La forza del cartone. Autocostruibile e totalmente riciclabile
Com’è nata l’idea di costruire un padiglione?
Cardboard Pavilion è il risultato di una ricerca sull’uso innovativo in architettura di materiali non convenzionali realizzata in partnership con International Paper di Catania e lo studio AION di Siracusa. La ricerca aveva anche l’obiettivi di trasferire nella didattica del Laboratorio di Progetto, di cui sono responsabile presso la Facoltà di Architettura di Siracusa, un modo alternativo di fare didattica, portando gli studenti all’interno dell’esperienza concreta del fare, realizzando quella ineludibile continuità tra progetto e costruzione.
Cardboard Pavilion è un sistema abitativo monomaterico a basso costo, prodotto industrialmente, autocostruibile e totalmente riciclabile; un origami di carta che estremizza le possibilità intrinseche di un materiale apparentemente ‘debole’ come il cartone, di cui ce ne restituisce possibilità inespresse.
Cardboard Pavilion è figlio da un lato delle possibilità che l’architettura di Shigeru Ban ci ha rivelato e dall’altro dell’arte dell’origami. Lo definirei un prodotto di alto artigianato industriale. Parafrasando Argan potremmo dire che in quest’opera la ‘struttura dell’oggetto coincide con l’immagine’. Cardboard Pavilion si situa a cavallo tra vocazione artigianale e logica industriale.
Dal progetto alla realizzazione quali difficoltà sono state riscontrate?
La International Paper è un’aziende leader nella produzione di imballaggi di cartone. Le caratteristiche dell’impianto di produzione di Catania hanno rappresentato un elemento con il quale ci siamo confrontati. La sfida era quella di produrre un sistema abitativo utilizzando le stesse macchine e tecniche di produzione che l’azienda adotta per produrre scatole da imballaggio. Cardboard Pavilion è stato concepito come un prodotto industriale, con tutte le difficoltà che questa scelta comporta: ottimizzazione del processo di produzione, packaging, ottimizzazione dei costi di produzione e di commercializzazione ecc. Le parti che compongono il sistema sono state prodotte utilizzando solo due ‘fustelle’ – gli stampi. Con due elementi abbiamo definito l’intera configurazione del sistema. Questa scelta è discesa dalla volontà di ottimizzare i tempi di produzione e dalla volontà di ridurre il più possibile il numero di parti, che chiaramente avevano a valle una ricaduta sulla fase di montaggio, che come ti ho anticipato è pensata per essere realizzata da personale non specializzato e senza l’ausilio di strumenti o attrezzature.
A questi aspetti ‘interni’ alla produzione si associano quelli connessi alla configurazione del sistema e alla sua performance strutturale. La scelta di utilizzare solo cartone ha richiesto un lavoro molto complesso nella individuazione della tipologia di cartone, che poteva essere a singola, a doppia o tripla onda. Gli spessori del cartone avevano ovviamente una conseguente ricaduta sulle possibilità di ‘piegarlo’. Abbiamo testato e verificato diverse tipologie di cartone. Alla fine abbiamo optato per un cartone ondulato a singola onda, perche più flessibile. Se pieghi un cartone oltre un certo angolo la copertina tende a lacerarsi, rendendolo così più vulnerabile anche all’acqua. Il cartone a singola onda puoi piegarlo entro certi limiti, tenendo conto della così detta orditura di canna, cioè della direzione in cui sono disposte le ‘onde’ del cartone interno. La ‘piega’, nella sua accezione fisica e concettuale, è l’elemento generatore del progetto, il principio in base al quale la materia carta è tras-formata in materiale da costruzione. L’ordine geometrico delle pieghe sottende una rigorosa codifica parametrica del progetto.
Mettendo a sistema tutti questi dati abbiamo definito la piega possibile per determinare un sistema, che come puoi intuire è rigido per forma. Avevamo poi la necessità di discretizzare il sistema in elementi di piccole dimensione e contestualmente di renderlo a tenuta stagna rispetto all’azione della pioggia. La sovrapposizione degli elementi, secondo una modalità analoga a quella di un tetto tradizionale in tegole ci ha garantito la tenuta all’acqua e la ottimizzazione del deflusso delle acque meteoriche.
