ferrara, si lega all’avanguardia internazionale cercando di mostrare il carattere magico degli oggetti fino ad arrivare al mirabile Il figliol prodigo del1922. In un’ambientazione rinascimentale il figlio in veste di manichino abbraccia un padre di gesso con un’unica parte vivente, la sua mano sinistra.

 

 
Giorgio De Chirico, Il figliol prodigo, 1922; Arturo Martini, Sete, 1934


La scultura di Arturo Martini ci accoglie al secondo piano con tre tipologie di statue: la statua da esposizione, quella che vuole mettere in crisi i principi fondativi della scultura moderna e le statuette di terracotta. Poi il percorso prosegue con il gruppo del Novecento, sotto l’ala protettrice di Margherita Sarfatti, giornalista, critica d’arte ma anche manager, il gruppo di artisti comprendente pittori come Anselmo Bucci, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Piero Marussig, Mario Sironi, Antonio Donghi, dà vita ad una nuova corrente che difende un monumentale ritorno all’ordine affermandosi alla Biennale di Venezia del 1924. Il gruppo si amplia e consolida con le esposizioni milanesi del 1926 e 1929.

L’ideologia fascista subentra nel linguaggio dell’arte, nel 1933 Mario Sironi redige il Manifesto della Pittura Murale, “pittura sociale per eccellenza” che il museo rappresenta con la scultura di Martini intitolata con la celebre frase mussoliniana I morti di Bligny trasalirebbero!, del 1935.

Parallelamente si sviluppano linguaggi artistici diversi, il Postimpressionismo, l’Arcaismo, il Realismo, l’Astrattismo vengono qui presentati con tele e sculture di Massimo Campigli, Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Aligi Sassu, Lucio Fontana. È dall’opera di quest’ultimo che si viene accolti al terzo piano del museo: un soffitto formato da 25 pannelli di cemento graffito propone la ricostruzione del Soffitto spaziale progettato dall’artista per la sala da pranzo dell’Hotel del Golfo di Procchio, all’Isola d’Elba. Un soffitto che è possibile percepire anche dalla piazza del Duomo, sottostante e da qui ammirabile da un’ampia vetrata; un soffitto che sovrasta un’ampia sala riempita da un’unica opera dello stesso artista: Concetto spaziale. New York 10 del 1962, una lamiera di rame graffito creata dopo un viaggio nella città statunitense compiuto da Fontana l’anno precedente e qui illuminata dal “Neon” della Triennale che la sovrasta.

 

 
Lucio Fontana, Concetto spaziale. New York 10, 1962

 

 

Ma anche la presentazione, nelle sale successive, dell’esordio figurativo di Alberto Burri degli anni 1947-’48 contribuisce a procedere in questo originale viaggio lungo un secolo; capiamo così ciò che ha preceduto l’introduzione nell’“arte povera” dell’artista della componente materica. Un informale segnico e gestuale ci fa procedere attraverso la Roma degli anni Cinquanta per poi passare al decennio successivo con Emilio Vedova, Francesco Somaini, Gastone Novelli, Giuseppe Capogrossi e Jannis Konellis che attraverso l’utilizzo di smalti industriali, si presenta qui con la grande tela della Rosa nera del 1966.

Piero Manzoni e Azimuth, rivista milanese, occupano una nuova sala e ci accompagnano alla passerella sospesa che ci conduce a Palazzo Reale dove ci si avvia al termine del viaggio.

Si viene accolti da un’opera creata appositamente per il museo da Claudio Parmiggiani, Scultura d’ombra (2010). Il coinvolgimento del visitatore cambia registro, è lui adesso il protagonista di opere che rende vive attraverso il suo passaggio in spazi delimitati, illuminati e in movimento, posti a lato di due sale dedicate a Marino Marini, con opere trasferite dalla Galleria d’Arte Moderna di Villa Reale. Bruno Munari, Gabriele De Vecchi, Enzo Mari, Davide Boriani, Luciano Fabro, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti e Mario Merz, si fanno portavoce dell’Arte Programmata e Cinetica, del Realismo Esistenziale, della Pittura Analitica, della Pop Art italiana, dell’Arte Povera, con la quale si chiude il viaggio.

 

 
Mario Merz, Zebra (Fibonacci), 1973

 

Un viaggio racchiuso in un percorso al contempo cronologico e monografico, che diventa in ultimo una sequenza di installazioni in continua trasformazione grazie alla presenza del visitatore, al quale si offre una nuova e fino ad ora unica occasione di rivisitare il Novecento italiano attraverso una molteplicità di opere che hanno caratterizzato in maniera sostanziale l’arte del nostro Paese.

 

di Sara Benzi


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