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Franco Bucci e la nuova ceramica, sostanza del quotidiano.
Tra artigianato, design e industria nell’esperienza di Laboratorio Pesaro.

28 Agosto 2014

Franco Bucci, particolare piatto Border, smalto cristallizzato, 2000. (Archivio Franco Bucci, Pesaro)

 

La ceramica come scelta

Non esiste un design che non sia situato temporalmente e spazialmente. Il progetto, così come la cultura e il sapere, esprime sempre un punto di vista; ogni artefatto, al pari di ogni processo produttivo che lo anticipa o linguaggio che lo descriva e veicoli, è una scelta storica e sociale, elaborata nella specifica forma che l'esperienza assume in un determinato contesto spazio-temporale, sia pur soggettivamente interpretata.

L'opera di Franco Bucci è stata profondamente legata alla ceramica, materia d'elezione di quasi 50 anni di sperimentazione, e tale scelta – afferma egli stesso esso – “un fatto quasi politico” (Bertoni, 2004, p.89).

A distanza di poco più di un decennio dalla prematura scomparsa, il magistero e la particolare idea tecnologico-produttiva di Franco Bucci appaiono essersi dispiegati con lucidità, coerenza, continuità e autonomia intellettuale, facendone una figura vivida e rocciosa perché animata da alcuni, semplici e fondamentali presupposti concettuali.

Spostiamo volutamente il cono ottico dell'analisi dalle prime esperienze milanesi sul finire degli anni cinquanta del Novecento, legate alla produzione in rame smaltato con Ettore Sottsass e i fratelli Pomodoro [1], per concentrare l'attenzione sul territorio della provincia dove scelse, controcorrente, di ritornare; non un ripiegamento ma “una svolta metodologica” (Morpurgo, 1985, p. 7) che lo porterà a una indipendente, non contaminata, coscienza e poetica progettuale.

La creazione legata alla manipolazione della ceramica consente di partecipare totalmente alla nascita del manufatto “senza distinguere il momento del pensare da quello del fare” (Mariani, 1990, p. 48) e si presta per sua natura alla non unicità, alla ripetizione del gesto (è già il maestro vasaio progettista un “ripetitore”), affinché l’artefatto sia prototipo dei suoi multipli. È la riproducibilità seriale l’obiettivo originario e primario dell'attività di Franco Bucci, alimentato dallo studio prolungato e rigoroso del prototipo, al fine di ottimizzarlo tecnologicamente e nella forma, affinché le copie realizzabili siano funzionali e accessibili a più persone.

Questi servizi… vasi, piatti, sono fatti per circondare i nostri gesti quotidiani di bellezza e serenità. Le forme sono composte, intense come quelle di una classicità primitiva… I colori non prendono la mano, trattenutissimi e come sprigionati dalla materia. (Bucci, 1972, citato da Enzo Biffi Gentili, 1988, p. 73)

 

Siffatta specifica idealità del fare progettuale di Bucci, conservata con fermezza, sostenuta in ogni fase di vita del Laboratorio, lo ha accompagnato fedelmente, senza minime flessioni, sino alle ultime esperienze indirizzate alla messa in forma di ceramica in grande formato.

Il ritorno a Pesaro è ricongiungimento alla città che ha reso possibile la sua formazione di Maestro d'Arti applicate (sezione Metalli) quando all'Istituto Statale d'Arte Ferruccio Mengaroni la formazione era scuola-bottega e insegnavano giovani di talento giunti dalla Toscana quali Giuliano Vangi, Loreno Sguanci e Vladimiro Vannini; i maestri, quasi coetanei degli allievi, ispiravano i migliori alla pratica dei laboratori artigianali. Nel dopoguerra aprire un’attività in proprio a carattere produttivo rappresentava un atto di riscatto, di affermazione individuale, in un clima generale di rinascita, di riscoperta di valori primari, di riconquista delle cose quotidiane, semplici (i cocci cui dedicherà una vita) mancate durante la guerra (e che Fellini ha saputo evidenziare con affettuosa ironia).