La capacità di carico e la resistenza allo strappo sono i parametri che hanno determinano la tipologia di sandwich e le caratteristiche del cartone impiegato. La tipologia dell’impianto di produzione messo a disposizione dalla International Paper di Catania ha invece inciso sulle dimensioni dei singoli elementi componenti del sistema, che da elementi discreti realizzano una superficie continua mediante la connessione di più moduli, resi solidali tra loro attraverso l’ausilio di connettori meccanici di plastica di 6mm di diametro.
Il sistema è generato dall’aggregazione dei due moduli di base, pattern, desunti dell’arte degli origami: modulo A, a “spina di pesce; modulo B, a “punta di diamante”. La performance strutturale del Padiglione, in risposta a fattori ambientali come la pressione del vento e lo scorrimento dell’acqua piovana, è garantita da una rigorosa geometria generativa, che ‘orienta’ gli sforzi lungo ‘direzioni principali di tensione’. Il ricorso a strumenti di elaborazione progettuale di tipo parametrico ha agevolato il controllo delle geometrie dei singoli elementi del sistema in ragione di condizioni ‘limite’ imposte dal materiale – angolo massimo di piega, direzione della piega, ecc., determinando una ‘catena di deformazioni controllate’.
Quali materiali sono stati usati per la realizzazione di questa struttura?
Abbiamo utilizzato del cartone ondulato a singola onda. Le copertine esterne sono state realizzate con carta Kraft 100% naturale, l’onda interna con una carta riciclata. La carta Kraft delle due copertine esterne ha una ottima tenuta all’acqua.
Le connessioni tra gli elementi di cartone che conformano il sistema è realizza con rivetti di 6 mm di diametro, ‘bottoni’ meccanici composti da due elementi accoppiati tra loro per pressione. Questa soluzione è stata individuata a valle di un confronto tra diverse ipotesi che abbiamo testato: velcro, colla ecc.. La scelta dei rivetti a pressione nasce dalla sintesi di diverse necessità. In primis quella connessa al riciclo del sistema. I rivetti sono facilmente separabili dal cartone. Abbiamo usato solo due materiali ed entrambi riciclabili al 100%. I connettori a pressione vengono innestati senza l’ausilio di alcun attrezzo. Bastano le mani. Inoltre i fori e la posizione dei connettori erano predeterminati sui singoli elementi componenti di cartone mediante fustellatura. Questa soluzione escludeva anche qualsiasi possibilità di errore in fase di montaggio da parte dell’utente, al quale viene fornito anche uno schema di montaggio con tutte le istruzioni necessarie. Infine, il sistema di connessione meccanico assorbendo gli sforzi di scorrimento che si generano tra le parti garantiva anche un buon grado di flessibilità e di mobilità tra le singole parti del sistema, che per sua stessa natura non poteva essere troppo rigido. Diversamente, sia l’impiego di colla sia l’impiego del velcro non consentivano al sistema quel grado di adattabilità e flessibilità necessario ed inoltre rendevano più complesse le operazioni di montaggio e quelle di riciclo a fine vita del sistema.
La concretizzazione del manufatto è avvenuta su sponsorizzazione privata o universitaria?
Le risorse che abbiamo impiegato per la prototipazione del sistema prima e per la sua ottimizzazione come prodotto industriale dopo vengono totalmente da finanziamenti esterni all’Università. Il mio gruppo di ricerca negli ultimi 5 anni ha utilizzato quasi esclusivamente fondi provenienti da finanziamenti esterni su specifici progetti. Anche in questo caso abbiamo presentato un progetto di ricerca e lo abbiamo discusso a lungo con le aziende che ci hanno seguito in questo percorso che ha richiesto due anni di duro lavoro.
Che tipo di ricerca tecnologica e/o compositiva sottende la progettazione di questo padiglione?
L’idea di architettura come macchina attraversa diverse culture del progetto e non costituisce un’acquisizione espressa solo dall’età industriale; la presenza di una cultura del costruire fondata sull’assemblaggio a secco, sulla tettonica degli elementi, è presente in forme più o meno manifeste in tutta la tradizione del costruire.