Franco Bucci negli anni cinquanta del Novecento già aveva avviato, con Paolo Sgarzini, Aldo Jacomucci e Vannini, il laboratorio di rame smaltato Mastro 3. Ciò che resta della produzione del tempo è esempio di avanguardia di concezione nelle linee formali degli oggetti e nella magistralità nell'uso del colore. La tendenza alla riduzione di ogni ridondanza figurativa, così radicata nelle sue corde, è stata trasferita alla produzione ceramica. Il rame, già costoso di per sé, era in quegli anni protagonista di oggetti decorativi e bigiotteria, distanti dalla sensibilità di Bucci. Quel desiderio di “design democratico” (Alessandri, 2014, p. 8), l’impegno a una visione produttiva che non si arresti nell'opera singola rinnovandosi nel multiplo, si reincarna attraverso una ricerca “fattuale” (Bucci, 2005, p.15), nella ceramica. Una scelta condotta indipendentemente, pur nelle costanti relazioni con Faenza e Milano, entro la quale la ricerca della materia prima ideale alla produzione è istinto a superare i limiti della stessa terra – “la ceramica, un materiale umile ma non facile” (Bertoni, 2004, p. 5) – per motivazioni di ordine tecnologico, quanto per valenze concettuali, quasi ideologiche. Si aspira a una ceramica moderna, che possa affrontare l’innovazione della lavastoviglie, che non contamini il cibo [2] e ne sia inattaccabile, in più plasmabile oltre l’atto progettuale, nella fase di trasformazione alchemica della cottura ove si innesta il disvelamento dei caratteri intrinsechi alla materia.

 

Franco Bucci, Modello A, servizio the e caffè, 1966; Art. E, teiera, 1973; Art. V/2, Vaso, 1969. (Archivio Franco Bucci, Pesaro)

 

Il primo Laboratorio Pesaro e la dialettica Bucci-Valentini

Vi sono date che costituiscono tappe fondamentali del percorso di vita di Franco Bucci. Nel 1961 – anno in cui il primo premio del celebre Concorso per la Ceramica d'Arte di Faenza viene vinto da Gian Battista (Nanni) Valentini – Franco Bucci, Filippo Doppioni, il giovane Roberto Pieraccini e lo stesso Valentini fondano Laboratorio Pesaro. Il rapporto tra Bucci e Valentini ne costituirà il fulcro e motore dialettico.

Intorno ai fondatori s’intrecciano le storie di collaboratori e amici, in un susseguirsi di frequentazioni creative che accompagnerà tutta la vita di Bucci, ne sarà fonte d’ispirazione e alimentazione umana (complice la simpatia dei protagonisti e la disinvoltura conviviale della riviera). Sono amici di atelier i ceramisti Pino Spagnuolo e Adelio Maronati, che seguiranno poi Valentini, Panos Tsolakos (premio Faenza del 1971), il pittore Livio Marzot, lo storico Valerio Marchetti e molti altri. Artigianato avanzato, “tecniche proletarie” (Biffi Gentili, 1988, p. 74), responsabilità sociale, sperimentazione e lavoro condiviso per stimolare il singolo attraverso il noi, questi sono le finalità e i metodi del Laboratorio Pesaro di quegli anni.

 

Copertina di uno dei primi cataloghi di Laboratorio Pesaro. Grafica Roberto Pieraccini. (Archivio Franco Bucci, Pesaro)

 

Importante e singolare quanto Bucci stesso testimoniò (Biffi Gentili, 1988, p. 72), ovvero come i contatti milanesi, quelli con i contemporanei gruppi d’avanguardia plastico-visivi, la frequentazione della Triennale, al tempo non lo condizionassero contenutisticamente. Precisò inoltre come dell’esperienza del Bauhaus, nonostante le affinità di metodo e – in un certo senso – di risultato, non si avesse agli inizi un’idea precisa e la sola figura preparata organicamente sui temi del moderno potesse dirsi Valentini.

Il Laboratorio cominciò a conoscere il mondo del design portando in valigia i propri prodotti, come viaggiatori, a Cassina, Poltronova, Frau e Gavina. Nanni Valentini fu fondamentale per la sapienza scultorea, Filippo Doppioni per l'aspetto tecnologico. Mentre il Laboratorio continuava a sostenersi economicamente con le commesse in rame smaltato, Bucci s’innamorò della ceramica. Elessero, insieme, il grès a materia di lavoro esclusiva, anelito delle sperimentazioni tra miscele e crogiuoli: una formulazione – quella del grès – non di origine italiana ma perfetta per l'obiettivo di resistenza e sostenibilità dell'oggetto d’uso. L’impasto greificato d’ispirazione nordica – al tempo in fase di sperimentazione in Italia presso le industrie ceramiche di rivestimenti pavimentali – più che un dato di fatto fu un obiettivo, una ricerca. Lo si conseguì a suon di tentativi, con l'adeguamento dei forni alle alte temperature (il primo Laboratorio Pesaro era insediato nelle antiche fabbriche di maiolica Molaroni) e della miscela, grazie alla collaborazione e ai suggerimenti operativi dell'amico ceramista Albert Diato.

Il Laboratorio, approfondendo progressivamente la conoscenza della tecnica, avvia una rigorosa sperimentazione basata sul rapporto materia-funzione-forma. La produzione delle collezioni di piatti, vasi, contenitori, del primo Laboratorio Pesaro si svolge tra ripetuti, passionali, confronti e scontri di pensiero tra Bucci e Valentini, alimentando la crescita culturale reciproca, pur sempre sulla lama del rasoio, fino alla rottura radicale fra i due, con lo scioglimento del gruppo nel 1966.

Franco Bucci rifonderà Laboratorio Pesaro con la moglie Anna, portando avanti l’originaria dichiarazione d’intento orientata alla produzione in serie – com’era solito dire – di “tazze e tazzine” (testimonianza diretta, Viviana Bucci). Un conflitto, se osservato a distanza critica, apparentemente elementare quanto radicale: Valentini artista tout-court, scultore di opere uniche, senza alcuna concessione al prodotto seriale; Bucci artigiano-vasaio contemporaneo, vocato a realizzare oggetti funzionali, fatti a regola d'arte e in ripetuti elementi: “Preferisco entrare in dieci milioni di case – dichiarerà – piuttosto che in cinque musei” (Alessandri, 2014, p. 10).

 

Franco Bucci, Lithos, serie di vasi e bottiglie, 1987. (Archivio Franco Bucci, Pesaro)

 

Traghettare le radici nordiche del grès verso i caratteri mediterranei

L’esplosione del primo Laboratorio Pesaro si ricompone in una produzione di rigorosa tenuta per quasi trent’anni ancora, dal 1966 al 1995; Franco e Anna dirigeranno le sorti dell’attività produttiva, divenuta vera e propria azienda.

La reinvenzione estetica e d’uso della ceramica, perseguita da Bucci, s’innesta per processo di osmosi fra sensibile attenzione alle trasformazioni culturali del tempo e difesa consapevole delle radici storico-artigianali del proprio contesto territoriale.

È dichiarato esplicitamente, da parte del ceramista pesarese, l’interesse per l’uso del grès dei paesi nordeuropei. Bucci ne studia le forme, gli impieghi, attraverso molteplici viaggi – come premio dei concorsi che vinse [3], o come esplorazioni condotte con gli amici e la moglie – tra Svezia, Danimarca, Inghilterra, Svizzera, Francia.

Anche la ceramica d’Oriente fu captata e apprezzata, purtuttavia l’attenzione rimase fissa sulle più prossime esperienze nordeuropee, riconoscendo nel grès la trasformazione che le terre cotte dell’Est hanno avuto dirigendosi a nord (come la maiolica è il risultato della migrazione attraverso il sud) (Bertoni, 2004, p. 97).