La storia dell’architettura potremmo leggerla anche come incidenza delle innovazioni tecniche, spostando l’interesse dalla forma alle tecniche esecutive come metodo d’invenzione. Deyan Sudjic sostiene che “la storia dell’architettura dovrebbe essere vista come storia di invenzioni sociali e tecniche, piuttosto che stilistiche e formali”.
Le connessioni tra progetto e produzione industriale evoluta sono i due termini che si intrecciano costantemente in tutto il mio lavoro di ricerca. Lo sfondo culturale di riferimento è questo, senza tuttavia mai perdere di vista il fine, che è legato alla prefigurazione di un’opera di architettura, ad uno spazio destinato all’uomo, alle sue relazioni sociali.
La forma è espressa come esito dell’organizzazione e della soluzione di problemi e non come esercizio stilistico arbitrario, fine a se stesso.
Quali principi della sostenibilità sono stati adottati?
Il Padiglione ha una vita programmata. E’ totalmente riciclabile. Ha un costo irrilevante. La quantità di materiale utilizzata in rapporto allo spazio definito è molto bassa. Può essere utilizzato per eventi, manifestazioni anche in contesti consolidati come centri storici, piazze ecc. E’ personalizzabile, non richiede alcuna opera preventiva per la sua installazione, che come ti dicevo prima può essere fatta in autocostruzione, è ignifugo, resiste bene all’acqua.
Credo che questo elenco secco da solo possa darti il senso dei principi di sostenibilità che lo caratterizzano.
La sostenibilità è stata spessa ridotta ad uno slogan, svuotandolo totalmente dal suo significato più profondo, da una visione etica dell’architettura.
La programmazione di tutta l’esperienza ha previsto l’uso del padiglione all’esterno della realtà universitaria o l’impiego in altre situazioni urbane?
Cardboard Pavilion è stato utilizzato in diversi contesti e per necessità molteplici.
Al salone dello studente di Catania lo scorso anno ha riscosso un grande successo di pubblico.
E’ stato utilizzato anche per seminari itineranti, mostre fotografiche. Ormai e’ un prodotto disponibile a catalogo che la International Paper ha immesso sul mercato e che può essere anche personalizzato a secondo specifiche richieste dell’utente finale.
La ricerca sulle architetture temporanee proseguirà con altri esperimenti?
Si. Intanto quella sul cartone prosegue. Stimo testando l’impiego di una carta speciale multilayer che oltre ad incrementare la resistenza all’acqua rende il sistema totalmente ignifugo.
Oltre al cartone la sperimentazione continua anche con latri materiali. Lo scorso primo luglio abbiamo ultimato e presentato Dome. Si tratta di un sistema costruttivo in laterizio, del quale vi racconterò in una altra occasione se volete.
Come hanno reagito gli studenti quando gli è stato proposto la realizzazione in scala 1:1 del progetto, esperienza inusuale nelle università italiane.
Gli studenti in una prima fase hanno sempre una atteggiamento di curiosità che sottende una certa perplessità. Una delle cose che più mi gratifica del mio lavoro è vedere i miei studenti passare da una fase di adesione fondata sulla fiducia ad una in cui aderiscono al progetto con entusiasmo consapevole. E’ la fase nella quale acquisiti gli strumenti operativi e le conoscenze sono capaci di agire all’interno di un progetto molto complesso come quello di Cardboard Pavilion con un buon grado di autonomia.
Tieni conto che parte delle attività didattiche sono state svolte in azienda, dove gli studenti hanno compreso le regole di produzione, le tecniche di stampaggio, le modalità con le quali puoi piegare un cartone ecc. In questa fase hanno imparato e messo a fuoco gli strumenti con i quali hanno poi operato.
L’architettura effimera, i temporary space,sono eticamente giustificabili in un momento economico come l’attuale?
Lo sono. Lo sono perché quasi sempre si tratta di spazi realizzati con materiali e tecnologie a basso costo. Lo sono perché sono fatti con materiali riciclabili assemblati a secco.
L'intervista è stata pubblicata su Archline, rivista della Federazione Ordini Architetti P. P. C. Emilia Romagna, n. , pp. 68-69.