Alle qualità del grès nordico, essenziale e minimo, Bucci aggiungerà il sapore e il calore della ceramica mediterranea che indaga e conosce attraverso i musei archeologici, nella consapevolezza che le buone forme sono senza tempo e gli oggetti d’uso sono già stati in larga parte inventati (Bertoni, 2004, p. 59). La conoscenza delle tecniche ceramiche più aggiornate viene rafforzata dalle esperienze – contestuali alle attività di Laboratorio Pesaro – in Villeroy & Boch, con Federico Fabbrini (1970-1974), e in Iris Ceramiche (1972-1974), con Panos Tsokalos, Eduard Chapallaz, Ludovico Assirelli, Antonio Bullo. In Iris conobbe Gianni Sassi, avviando la produzione dei primi grandi formati di lastre per pavimentazioni e sollecitando l’importante azienda del neonato comparto modenese allo studio di una formula di grès adeguata a forti sollecitazioni da calpestio.

L’innesto del grès nell’humus produttivo centro-italico, avvenne nella consapevolezza che importare materie prime, aggiungendo conoscenza e creatività ri-elaborativa nonché tecnologie, significa innovare l’azione imprenditoriale, senza perdere un forte e radicato livello culturale d’origine.

Sul finire dei settanta del Novecento Bucci avvia una emblematica operazione di studio, conoscenza e divulgazione per “rifondare la ceramica contemporanea” (Dolcini, Panzini, 2000, p. 10), innestando un legame intimo, strutturale, con la sapienza del luogo. L’esperienza svolta presso il piccolo paese di Fratte Rosa, arroccato sui colli dell’entroterra pesarese, approda ad una singolare pubblicazione, unica nel genere – Fratte Rosa – parallelamente alla fondazione di un museo di documentazione locale.

Per Bucci tale percorso rappresentò una necessità e responsabilità verso un mestiere, quello dei vasai, che andava scomparendo. Documenterà – attraverso numerose visite, reportage fotografici e workshop esperienziali – i processi materici, tecnici, produttivi, della ceramica popolare. Spingerà gli ultimi cocciai a realizzare le forme e tipologie di oggetti d’uso in ceramica che rispondevano ai riti quotidiani, ai momenti essenziali della vita contadina, ed erano tramandate solamente a memoria. Le classificò figurativamente attraverso schemi e schizzi per comprendere quali fossero gli elementi non attuali che ne hanno impedito il proseguimento in vita, l’adeguamento alla modernità.

Tutto ciò che era decorazione, orpello ornamentale, da Bucci era respinto. Riconosceva nelle forme utili e essenziali dei vasi classici, il medesimo piacere che desiderava trasferire ai suoi modelli, perché si rinnovasse nei gesti della quotidianità contemporanea.

 

Franco Bucci, Serie di bottiglie, 1992; Tipot, Teiera per the in foglie, 1989.

 

Bucci seppe anticipare molte tendenze dell’oggi: i modelli multifunzionali, la ricerca di formule per impasti leggeri, plasmabili e adatti alla cottura diretta sul fuoco [4], le forme plastiche e espanse per elementi d’arredo bagno e cucina e, in particolare, la coraggiosa e titanica innovazione delle lastre di grande formato e ridotto spessore (due metri per due, spessore due cm), brevetto depositato nel 1987 come Ipergrès Monolite. “La ceramica è diventata grande”, recitava lo slogan coniato al tempo dalla figlia Viviana.

Ognuno di questi progetti, alimentato da uno slancio all’innovazione, nasceva dall’ascolto delle attese e proposte del cliente – che chiamava “fruitore” –, riconoscendone e interpretandone i bisogni; proprio come gli antichi pignattari di Fratte Rosa, quando, nei mesi invernali, interrompendo la tornitura, raccoglievano ordini e richieste dagli acquirenti delle coste marchigiane e romagnole, rispondenti a reali necessità.

Il catalogo delle collezioni di Laboratorio Pesaro, quando Bucci è il creativo e insieme il soggetto economico, proprietario e imprenditore, è ricco di prodotti memorabili, richiesti da prestigiosi negozi di design italiani e stranieri. La sperimentazione sui materiali è continua: forme elementari, superfici rigate, smalti opachi per ottenere i più saturi neri e bianchi in commercio per evidenziare il contrasto tra le superfici esterne e interne, marroni colati come le antiche bavarde, smalti traslucidi avorio e verde, corposi e materici, fascinosamente cristallizzati (Dellapiana, 2010, p. 155). Il laboratorio produce in serie ma fuori dal grande serie – anticipando una tendenza tutta attuale –, situandosi in una fascia intermedia di mercato rispetto al pezzo unico elitario (quindi di lusso) e alla produzione industriale a basso costo (quindi di scarsa qualità, che non retribuisce equamente l’operatore). Ogni oggetto, se pur prodotto a colaggio in stampi di gesso, attraversa sempre una fase di tornitura manuale, risultando mai privo di quel carattere artigianale, umano, vero, spesso valorizzato nelle stesse anomalie – controllate  – del processo produttivo. I clienti più importanti ricevevano i soli pezzi che superassero la severa selezione di Anna – “stendere l’ordine”, usavano dire, nel sceglierli disposti su un lungo tavolo – e l’oggetto escluso, non meno armonico pur nelle sue minime irregolarità, ha raggiunto così ancor più famiglie, promosso democraticamente a minor prezzo come seconda scelta.

Franco Bucci, Mummy, bollitore stonefire, schizzo autografo e immagine, 2000.

 

Nel 1995 Bucci sceglie di cedere Laboratorio Pesaro e conservarne la direzione artistica, sino al 1998. Dal 1998 curerà l'Atelier Franco Bucci, una rinnovata esperienza di piccole serie, confrontandosi con il valore del pezzo unico, della porcellana e altri materiali.

 

Franco Bucci, Ipergrès Monolite, fine anni ottanta del Novecento. (Archivio Franco Bucci, Pesaro)

 

L’esperienza produttiva e tecnologica si fonde con quella umana

Recentemente, nella città natale, due mostre hanno commemorato il ruolo di Bucci, il rapporto con il contesto pesarese e i più ampi orizzonti intellettuali cui era rivolto; entrambe non prive di rinnovati scambi di interpretazioni da parte della critica sul tema del rapporto tra arte-artigianato-industria: Fermento Pesarese - 1960-1990 Arti e Persone dall'Archivio Bucci [5] (2012), a cura della figlia Viviana, presso il Centro Arti Vivise Pescheria; Franco Bucci, Massimo Dolcini, Gianni Sassi - Oltre il territorio (2013), a cura di Roberto Pieraccini, presso i Musei Civici.

Il trio di progettisti protagonisti di quest’ultima mostra – un ceramista, un grafico e un comunicatore – si era consolidato degli anni ottanta del Novecento, con Sassi in Iris ceramica e Dolcini che aiuta Bucci, tra pellicole e serigrafie, ad affrontare (e superare) il tema del segno decorativo.

I tre amici, coinvolgendo molti altri, si ritrovano nella grande casa di Franco, sotto gli alberi, molto spesso a tavola. I servizi di Laboratorio Pesaro – piatti, bicchieri, pentole, insalatiere… –, prendono così vita e la cucina diventa il trait d’union di tutte le arti, scultura e grafica ma anche musica, fotografia, poesia[6]. Inventano insieme La Gola: una rivista di non molti numeri eppure un progetto, per contenuti e veste grafica, così originale da divenire l’ispirazione del contemporaneo slow-food di Carlo Petrini (testimonianza diretta, Viviana Bucci).

Immaginiamo in quei momenti i tre amici capaci di ritrovare la sintesi di una vita dedicata al progetto. La gaia arte culinaria, i gesti preparatori del cibo a contatto con i recipienti ceramici, il piacere del gustare, quali energia prima e fine ultimo, la forza trasformativa dell’homo faber e, forse, il senso di tutto quel fare cocci che Bucci desiderava così intensamente sopravvivessero al suo operare.

 

Veronica Dal Buono



 

[1] A Milano la Galleria Il Sestante espose oggetti in rame smaltato realizzati da Mastro 3 per Ettore Sottsass e Arnaldo Pomodoro, nel 1958; per Sottsass Bucci realizzò i pannelli per l’ingresso alla Triennale, le opere in rame per il Bar Belvedere di Italia ’61 e, più tardi, la serie di ceramiche Tantra.

[2] Vi è precisa intenzione da parte del gruppo nell’eliminare dalla miscela gli ossidi di piombo che sono invece presenti nei materiali ceramici a bassa temperatura.

[3] La Mostra Internazionale della Ceramica di Vicenza ove vinse il premio "Andrea Palladio" nel 1963 e 1964, conferiva un viaggio premio. Ne furono insigniti anche Massimo Vignelli e Alessio Tasca.

[4] Nel 2000 mette a punto Stonefire, impasto altamente pirofilo e resistente alla fiamma.

[5] L'opera di archiviazione fisica delle opere del maestro pesarese, di identificazione cronologica, la fotografia dei singoli pezzi e digitalizzazione dell'archivio, è avvenuta con lungimiranza negli anni successivi alla scomparsa. Consultabile online presso: www.archiviobucci.it.

[6] Emblematici "I Piatti della Poesia", con Gianni Sassi, edizione limitata su ceramica delle opera di artisti di poesia concreta e di Fluxus. Saranno presentati all'inaugurazione dello spazio di Romeo Gigli Corso Como 10, nel 1988.

 

 

Bibliografia

Alessandri, M. (2014). Il design democratico. Colloquio con Viviana Bucci. Mappe, 3, 8-15

Biffi Gentili, E. (1988). Gres come armonia. Il Laboratorio Pesaro di Franco Bucci. K International ceramics magazine, 5, 72-81

Bojani, G.C. (a cura di). (1997). Di alcuni protagonisti del Novecento: Rodolfo e Piero Ceccaroni, Bruno Baratti con Nanni Valentini, Wladimiro Tulli, Franco Bucci. In Fatti di ceramica nelle Marche dal Trecento al Novecento (pp. 255-269). Milano: Motta.

Bojani, G.C. (1996). Franco Bucci, un’arte per rinnovare l’uso della ceramica. In Settesecoli. Fatti di ceramica nelle Marche. Dal Trecento al Novecento. Quaderno di Mostra, Macerata, 1996 (p. 4). Macerata: s.e..

Bojani, G.C. (a cura di). (1999). Franco Bucci, ceramica d'uso e linee da tavola. Vitorchiano: Milo.

Bucci, F. (1972). Laboratorio Pesaro di Franco Bucci. Bologna: Poligrafici Luigi Parma.

Bucci, F. (1997). Keramika umentost i industrija. Ceramica arte e industria. Belgrado: Muzej primenjene unietnosti.

Bucci, F. (2004). Franco Bucci in conversazione con Franco Bertoni. Faenza: Faenza Editore.

Bucci, F. (2005). La misura delle cose: archiviazione dell'opera del maestro ceramista Franco Bucci (1933-2002). Montecchio: Industria grafica Sat.

Dellapiana, E. (2010). Pesaro e Franco Bucci. In Il design della ceramica in Italia: 1850-2000 (pp. 150-158). Milano: Electa.

Mariani, S. (1990). L’idea tecnologica e il mestiere infinito. Franco Bucci. Ceramica, arte, artigianato, industria, 0, 48-51.

Morpurgo, V. (1985). Grès. La Gola, s.n., p. 7.

Pitré, A. (1990). Oggetto e valore d’uso. In Morpurgo, V. Cuppini, S., & Calegari, G. (a cura di), Cronovideografie. Pesaro tra provincia e mondo 1956-1980 (pp. 154-159). Modena: Panini.

Dolcini, M., Panzini, F. (a cura di). (2000). Domande sulla terracotta. In Le ceramiche popolari tra Marche e Romagna (pp. 6-11). Catalogo della Mostra, Fiorenzuola di Focara, 2000. S.l.: Ramberti.

Tamburini, M., Bucci. F, & Martelli, F. (1981). Fratterosa. Pesaro: s.e..


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